Appunti pratici in tema di rivalutazione monetaria e interessi

AutoreDomenico Potetti
CaricaMagistrato, Tribunale di Camerino
Pagine91-97

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@1. Introduzione. Crediti di valuta e crediti di valore

Scopo principale di queste note è quello di offrire alcune nozioni essenziali a proposito del calcolo della rivalutazione monetaria e degli interessi soprattutto nell’ambito delle obbligazioni extracontrattuali, alle quali appartengono quelle che scaturiscono dai sinistri stradali (fatti illeciti anch’essi riconducibili al fondamentale art. 2043 c.c.).

Questa pur breve trattazione sarebbe tuttavia lacunosa se non desse conto delle principali differenze che intercorrono (anche in relazione ai temi della rivalutazione monetaria e degli interessi) fra le obbligazioni extracontrattuali e quelle contrattuali (con particolare considerazione per le obbligazioni pecuniarie).

Per cominciare, occorre avere ben chiara la distinzione (arcinota, ma ancora essenziale, come vedremo) fra crediti di valuta e crediti di valore.

I crediti di valuta (denaro come oggetto) hanno ad oggetto, appunto, una somma di denaro e sono sottoposti al principio nominalistico di cui all’art. 1277 c.c., primo comma, secondo il quale i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale.

Al contrario, i crediti di valore (denaro come strumento), quali sono quelli che scaturiscono da fatti illeciti (ex art. 2043 c.c.) hanno ad oggetto una prestazione considerata per il suo concreto contenuto economico, rispetto alla quale il denaro ha solo una funzione di liquidazione.

Così ad esempio, il credito del venditore per il pagamento del prezzo della cosa venduta ha ad oggetto una somma di denaro, pagata la quale (salvo quanto si dirà) l’adempimento è compiuto.

Al contrario, il credito del danneggiato (es. la vittima di un sinistro stradale che in esso abbia perso una mano) ha ad oggetto il valore della mano, mentre il denaro è solo il mezzo attraverso il quale quel valore si concretizza e può, quindi, essere versato al creditore.

@2. In sintesi: interessi e rivalutazione da illecito contrattuale nelle obbligazioni pecuniarie (art. 1224 c.c.)

Com’è noto, ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma primo, nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora, di regola, gli interessi legali 1.

Detti interessi sono dovuti anche se essi non erano dovuti precedentemente, e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno.

In altre parole, il comma primo dell’art. 1224 c.c. prevede (per le obbligazioni pecuniarie) un danno forfettario e presunto, consistente nei c. d. interessi moratori.

Addirittura essi sono dovuti a prescindere dalla imputabilità del ritardo al debitore 2.

Quando si parla di interessi moratori occorre avere ben chiaro che nell’ambito delle obbligazioni contrattuali vi sono diversi tipi di interessi.

Infatti, gli interessi moratori (art. 1224, comma primo, c.c.) vengono concessi per risarcire il creditore del danno dovuto al ritardato adempimento.

Vi sono poi gli interessi corrispettivi, che sono quelli dovuti a compenso del godimento di denaro altrui.

Infatti, l’art. 1282, comma primo, c.c., prevede che i crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente.

Infine, vi sono gli interessi compensativi.

Essi riguardano i contratti di scambio, e valgono a compensare il venditore del mancato godimento dei frutti della cosa consegnata prima del ricevimento della controprestazione.

Prevede infatti l’art. 1499 c.c. che, salvo diversa pattuizione, nel caso in cui la cosa venduta e consegnata al com-Page 92pratore produca frutti o altri proventi, decorrono gli interessi sul prezzo, anche se questo non è ancora esigibile.

Ciò detto a proposito del risarcimento forfettario e presuntivo previsto dal primo comma dell’art. 1224 c.c., osserviamo che il successivo comma secondo serve a completare la tutela risarcitoria del creditore avverso il ritardo del debitore nell’adempimento.

Ivi infatti è previsto che al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento.

Questo (risarcimento) però non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori 3.

Dall’art. 1224 c.c. si evince quindi una doppia tutela del creditore contro il ritardo del debitore nell’adempimento, data da un risarcimento forfettario e presunto (gli interessi moratori) e da un risarcimento sottoposto all’ordinario onere della prova che grava sul creditore-attore, sia per quanto riguarda l’an che per quanto riguarda il quantum.

È proprio nell’ambito “del danno maggiore”, di cui all’art. 1224, comma 2, c.c. che trova corretta collocazione il danno cagionato dalla svalutazione della moneta.

Il rapporto fra i due commi dell’art. 1224 c.c. esige qualche specifica precisazione.

Innanzi tutto, occorre puntualizzare che il creditore di un’obbligazione pecuniaria non può pretendere di avere dal debitore in mora una somma corrispondente agli interessi moratori (es. mille euro) cumulati alla svalutazione monetaria (es. cinquecento euro, per un totale di 1.500,00 euro).

La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che vi è divieto di un siffatto cumulo 4.

L’insegnamento pare assolutamente condivisibile, perchè le espressioni “danno maggiore” e “ulteriore risarcimento”, di cui al comma secondo dell’art. 1224 c.c., hanno evidentemente a termine di paragone il danno presunto e il risarcimento legalmente forfettizzato di cui al precedente comma primo.

Del resto, si evince dalla stessa lettera dell’art. 1224 c.c. che il danno forfettizzato e presunto (cioè gli interessi di cui al comma primo) e quello da provarsi (cioè quello di cui al comma secondo, al quale può ricondursi la svalutazione monetaria) fanno parte di una categoria concettuale unitaria, quali distinte voci dello stesso danno, determinato da un unico fatto generatore.

Ne consegue che il maggior danno di cui al comma secondo dell’art. 1224 c.c. (e quindi il risarcimento ulteriore) non può cumularsi con gli interessi legali, e può avere quindi ad oggetto solo l’eccedenza rispetto al livello di risarcimento già assicurato dagli interessi moratori di cui al precedente comma primo.

Tuttavia occorre avere ben chiaro che il rapporto fra creditore (attore in giudizio) e debitore (convenuto) cambia radicalmente in virtù del potere unificante della sentenza.

Infatti, con la sentenza, il capitale, gli interessi e l’eventuale maggior danno (compreso quello da svalutazione monetaria), andranno a formare un unitario debito di valuta, e cioè un debito avente ad oggetto una indistinta somma di denaro.

Occorre anche considerare che questa ormai indistinta somma di denaro (oggetto del debito - credito) diviene liquida ed esigibile in virtù della mera sentenza di primo grado.

Infatti, già la sentenza di primo grado è provvisoriamente esecutiva fra le parti (art. 282 c.c.).

Poichè, dunque, si tratta di credito liquido ed esigibile, nulla osta all’applicazione (per esso) dell’art. 1282 c.c., in virtù del quale su tale globale somma inizieranno a decorrere gli ulteriori interessi, fino al saldo.

Ovviamente, detti interessi che il debitore dovrà corrispondere fino al saldo non saranno più interessi moratori, bensì interessi corrispettivi, come si evince dalla distinzione tripartita che sopra si è fatta 5.

Più in dettaglio, con riguardo alla maturazione di interessi e rivalutazione dopo la sentenza, si è ritenuto che l’impugnabilità e l’avvenuta impugnazione di una pronunzia esecutiva di condanna al pagamento di una somma di denaro non esimono il debitore, anche pubblico, dall’ottemperarvi, in quanto una tale pronuncia, pur non ancora consolidata nel giudicato, presuppone comunque la liquidità del credito, ossia la sua esistenza e la determinazione del suo ammontare, e l’esigibilità del medesimo, che consegue all’accoglimento della domanda giudiziale.

Ciò appunto autorizza il creditore (oltre a pretendere gli interessi corrispettivi dalla data stessa del deposito della sentenza esecutiva) a mettere, ove lo ritenga, anche in mora il debitore, agli ulteriori effetti di cui all’art. 1224 c.c. 6 .

Ancora a proposito della fase successiva alla sentenza, si è ritenuto che la sentenza di condanna (o il lodo arbitrale) al pagamento di somma di denaro liquidata in relazione alla data della pronuncia e dovuta a qualsiasi titolo, e dunque anche per il ritardo del debitore nell’adempimento di un’obbligazione originariamente pecuniaria, contempli o no la condanna del debitore al pagamento anche degli interessi a far tempo dalla data della liquidazione e fino al momento dell’effettivo pagamento, comunque consente al creditore sia di pretendere il pagamento degli interessi maturati successivamente alla pronuncia, sia di domandare in separato giudizio il risarcimento (ex art. 1224 c.c., comma 2) del maggior danno cagionatogli dal colpevole ritardo del debitore nel dare esecuzione alla sentenza medesima.

Tale ritardo assume a tali fini rilievo dalla data di insorgenza della mora, determinata da una delle situazioni che valgono a configurarla ai sensi dell’art. 1219 c.c., e presuppone il passaggio in giudicato della sentenza che non sia già esecutiva solo nel senso che, prima di allora, la domanda del creditore è priva di titolo ed il debitore po-Page 93trebbe per questo opporsi alla pretesa, ma una volta che il giudicato si sia formato il ritardo va computato dalla data in cui sia intervenuta la mora.

Nel caso (ormai ordinario) di sentenza provvisoriamente esecutiva, l’immediata esigibilità del credito comporta essa stessa (ai sensi dell’art. 1219 c.c., comma 2, n. 3) una situazione di mora debendi dalla data della pubblicazione della sentenza, salvi gli effetti della possibile caducazione del titolo 7.

@3. segue: obbligazioni pecuniarie e principio della domanda

La relazione fra interessi e rivalutazione monetaria, nonchè fra questi e il principio della domanda, si pone in modo assai diverso nelle obbligazioni contrattuali pecuniarie...

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