Patteggiamento allargato; un'infausta metamorfosi che defenestra giustizia e parte civile

AutoreRosario Li Vecchi
Pagine149-152

Page 149

@1. Introduzione.

La crisi della giustizia, ormai nota dominante da diversi decenni, ha sempre costituito per il legislatore un angoscioso «nodo gordiano» che lo ha reso preoccupato e quindi costretto a lambiccarsi il cervello onde trovare un rimedio che potesse, quanto meno, arginare tale «crisi». Dopo varie riflessioni e lunghe meditazioni, finalmente esso si illuse di avere trovato la «pietra filosofale», la «panacea» a tutti i malanni che affliggevano il settore della «giustizia», rimedio intravisto in un intervento sulla pletora dei reati bagatellari, decidendo, di punto in bianco, di rinunziare al loro perseguimento in via penale e procedendo, ex abrupto, alla loro depenalizzazione, trasferendoli, così, nell'ambito della giurisdizione amministrativa, senza minimamente rendersi conto che una tale operazione avrebbe fatto scaturire una pletora di problemi sia di carattere tecnico-giuridico che ermeneutico. Per offrire, adesso, un quadro di tale rivoluzionamento legislativo, abbiamo ritenuto opportuno ed utile suddividere la trattazione della materia, peraltro molto interessante nonché complessa e difficile, in capitoli, offrendo, anzitutto, un excursus storicolegislativo sul fenomeno della «depenalizzazione» intravista in tutti i suoi variegati aspetti, per passare, poi, ad un excursus storico-legislativo del «patteggiamento» con tutte le sue metamorfosi e pervenire, infine, all'ultimo recentissimo escamotage del legislatore, quale il «patteggiamento allargato» intravisto, anche questo, in tutti i suoi aspetti illogici e contraddittori, le sue pecche ed omissioni e per concludere, come sempre, con le nostre osservazioni e critiche.

@2. Excursus storico-legislativo sulla «depenalizzazione».

Da oltre un trentennio la problematica riguardante la «depenalizzazione», era divenuto un pensiero ed una nota dominante per il nostro legislatore il quale, con l'adozione di tale «rimedio», si era illuso di avere finalmente raggiunto un duplice scopo. Da una parte l'eliminazione della qualifica di illecito penale a fatti di reato di scarsa rilevanza sociale e dall'altra di avere così proceduto allo spostamento della competenza dall'Autorità giudiziaria a quella amministrativa. Animato da tali propositi esso si pose, quindi, al lavoro ed i primi tentativi, però con poca fortuna, venivano fatti con la emanazione della L. 3 maggio 1967, n. 317 con la quale veniva modificato il sistema sanzionatorio delle norme in tema di «circolazione stradale» e delle norme in tema di «regolamenti locali» e che appariva come un primo timido «saggio sperimentale».

Questo modus operandi, molto cauto e circospetto, e malgrado le severe critiche di vario genere mosse alla normativa de qua, anziché scoraggiare il legislatore e convincerlo a non proseguire per la intrapresa via, al contrario esso continuava a muovere ulteriori passi verso le già deliberate riforme ed ecco venire fuori la legge 24 dicembre 1975, n. 706 e che, a differenza della precedente, non limitava più la «depenalizzazione» ad alcuni particolari settori dell'ordinamento, ma essa veniva estesa a tutte le contravvenzioni punite con la sola ammenda. Tale ampliamento, però, diede luogo ad una complessa e difficile problematica riguardante, in particolar modo, la distinzione tra illecito penale ed amministrativo e che scaturiva dal raffronto tra le varie normative. Or tale legislazione (1967-1975) non diede, però, i risultati sperati sia per i vari difetti di carattere tecnico-giuridico, ermeneutico e sistematico, che vi si annidavano, e sia perché da parte dei cittadini interessati vi fu scarsissima rispondenza. Visti, ancora una volta, i risultati negativi, il legislatore, a questo punto, fu preso da dubbi e perplessità in ordine alla scelta da adottare: intervenire con dei «ritocchi» oppure effettuare una «riforma radicale»? e dopo lunghi ripensamenti, nel dare una risposta al proposto dilemma, optava per questa seconda soluzione, ma il cammino percorso, in tale senso, fu molto lungo e tortuoso in sede parlamentare ed ecco, alla fine, venir fuori, come Minerva dalla testa di Giove, la L. 24 novembre 1981, n. 689 avente per oggetto «Modifiche al sistema penale» ed il cui art. 42 abrogava le precedenti leggi (371/1967 e n. 706/ 1975). Quello che in questa nuova legge rimaneva però immutato era il carattere punitivo ed afflittivo delle sanzioni, come rilevato da gran parte della dottrina 1.

@3. Excursus storico-legislativo sulla metamorfosi del «patteggiamento».

Procedendo, adesso, ad un esame generale e sommario della L. 689/81, frutto anche questa dei soliti «compromessi politici», essa manifestò immediatamente le sue numerose pecche, frutto della frettolosità, confusione e caos con cui la stessa venne concepita e formulata e tutto ciò contribuì, poi, in maniera notevole, a suscitare disparità di opinioni in dottrina e vari contrasti giurisprudenziali, specie presso i giudici di merito che, avendo notato disparità di trattamento e quindi seri e fondati motivi di illegittimità, finirono con il chiamare in causa, più volte, la Corte costituzionale la quale dichiarò inammissibili tutte le questioni alla stessa rimesse 2. In un nostro scritto 3, nell'occuparci ex professo della L. 689/81, ne avevano rilevato vizi, difetti, lacune ed in particolar modo la mancanza della chiarezza e linearità delle sue norme, soffermandoci, espressamente, sugli artt. 53 e 77, il quale ultimo così statuiva: «nel corso dell'istruzione e fino a quando non sono compiute per la prima volta le formalità di apertura del dibattimento, il giudice, quando ritiene, in seguito all'esame degli atti ed agli accertamenti eventualmente disposti, che sussistano elementi per applicare, per il reato per cui si procede, la sanzione sostitutiva della libertà controllata o della pena pecuniaria, può disporre, con sentenza, su richiesta dell'imputato e con il parere favorevole del pubblico ministero, l'applicazione della sanzione sostitutiva, con esclusione di ogni pena accessoria e misura diPage 150 sicurezza, ad eccezione della confisca nei casi previsti dal secondo comma dell'art. 240 del codice penale. In tal caso, con la stessa sentenza, dichiara estinto il reato per intervenuta applicazione della sanzione sostitutiva su richiesta dell'imputato...». L'introduzione del c.d. «Patteggiamento» destò subito l'interesse generale di parte della dottrina la quale si disse ottimista e coltivò dei sogni, permeati dalla illusione dell'avvento di tempi nuovi e di apertura verso nuove mete e prospettive 4. Malgrado i risultati ottenuti, per la verità niente affatto incoraggianti, specie con riguardo all'infelice struttura dell'art. 77 cit. con cui era stato disegnato il «patteggiamento», pur tuttavia si continuò a credere e sperare nello stesso, tant'è vero che nel quinquennio 1981-1987 si cercò di potenziarlo e ristrutturarlo ed a tale precipuo scopo mirarono i vari disegni di legge apprestati dai Ministri di grazia e giustizia che si avvicendarono in quell'arco di tempo (Martinazzoli, Rognoni e Vassalli), mirati all'inserimento del patteggiamento, nuovo di zecca, ma con tanti acciacchi, tra i procedimenti ammanniti dal nuovo codice di rito [1988].

Lungo e tortuoso, però, apparve l'iter seguito dal legislatore onde pervenire ad una riformulazione e ristrutturazione ab imis del «patteggiamento» secondo il nuovo codice di rito penale e che ha trovato una sistemazione tra i procedimenti speciali di cui al libro VI, titolo II (applicazione della pena su richiesta delle parti) e contenuta negli artt. 444-448 c.p.p. Or propriamente dal tenore e contenuto dell'art. 444 c.p.p. si rileva chiaramente che il legislatore ha preferito la radicale riforma dell'art. 77 della L. 689/81, tant'è vero che ne ha decretato l'abrogazione con l'art. 234 (norma di coordinamento di cui al D.L.vo 28 luglio 1989, n...

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