Corte di appello penale di Napoli sez. II, 29 maggio 2013, n. 2952

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Rivista penale 3/2014
Merito
CORTE DI APPELLO PENALE DI NAPOLI
SEZ. II, 29 MAGGIO 2013, N. 2952
PRES. MADDALENA – EST. GIANNELLI – IMP. D’OSCAR
Reato y Cause di non punibilità y Fatti commessi a
danno dei congiunti y Esclusione dell’esimente per
i delitti contro il patrimonio commessi mediante
violenza y Riferimento esclusivo alla violenza f‌isica
y Estraneità di ogni forma di minaccia.
. La disposizione del terzo comma dell’art. 649 c.p.,
nel trattare “insiemisticamente” i delitti di cui agli
artt. 628, 629 e 630 c.p., ed “ogni altro delitto contro
il patrimonio che sia commesso con violenza alle per-
sone”, deve essere interpretata nel senso del divieto di
applicazione del regime di favore di cui ai primi due
commi dell’art. 649 c.p. al tentativo dei succennati
delitti, quando commessi con violenza f‌isica, e non nel
senso di vietare il regime di favore suddetto ai delitti
consumati di cui agli articoli 628, 629 e 630 c.p. qualora
vengano commessi con minaccia. (Mass. Redaz.) (c.p.,
art. 56; c.p., art. 628; c.p., art. 629; c.p., art. 630; c.p.,
art. 649) (1)
(1) In senso conforme si esprime Cass. pen., sez. II, 28 aprile 2005,
P.M. in proc. Loritto, in questa Rivista 2006, 877. Nello stesso senso si
vedano anche Cass. pen., sez. II, 13 aprile 2005, Scibile, ivi 2006, 350;
Cass. pen., sez. II, 22 maggio 2002, Bernini, ivi 2003, 162; Cass. pen.,
sez. II, 26 luglio 1995, Pozzobon, ivi 1996, 510.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
La sentenza del primo giudice va riformata.
Poiché l’accoglimento del motivo di gravame con cui si
invoca la derubricazione dei delitti di estorsione in fatti
di esercizio arbitrario delle proprie ragioni comporterebbe
il proscioglimento dell’imputato “in parte qua” per difetto
della necessaria condizione di promovibilità (querela);
poiché tale declaratoria prevale anche sulle formule di
merito più ampiamente liberatorie, come si desume dalla
formulazione del secondo comma dell’articolo 129 c.p.p.,
che impone di preferire le formule di merito solo in caso di
improseguibilità dell’azione penale, dovuta all’intervento
di cause estintive, e non anche in caso di impromovibilità
dell’azione penale: la Corte deve prendere immediatamen-
te in esame il motivo con cui si chiede la derubricazione
in parola.
Esso non può esser accolto, in quanto, anche se fosse
rigorosamente provato – e non lo è – che le somme ottenu-
te dalla madre dell’imputato appartenevano a quest’ultimo,
che gliele avrebbe solo aff‌idato in custodia, salvo a chieder-
gliene parte per l’acquisto di sostanze stupefacenti, tale
negozio sarebbe affetto da nullità a’ sensi del primo comma
dell’articolo 1418 c.c., per contrarietà a norme imperative,
qual è certamente quella di cui all’articolo 75, T.U. 9 ottobre
1990, n. 309, e succ. modd., che comporta provvedimenti
ablatori emittenti da parte dell’Autorità prefettizia.
Deve, a questo punto, dirsi che è provata la sussistenza
del materiale obiettivo e subiettivo dei delitti di cui ai capi
A) e B): la ritrattazione dei genitori dell’imputato, per un
verso, risponde ad un ben comprensibile sentimento di “ri-
morso” in tutti i casi in cui i f‌igli che chiedono somme per
l’acquisto di sostanze stupefacenti ai genitori costringono
alla denunzia questi ultimi, specialmente nella speranza di
una disintossicazione in carcere dei f‌igli, ma anche perché
messi alle strette da un clima infernale di vessazione, e,
d’altro canto – come ben nota il primo giudice – si dovreb-
be, diversamente argomentando, costruire l’ipotesi di una
calunnia contro il f‌iglio, “gonf‌iata”, di più, dal riferimento
ad una serie infernale, e sommamente duratura, di danneg-
giamenti a suppellettili e continue minacce all’incolumità
ed alla vita, mentre sarebbe risultato bastevole riferire di
una minaccia proferita per ottenere una somma di dena-
ro; ancora, i militari operanti ebbero modo di percepire il
dialogo tra l’imputato ed il padre, che reiteratamente stava
chiedendo al D’Oscar di restituire alla madre la somma di
denaro – cento euro – estortale: se non vi fosse stata estor-
sione, non si comprenderebbe l’“accanimento petitorio”
constatato dai militari nei termini surriferiti.
Bisogna – tanto premesso – chiedersi se i fatti di estor-
sione di cui sopra, come visto sussistenti, anche sotto il
prof‌ilo psicologico, costituiscano comunque reato o va-
dano, invece, esenti da pena a’ sensi del numero due del
primo comma dell’articolo 649 del codice penale.
Ad avviso di questa Corte, bisogna pronunciarsi, al ri-
guardo, in senso affermativo. È noto il Supremo Collegio,
con giurisprudenza ormai consolidata, nega la possibilità
di applicazione della suddetta esimente nel caso di rapina
od estorsione – anche se commessa con minaccia – mas-
sime nel caso di consumazione del delitto, e non di tenta-
tivo; non di meno, deve notarsi che, a volta, la stesa Corte
di cassazione (sezione II, 28 aprile 2005, n. 16023, P.M.
in proc. Loritto, RV231785) ha enunciato il principio alla
stregua del quale “la minaccia o la mera violenza psichica
non esclude la conf‌igurabilità della causa di non punibi-
lità e della perseguibilità a querela per i reati contro il
patrimonio commessi in danno di prossimi congiunti (art.
649, commi primo e secondo, c.p.), in quanto la clausola
negativa prevista dall’art. 649, comma terzo, opera solo
quando il fatto sia commesso con violenza f‌isica”.
Rivista_Penale_03_2014.indb 313 27-02-2014 11:43:25

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