Portata e riflessi applicativi della sent. N. 362/2000 Della corte costituzionale in materia di tassazione dei canoni non percepiti

AutoreVittorio Angiolini
Pagine868-872

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  1. - Il dispositivo della sent. 12 luglio (26 luglio) 2000 n. 362 è un dispositivo di mero rigetto: la decisione della Corte non ha quindi, come tale, effetti vincolanti erga omnes; essa ha solo l'effetto di consentire la prosecuzione del giudizio a quo, da un lato, e, dall'altro, quello di impedire la riproposizione della medesima questione su cui la Corte ha giudicato nel corso di questo stesso giudizio a quo.

    Sebbene non vi sia stata nella fattispecie alcuna indicazione per esplicito circa i limiti della dichiarazione di infondatezza nel dispositivo - in cui non compare la formula, talora utilizzata, per cui l'infondatezza varrebbe «nei sensi Page 869 di cui in motivazione» - è peraltro proprio la Corte che, nel motivare, si preoccupa di chiarire come le questioni siano infondate «in quanto le norme censurate possono essere correttamente interpretate in modo da escludere le denunciate violazioni». In questo quadro, e tenendo conto dell'orientamento di dottrina per cui soprattutto in frangenti come questo le pronunce della Corte costituzionale vanno interpretate in base al principio di cd. «totalità», leggendo il dispositivo insieme alla motivazione (v., per tutti, R. ROMBOLI, in La motivazione delle decisioni della Corte costituzionale, Torino, 1994, 334 ss.), la sent. n. 362 del 2000 si presta ad essere classificata tra le pronunce di rigetto «interpretative».

    Pur senza effetti vincolanti per la generalità dei giudici e dei cittadini, la sent. n. 362 del 2000, in quanto «interpretativa» di rigetto, suggerisce un orientamento che sicuramente non può essere trascurato dalla giurisprudenza comune e che, nondimeno, potrebbe essere passibile di rettifiche o aggiustamenti in corso d'opera.

    Da un canto, la giurisprudenza dei giudici comuni, innanzi ad una sentenza di infondatezza «interpretativa» della Corte, non incontra vincoli cogenti e conserva un certo margine di libertà nel cercare le soluzioni più acconce a superare la sospettata incostituzionalità: il fatto che la Corte non abbia accolto la questione, nonostante abbia ritenuto indispensabile un'interpretazione adeguatrice per ricondurre la legge impugnata al sistema costituzionale, è per solito significativo, più che di un atteggiamento assolutorio dei Giudici costituzionali, della consapevolezza che, com'è anche nel caso nostro, la questione è delicata e postula un affinamento ulteriore delle risultanze del giudizio di costituzionalità in fase applicativa.

    D'altro canto, una decisione «interpretativa» di rigetto, come la sent. n. 362 del 2000, difficilmente potrebbe essere disattesa in blocco dai giudici comuni. In passato la Corte, allorché vi è stata una vera e propria «ribellione» della giurisprudenza comune alle sue decisioni di rigetto «interpretative», ha talora successivamente pronunciato addirittura una decisione sempre «interpretativa» ma di accoglimento, e di contenuto speculare, sulla medesima questione (è la tecnica della c.d. «doppia pronuncia»); oppure, sempre per sedare la «ribellione» dei giudici romani, la Corte ha, ove possibile, accolto questioni affini o contigue a quelle in precedenza dichiarate infondate per via «interpretativa», in modo da forzare la libertà della giurisprudenza comune per così dire indirettamente.

  2. È con questo spirito che occorre leggere la sent. n. 362 del 2000, nella quale la Corte costituzionale si mostra cauta sino dall'inizio, e cioè sin da quando procede alla delimitazione della questione di costituzionalità.

    Il problema affrontato concerne primariamente l'art. 23, comma 1 del D.P.R. n. 917 del 1986, «nella parte in cui assume quale base imponibile, ai fini della tassazione del reddito fondiario di un immobile locato, l'importo del canone convenuto in astratto ( . . .) anche quando non sia stato effettivamente percepito». Per riallineare la norma impugnata agli artt. 3, 24 e 53 Cost., la Corte ne offre un'interpretazione adeguatrice, secondo cui «il riferimento al canone di locazione», per l'imposizione sul reddito, «potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico»; la Corte tiene infatti a sottolineare che, risoltosi il contratto, quanto dovuto dall'ex conduttore inadempiente all'obbligo di restituire ha «natura risarcitoria» e non potrebbe concorrere al reddito fondiario (semmai, vi potrebbe essere applicazione dell'art. 6, comma 2, del D.P.R. n. 917 del 1986 che però - avvertono i Giudici costituzionali - presuppone «proventi conseguiti» e non «crediti non realizzati»).

    L'indicazione «interpretativa» che la Corte fornisce ai giudici comuni è, peraltro, univoca solo all'apparenza, poiché, per essere seguita, richiede la precisazione circa il momento in cui il contratto di locazione deve intendersi risolto; al riguardo, la Corte, nella sent. n. 362 del 2000, dà talune delucidazioni che, tuttavia, sono a loro volta da interpretare.

    La Corte segnala, alla stregua di ipotesi in cui il contratto di locazione può essere reputato risolto, la «presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (art. 1456 c.c.)» e la «risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (art. 1454 c.c.)», rimandando inoltre alla possibilità che sia intrapresa azione giudiziale di risoluzione per inadempimento (ex art. 1453 c.c.). Quello che tuttavia, ed anzitutto, complica le cose è che la Corte metta fuori dall'oggetto del decidere, come estraneo al giudizio, l'art. 8, comma 5 della L. n. 431 del 1998, là dove, ad integrazione e modifica del comma 1 dell'art. 23 del D.P.R. n. 917 del 1986, dispone che «i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore», aggiungendo altresì che «per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità è riconosciuto un credito di imposta di pari ammontare». Per la Corte, infatti, ogni questione relativa all'art. 8, comma 5 della L. n. 431 del 1998 sarebbe...

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