Osservazioni sulla proposta di legge c. 2350 In materia di alleanza terapeutica, di consenso informato e di dichiarazioni anticipate di trattamento

AutoreFrancesco Paolo Garzone, Anna Galatone
Pagine471-474

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In un periodo tormentato da grandi interrogativi morali la Camera dei deputati si appresta a discutere una proposta di legge che, già definitivamente approvata dal Senato, dopo il richiamo ai principi di cui agli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost. (art. 1), reca disposizioni in materia di consenso informato (art. 2), testamento biologico (artt. 3 ss.) e alleanza terapeutica medico-paziente.

Per la filosofia di Heidegger l’esistenza dell’uomo è un Sein zum Tode, un “essere per la morte”; ma chi, in concreto, debba governare il vivere e decidere la morte è un quesito che provoca dubbi radicali.

Si tratta, in sostanza, di riflettere su un tema antico ma ancora attuale, ossia sui limiti e sulla natura della libertà umana, cercando di tradurre in termini giuridici una ri- flessione che appartiene (anche o, forse, soprattutto) ad altre branche dello scibile umano.

Le materie regolande dalla legge assumono rilevanza, oltre che per il diritto costituzionale, privato e penale, anche per l’etica, la scienza, la religione, la sociologia, l’antropologia…

A distanza di due secoli la certezza di Friedrich Carl von Savigny che “la morte come limite della capacità giuridica è un evento naturale così semplice che non è necessaria una determinazione più netta dei suoi elementi” cede il passo ad uno stato di fatto che, anche a causa del progresso tecnico-scientifico, si presenta assai più problematico.

L’incessante incedere del sapere medico può illudere, invero, di restituire alla persona la signoria sulla vita e di elevare la stessa ad unica titolare del diritto di decidere in ordine ai trattamenti sanitari e al rifiuto degli stessi.

Tale illusione, tuttavia, si scioglie al contatto con l’etica della sacralità della vita e si inchina al cospetto delle tematiche di fine-vita.

Il giurista chiamato ad esprimere il proprio parere rispetto all’importanza delle questioni trattate ed alle implicazioni che derivano dalla scelta per una (piuttosto che per un’altra) opzione legislativa non può che soffrire un senso - tutto umano - di umiltà ed incertezza.

Tale atteggiamento lo indirizza alla ricerca di solidi riferimenti nei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico e dell’etica, nella consapevolezza che, come sostiene Gehlen nell’opera “L’uomo, la sua natura e il suo posto nel mondo”, “la quinta essenza della strutturazione della vita dell’uomo si chiama moralità, ed essa è una necessità biologica che sussiste solamente nell’essere umano”.

Egli, uomo con i suoi limiti e le sue debolezze, non può che cercare nei valori fondanti l’ordinamento una risposta alle molteplici domande che la società, sempre più pressantemente, gli prospetta.

Si tratta di vivere quello stesso senso di “vertigine” avvertito dal Legislatore e risolto all’art. 1 della proposta di legge attraverso il richiamo agli artt. 2 (che riconosce i diritti inviolabili della persona umana), 3 (che tutela e promuove l’uguaglianza di tutti sia in senso formale che in una dimensione sostanziale), 13 (che proclama l’inviolabilità della libertà personale, nella quale “è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo” (Cort. Cost., 471/1990)) e 32 (che tutela la salute come diritto fondamentale dell’individuo, oltre che come interesse della collettività) della Costituzione, nonché alle più immediate e dirette specificazioni che tali disposizioni hanno ricevuto da parte della giurisprudenza.

Sul piano etico soccorre, invece, quanto contenuto nella Dichiarazione sull’eutanasia (parte IV del 9 dicembre 2000) della Pontificia Accademia per la vita: “Nell’immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile ed imminente … vi è grande differenza etica tra “procurare” la morte e “permettere” la morte: il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa e rievoca una delle pagine più alte delle Sacre Scritture (“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” - Lc. 23, 46), quella che, con silenziosa commozione, ripercorre l’abbandono consapevole e fiducioso del Figlio dell’Uomo sul Golgota ad un destino in cui: “Tutto è compiuto” (Gv. 19,30), in cui l’immagine umana della sofferenza e della fine dell’esistenza è vinta dal tempo e si consegna alla storia: “E, chinato il capo, spirò (Gv. 19,30)”.

Questa scelta di campo non è universalmente condivisa. Così, ad esempio, scriveva Indro Montanelli: “Io non voglio soffrire, io non ho della sofferenza un’idea cristiana. Ci

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dicono che la sofferenza eleva lo spirito; no la sofferenza è una cosa che fa male e basta, non eleva niente. E quindi io ho paura della sofferenza. Perché nei confronti della morte, io che in tutto il resto credo di essere un moderato, sono assolutamente radicale. Se noi abbiamo un diritto alla vita, abbiamo anche un diritto alla morte. Sta a noi, deve essere riconosciuto a noi il diritto di scegliere il quando ed il come della nostra morte”.

Ma anche il “semplice morire” richiede rispetto, se manca è perché cela...

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