La figura dell’amministratore tra autonomia e subordinazione all’assemblea di condominio

AutorePaolo Di Matteo
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    Intervento svolto al XXI Convegno Coordinamento legali Confedilizia tenutosi a Piacenza il 17 settembre 2011.

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1. Premessa

Il condominio è stato l’istituto giuridico che ha registrato la più alta dinamicità innovatrice ad opera giurisprudenziale. Oggi, uno sciatto legislatore sta delineando un tentativo riformatore già licenziato al Senato.

Con richiamo agli artt. 1130 e 1131 c.c. nonché per la nomina ex art. 1129 c.c., le modifiche prospettate sono poco più di una mera ricapitolazione di tutte le pronunce della Corte di Cassazione sull’argomento, un coacervo pessimamente assortito di “ultrapoteri” attribuiti ad un “super” amministratore che disequilibra il delicatissimo rapporto “assemblea - amministratore - condomino”.

La presente relazione vuole essere una breve panoramica sulla figura dell’amministratore di condominio, la quale ondeggia fra spazi di autonomia dall’assemblea e di subordinazione ad essa.

Uno spedito studio dell’istituto con l’ausilio delle interpretazioni correttive (a volte suppletive) dei giudici di legittimità, lascia immediatamente ravvisare la possibile dannosità dell’odierno tentativo legislativo. Non avendo nulla di tecnico a parte un paio di buoni spunti che tratterò ultra, la riforma sembra perdersi nel tentativo di “scrivere il più possibile” nella speranza di eliminare ogni presunta lacuna dell’attuale sistema.

Sarebbe bastato un sapiente coordinamento fra gli istituti del mandato e delle società nonché il recepimento dei principi di diritto individuati dalla Cassazione per interpretare le norme sul condominio già esistenti. Questa riforma pone oggi un problema di non poco conto. In primo luogo, non consente di comprendere l’importanza di conferire al condominio la capacità giuridica e si rischia l’approvazione di un intervento legislativo carente di capace ingegneria giuridica. In secondo luogo, mortifica l’attuale disciplina - elegantemente concisa ed essenziale -con l’inserimento di una pletorica “banca dati” giurisprudenziale.

Infine, legittimerebbe un amministratore troppo “potente” e , in ultima analisi, “invadente”.

Pericoli di una scienza legislativa che mostra i suoi limiti, e già ne eravamo avvertiti.

L’attacco ai codici era stato denunziato dal prof. Natalino Irti che, partendo dal suo “L’Età della decodificazione” (1978), ed arrivando alla sua ultima opera “Il diritto senza verità”, ha compiutamente evidenziato la crisi del sistema codice. Ciò mette in discussione il giurista il quale non trova più alle sue spalle una stabilità normativa ed è spesso costretto a contorte, quanto discutibili, ricostruzioni interpretative della norma applicabile. Sicché, sempre secondo il Prof. Irti, la certezza del diritto può essere garantita solo da un ruolo forte della dottrina, poiché al di fuori dei codici prodotti ed emanati da un’autorità legislativa esistono le leggi speciali che, invece, sono frutto di una negoziazione tra gli operatori di settore e potere politico e che, quindi, nascono al di fuori di schemi di legittimazione democratica ordinaria.

Questo tentativo di riforma è nel senso anzidetto, indebolendo ulteriormente il sistema codicistico a scapito della certezza univoca del diritto.

Ad oggi, comunque, nella struttura piramidale che governa il condominio: “assemblea - amministratore - condomino”, il secondo continua ad esserne il motore gestionale senza grandi modifiche se non nel “dinamico” sistema di maggioranze che regola l’assemblea e negli strumenti di tutela offerti ai condòmini.

Diffusamente si definisce l’amministratore quale “organo esecutivo” del condominio e perciò stesso necessario.

Organo chiamato a risolvere i più disparati problemi, ad adottare le misure più idonee, ad impartire le opportune direttive per una valida tutela dei beni comuni, da cui l’autonomia che caratterizza la figura.

L’amministratore svolge le proprie funzioni nel e per il condominio, la cui economia e vita associativa finiscono per collettivizzare e socializzare gradualmente, sia pure nell’ambito di un numero limitato di persone, la proprietà individuale.

La questione non è di poco conto. Seguendo l’interpretazione lockiana, la libertà coincide con la proprietà intesa quale facoltà di disporre dei titoli legittimamente detenuti senza recare offesa agli altri. Con tale premessa, può fondarsi una chiarificatrice interpretazione delle norme attinenti l’ufficio dell’amministratore di condominio per determinare i limiti del suo agire.

Nelle categorie del liberalismo classico e del libertarismo non è lecito contestare la proprietà, dato che tale concetto definisce l’ordine dei titoli legittimi: essa consiste nella facoltà di ogni individuo di condursi senza commettere ingiustizia. Si possono contestare le distribuzioni dei titoli frutto di ingiustizie, così come le regole che presiedono alla definizione dei titoli stessi, ma l’ipotesi di contestare la proprietà in quanto tale condurrebbe a negare l’idea stessa del diritto.

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Se fossero tali regole a definire ciò che ogni uomo può fare o non può fare, la proprietà avrebbe esattamente la funzione di delimitare questo spazio di azioni legittime - (cfr. Carlo Lottieri introduzione a “Il diritto dei proprietari” di Henri Lepage e Murray N. Rothbard).

Berry Smith e Leo Zaimbert nel loro “The Metaphisics of Real Estate” sottolineano che la proprietà è spesso concepita secondo il modello Hohfeld del “bundle of stiks” - cioè del fascio di bastoncini - dove ogni bastoncino indica un particolare diritto o potere: un diritto di usare, un diritto di possedere, di suddividere, di affittare, di costruirvi sopra, di goderne l’usufrutto e così via (ovviamente in un sistema di common law, che uso a soli fini esplicativi). Ora è proprio questa antica e sempre rinnovata possibilità di scindere in innumerevoli modi la proprietà che fa di tale istituto lo strumento naturale che gestisce le relazioni tra gli uomini, sempre ricordando che nella tradizione giuridica continentale si preferisce definire la proprietà un diritto dotato di una propria elasticità.

Ciò posto, se quella species di comunione, che va sotto il nome di condominio, rappresenta l’insieme di più proprietà esclusive strutturalmente collegate tra loro da parti comuni e con servizi comuni e, come sopra anticipato, fra loro coattivamente collettivizzate e socializzate, l’amministratore dovrà operare sempre e comunque quale organo garante del diritto dei rispettivi proprietari/condòmini di godere e disporre dei propri piani o porzioni di piani in modo pieno ed esclusivo; purché entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico e, quindi, dall’organizzazione di gruppo che caratterizza tale istituto gestita dal criterio della quota e del principio maggioritario (artt. 832 e 1117 s.s. c.c.). Solo così si potrà raggiungere il rispetto della libertà di ognuno dei compartecipi che fonda, in definitiva, le premesse dell’amministrazione virtuosa del condominio.

2. Le origini della odierna figura di amministratore

L’istituto in commento, come noi lo abbiamo conosciuto e conosciamo oggi, si sviluppa a partire dalla trasformazione sociale italiana prodottasi all’indomani della Grande Guerra (1915-1918) che trasformò l’Italia da una nazione prettamente agricola ad una nazione industriale con conseguente inurbamento della popolazione. La commissione istituita dal Ministro Guardasigilli Mortara con Decreto del 13 dicembre 1919, presieduta dal professor Luigi Einaudi, per studiare e proporre i provvedimenti necessari alla sollecita soluzione della crisi delle abitazioni e degli alloggi prodottasi all’indomani del conflitto mondiale sopra ricordato, fotografò una realtà eccezionale per la giovane nazione. I numeri cui approdò la commissione furono impressionanti per la popolazione italiana a cavallo tra il 1919 ed il 1920: il commissario agli alloggi di Milano valutò in 2000 il numero dei locali costituenti il fabbisogno urgente della persone assolutamente prive di abitazione. Per Roma, fu stimato intorno ai 20.000 vani all’anno per i successivi 10 anni, cifra ritenuta sufficiente per far fronte all’aumento della popolazione. Numeri piuttosto importanti furono registrati anche per le città di Napoli e Palermo.

In alternativa, detto per inciso, la Commissione propose con lungimiranza un miglioramento dei trasporti con i comuni dell’hinterland di queste città, al fine di scongiurarne ogni possibile congestionamento.

La Commissione giunse altresì ad una stima temporale per la soluzione dei problemi denunciati dal proprio studio, secondo cui nei dieci anni successivi si sarebbero soddisfatte le esigenze abitative (cfr. Luigi Einaudi “Il Problema delle Abitazioni” lezioni tenute all’Università Commerciale Luigi Bocconi dal 26 aprile al 2 maggio 1920).

Il regime fascista, salito poco dopo al potere (1924), programmò un intenso intervento edilizio che interessò non sol-tanto le città più importanti ma anche quelle di...

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