Ancora sull'ammissibilità della locazioni ad uso foresteria dopo la legge 9 dicembre 1998 n. 431

AutoreVincenzo Cuffaro
Pagine363-365

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È lecito interrogarsi sul significato che può essere attribuito alla recente entrata in vigore dell'art. 145, comma 9 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (finanziaria 2001) con il quale è stato aggiunto un ulteriore periodo all'art. 62 comma 1 bis del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, riguardante le imposte sui redditi. In particolare, si deve verificare se ed in quale misura la nuova previsione normativa (riguardante l'integrale deducibilità dei canoni corrisposti dalle imprese per i fabbricati concessi in uso ai dipendenti) può spiegare influenza sul problema della disciplina applicabile al contratto di locazione ad uso foresteria e, prima ancora, della stessa ammissibilità della figura contrattuale.

La prospettazione della novità legislativa consente di riprendere, approfondendola, la riflessione in altra occasione avviata (in questa Rivista 1999, 353) circa la configurabilità di contratti di locazione soggetti alla sola disciplina che nel codice civile, agli artt. 1671 ss. è dettata per il tipo contrattuale, tornando a considerare il non sempre perspicuo testo normativo di cui alla legge 9 dicembre 1988, n. 431.

La questione di fondo, per individuare immediatamente il nodo da sciogliere, riguarda la ammissibilità di contratti di locazione che, pur prevedendo l'uso dell'immobile per finalità abitativa, siano tuttavia esclusi dal novero di fattispecie disciplinate dalla legge 431/98 e possano quindi essere assoggettati, quale espressione dell'autonomia privata, alla sola disciplina generale del contratto.

In tale prospettiva, la considerazione di un contratto nel quale le parti convengono che l'immobile sarà adibito ad uso foresteria vale ad individuare una fattispecie paradigmatica, rispetto alla quale saggiare la percorribilità di un itinerario ermeneutico che finisce per investire l'attuale significato della disciplina delle locazioni di immobili urbani, all'indomani della rimozione del principio della determinazione autoritativa del contenuto contrattuale che, come è noto, ha costituito, a far data del 1978, il tratto caratterizzante la regolamentazione legislativa della materia.

L'accostamento della locazione ad uso foresteria alla figura della locazione di natura transitoria, di cui all'art. 5 della legge 431/98, nasce dal rilievo che riveste in entrambe l'elemento temporale, certamente diverso da quello che invece contraddistingue le locazioni per così dire ordinarie, stipulate, cioè, al conduttore per soddisfare un'esigenza abitativa stabile o primaria. La foresteria è, infatti, termine che individua una utilizzazione certamente non stabile dell'immobile, giacché rinvia ad una residenza temporanea per ragioni di lavoro o di ospitalità, e quindi evoca quella «esigenza abitativa di natura transitoria» di cui all'art. 26 della L. 392/78, che, sul piano testuale, costituisce l'antecedente storico della disciplina attuale.

Nel disegno della legge può cogliersi, almeno ad una prima lettura, una indicazione esplicita nel senso che, cancellata in termini generali la prescrizione imperativa sul canone, l'attenzione precettiva rimane focalizzata sulla durata del rapporto locativo. Conseguentemente, la libertà delle parti rispetto alla destinazione abitativa dell'immobile locato sembra indirizzata alla scelta tra una durata quadriennale, accompagnata da particolari cautele per il rinnovo non automatico, ed una durata triennale, complementare tuttavia alla eterodeterminazione del canone, ovvero una durata ancora inferiore, ma alle «condizioni e modalità» rimesse all'atto regolamentare che recepisce la convenzione nazionale tra le organizzazioni di categoria.

Rispetto a tale disegno complessivo, la esplicita menzione, nell'art. 5 della legge, dei contratti di natura transitoria, stipulati per una «durata inferiore ai limiti previsti» dalla legge, in funzione di «particolari esigenze delle parti»...

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