D.L.VO N. 231/2001: L'ambito soggettivo di applicazione alla luce della sentenza N. 18941/2004 Della corte di cassazione

AutoreNicola Monfreda
Pagine1303-1308

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@1. Premessa

Il decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 rappresenta l'attuazione degli articoli 11 e 14 della legge 29 settembre 2000, n. 300, attraverso la quale si delegava il Governo ad adottare, entro otto mesi dalla sua entrata in vigore, un decreto legislativo avente ad oggetto la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società, associazioni od enti privi di personalità giuridica che non svolgono funzioni di rilievo costituzionale, secondo i principi e criteri direttivi contenuti nell'articolo 11. Attraverso la legge 29 settembre 2000 n. 300 si era provveduto a recepire la Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, il suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27 settembre 1996, il Protocollo concernente l'interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee di detta Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1997 ed, infine, la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997. Le precisazioni di cui sopra sono necessarie a comprendere il contesto politico ed istituzionale nel cui ambito il legislatore ha introdotto una norma dai forti caratteri innovativi, quale appunto il D.L.vo n. 231/2001; in particolare risultava improcrastinabile in ambito europeo la scelta di realizzare un'effettiva razionalizzazione ed armonizzazione della vis repressiva degli Stati membri nei confronti di una criminalità economica diffusamente in mano a soggetti a struttura organizzata e complessa. Pertanto il D.L.vo 231/2001 è stato concepito in un particolare periodo storico e «rappresenta una tappa fondamentale nel processo di modernizzazione del diritto penale, che mira all'accoglimento, anche nel nostro sistema, della responsabilità penale delle persone giuridiche» 1. Quanto detto è sufficiente per cogliere l'indubbia rilevanza che la norma de quo assume nel panorama delle novità legislative in materia di diritto penale e di diritto societario. In ragione della sempre più evidente tendenza della persona giuridica o, comunque, delle compagini aziendali intese in senso lato, a rendersi protagoniste di forme di criminalità particolarmente insidiose e dotate di un altissimo disvalore sociale quali le frodi, il riciclaggio, la corruzione, il falso in bilancio ed altre forme di illeciti societari, si è assistito ad un progressivo ridimensionamento del principio societas delinquere non potest; processo avviatosi a livello internazionale da più di un decennio e dettato da motivazioni di politica criminale.

Negli Stati Uniti d'America, infatti, attraverso il «Criminal Fine Enforcement Act», nel 1984 si sono rese più aspre le sanzioni irrogabili agli enti e si è creato un sistema attraverso il quale le autorità sono «capaci» di plasmare la struttura interna delle società potendone condizionare persino lo statuto. Inoltre, in seguito al biasimo collettivo ed istituzionale causato dalla diffusa consumazione di fattispecie illecite da parte delle imprese, quali gli electrical cases, le violazioni alla normativa antitrust ed i fenomeni diffusi di corruzione ed insider trading, molte società hanno deciso di dotarsi di codici etici, forme di autoregolamentazione ed autodisciplina delle persone giuridiche.

Nella stessa Comunità europea è emersa la necessità di adottare idonei strumenti di lotta alla criminalità d'impresa; basta pensare alla Raccomandazione 88/18 del Consiglio dei Ministri Europeo, la quale ha evidenziato l'importanza di una punizione diretta delle persone giuridiche; in seguito si è avuto il Regolamento 2988/1995 attraverso il quale è stata sancita esplicitamente la responsabilità delle persone giuridiche che abbiano compiuto talune condotte criminose (art. 7).

Sulla stessa linea si pone la Convenzione OCSE, stipulata a Parigi il 17 dicembre 1997, avente ad oggetto la lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, in vigore per l'Italia dal 15 dicembre 2000. Detta Convenzione impone agli Stati aderenti di considerare reato per le persone fisiche la corruzione di funzionari stranieri per ottenere indebiti vantaggi nel commercio internazionale, fattispecie per la quale si prevede la punibilità in capo alle persone giuridiche. Per quanto riguarda gli ordinamenti nazionali di alcuni dei più importanti Stati europei, basta ricordare l'esempio di Norvegia, Olanda, Gran Bretagna, Irlanda, Scozia e Francia, nei quali la configurabilità della responsabilità penale delle persone giuridiche aveva trovato espressa disciplina 2. Pertanto, rinviando all'analisi della natura della responsabilità dell'ente la diatriba in merito al superamento o meno del principio de quo in relazione al nomen adottato per definire le tipologie di sanzioni comminabili, non si può evitare di sottolineare che il decreto n. 231 rappresenta una vera e propria pietra miliare nel panorama giuridico italiano, visto che è teso ad ottenere un efficace effetto deterrente nei confronti dell'ente. Infatti, come vedremo a breve, attraverso la previsione di un «pesante» catalogo sanzionatorio agganciato al verificarsi di una determinata «colpa dell'organizzazione», si è sostanzialmente cercato di trasferire la funzione preventiva generale e speciale in capo alla persona giuridica, incanalando la stessa verso atteggiamenti tesi ad approntare al proprio interno un efficace sistema di prevenzione della commissione di talune fattispecie criminose particolarmente insidiose per il contesto politico, economico e sociale.

@2. Caratteri generali

Il decreto de quo, così come disposto dall'art. 1, disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato. In poche parole l'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio 3 da parte dei soggetti che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente o di una sua unità organizzativa dotata diPage 1304 autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione ed il controllo dello stesso, oltre che, al verificarsi di diverse condizioni, da parte di persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui sopra. L'insorgere della responsabilità «amministrativa» dell'ente al pagamento delle pesanti sanzioni pecuniarie previste dal decreto, oltre che alla sottoposizione alle altre sanzioni accessorie, è agganciato intimamente alla commissione, da parte dei soggetti che ricoprono, nell'ambito della compagine aziendale, una delle posizioni in precedenza analizzate, di uno dei reati tassativamente contemplati dall'art. 24 all'art. 25 quater. A tal proposito è bene sottolineare che il legislatore, al fine di assicurare una maggiore tutela, ha cercato di ampliare la portata della «parte speciale» del D.L.vo n. 231. Ad un esiguo numero di «reatimatrice» contenuto negli originari articoli 24 e 25, condizione dettata dalla necessità di un periodo di «rodaggio» del nuovo corpus normativo, che prudentemente consigliava una cauta limitazione degli illeciti penali cui fosse ricollegabile la responsabilità amministrativa dell'ente, è seguita la quasi immediata aggiunta dell'art. 25 bis, sui delitti di falso, dell'art. 25 ter nell'aprile 2002 per quanto riguarda i nuovi reati societari e nel gennaio del 2003 dell'art. 25 quater in merito alla lotta al terrorismo internazionale 4 5. È importante ricordare, inoltre, che il Consiglio dei Ministri, con la seduta del 4 aprile 2003, ha approvato il disegno di legge recante la ratifica della Convenzione di Palermo, al fine di portare l'articolo 25 al numero di octies. Il disegno di legge, rubricato «Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001», comporta un significativo ampliamento delle ipotesi di responsabilità delle persone giuridiche, in relazione a fattispecie di criminalità economica di notevole rilievo.

L'articolo 8 del disegno di legge citato dispone che dopo l'articolo 25 quater del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, sono inseriti i seguenti: a) articolo 25 quinquies (Riciclaggio), che prevede la responsabilità amministrativa pecuniaria della persona giuridica, da duecento a ottocento quote, per i delitti di cui agli articoli 648 bis (Riciclaggio) e 648 ter (Impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) del codice penale; b) articolo 25 sexies (Tratta), che prevede sanzioni per l'ente, da seicento a mille quote, per i delitti di cui agli articoli 600 (Riduzione in schiavitù o in servitù) e 602 bis (Tratta di persone) del codice penale; c) articolo 25 septies (Traffico di migranti) secondo cui si applicano sanzioni all'ente, da duecento a mille quote, per i delitti di cui all'articolo 12, commi 3, 3 bis, 3 ter e 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo Unico in materia d'immigrazione); d) articolo 25 octies (Intralcio alla giustizia), che prevede l'applicazione alla persona giuridica della sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote, per i delitti di cui all'articolo 377 c.p. Nelle ipotesi sub a), b) e c), in aggiunta alla sanzione pecuniaria, si applicano all'ente le sanzioni interdittive previste dall'art. 9, comma 2 del D.L.vo 231 per una durata non superiore a due anni 5. Affinché l'ente sia destinatario del provvedimento giurisdizionale di irrogazione delle sanzioni amministrative, oggetto della sentenza emessa dal medesimo giudice penale competente a giudicare e ad emettere le sanzioni penali al reo di una delle citate figure illecite, è necessario che una persona fisica, nelle condizioni d'impiego previste dall'art. 5, comma 1, abbia commesso uno dei reati-matrice previsti...

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