La nullità dei contratti di locazione non registrati supera, per ora, il vaglio della Corte costituzionale

AutoreNino Scripelliti
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  1. Il comma n. 346 della legge n. 311/2004 (legge finanziaria per il 2005) («I contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati»), può urtare, alla prima lettura, la sensibilità media degli operatori di cose giuridiche, indotti per questo a ricercarne motivi di contrasto con garanzie costituzionali, ma il risultato di questa ricerca non appare affatto scontato, come dimostra l'esito della questione sollevata dal Tribunale di Torino e decisa dalla Corte costituzionale con l'ordinanza (la Corte non ha ritenuto di pronunciare sentenza) del 5 dicembre 2007 (in questa Rivista 2008, 151). Le conseguenze, sul piano applicativo, della mancata registrazione, sono allora quelle, allo stato ineccepibili, che emergono dalla ordinanza del Tribunale di Firenze del 10 marzo 2008 che si annota, e che ha ritenuto non convalidabile l'intimazione di sfratto per morosità e non pronunciabile l'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., in assenza di obbligazioni locative hinc et hinde, pur ritenendo applicabile alla controversia il rito locativo. E si può concordare anche su questo aspetto della decisione, peraltro secondario, considerato che fa parte dell'oggetto del processo l'accertamento in ordine alla possibile nullità del contratto di locazione.

    La Corte costituzionale nella sua ordinanza frena la propensione ai facili sospetti di incostituzionalità nel caso di ogni - apparente - interferenza tra istituti civilistici ed oneri tributari, intesa quale condizionamento dei diritti di difesa presidiati dall'articolo 24 Cost. La Corte, infatti, dopo una meticolosa ricognizione delle ragioni addotte dal giudice remittente a sostegno della sospetta violazione dell'articolo 24 Cost., ha osservato che il comma 346 agisce sul piano sostanziale della configurazione del modello contrattuale, integrando, inderogabilmente ed a pena di nullità, il modello contrattuale della locazione di immobili, con l'adempimento all'imposta di registro, elevato a requisito del contratto. Tale operazione spiega i suoi effetti sul modello contrattuale e precede logicamente le (ed è distinto dalle) eventuali norme procedimentali destinate a regolare l'esercizio e la difesa in giudizio dei diritti che ne discendono. Tale essendo l'incontestabile contenuto del comma 346, la relativa questione di costituzionalità diviene inconfrontabile con quella, alla quale pure il Tribunale di Torino si era riferito, sollevata in relazione all'articolo 7 della legge n. 431/1998, che aveva inteso condizionare l'esercizio in giudizio di taluni diritti del locatore alla previa dimostrazione di determinati adempimenti tributari, e che fu dichiarato incostituzionale con sentenza n. 333 del 5 ottobre 2001.

    Peraltro, la stessa ordinanza della Corte costituzionale ammette che la norma che eleva l'adempimento all'obbligo di registrazione del contratto di locazione di immobile ad elemento essenziale del modello contrattuale di locazione, con il risultato della inettitudine del contratto non registrato alla produzione di effetti giuridici (a causa della incompletezza della fattispecie rispetto al nuovo modello legale di contratto, come si sostiene in questa nota), non potrebbe egualmente essere scrutinata con riferimento ai principi di proporzionalità e ragionevolezza predicati dall'articolo 3 Cost., quale profilo residuo di valutazione, prossimo tuttavia, al merito legislativo, notoriamente insindacabile1. Ma la Corte ha ritenuto che il giudice a quo non avesse correttamente prospettato e sufficientemente esplicitato tale ulteriore sospetto di incostituzionalità, che ha quindi considerato non proposto. Pertanto una eventuale reiterazione della questione di legittimità costituzionale del comma 346 con riferimento all'articolo 3 Cost., dovrà tener presente, quanto al piano tributario, che non è agevole individuare un limite di proporzionalità e di ragionevolezza nell'ambito del relativo sistema sanzionatorio che, in generale, non esclude nemmeno sanzioni penali a presidio della effettività delle relative obbligazioni.

    Nel merito della verifica del comma 346 con riferimento all'art. 3 Cost., teoricamente, non pregiudicata, si può comunque osservare che l'implementazione di un modello contrattuale (di locazione, ma con operazione possibile anche per altri tipi di contratto) mediante un adempimento tributario posteriore al contratto ed a pena di nullità, realizza un caso di nullità speciale tipica successiva2, che la legge commina in ragione di un comportamento (omissivo), dichiaratamente finalizzata alla protezione degli interessi del conduttore, e quindi, in astratto verso un obiettivo non estraneo allo spettro di interessi tutelati dall'art. 3. Altro è stabilire se in concreto emerga una relazione tra l'assoggettamento dei canoni all'imposta sui redditi (vero obiettivo, che si giustifica di per sè, del comma 346), e l'interesse abitativo dei conduttori; ma su questo si tornerà nel seguito di queste note.

    Resta conclusivamente il rilievo che diffusa giurisprudenza costituzionale si compiace di anteporre il sindacato sul provvedimento di rimessione del giudice a quo, al sindacato sulla norma sospettata di incostituzionalità che è poi il vero oggetto del processo, con l'effetto di frazionare il giudizio e di rinviare l'esame di altri possibili profili di incostituzionalità, a discapito della trattazione contestuale delle diverse questioni. Ma tant'è.

  2. Fatto sta che l'obbligo di registrazione, a pena di nullità del contratto, non rappresenta affatto una novità, trovandosene riferimenti in un passato remoto, caratterizzato da emergenze ben più drammatiche di quelle attuali. Quindi, non per esercizio di archeologia legislativa, ma per constatare la ricorrenza degli stessi strumenti in tempi assai distanti seppure per finalità diverse e per confrontarne il funzionamento, si ricorda che il D.L. 27 settembre 1941, n. 10153 aveva stabilito (articolo 1) che «A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, gli atti stipulati per scrittura privata non autenticata, sotto qualsiasi denominazione, aventi per oggetto trasferimenti di beni immobili o di diritti immobiliari, compresi i conferimenti in società derivanti da costituzione o fusione di società, o promessa di vendita dei detti beni o diritti, qualora non siano registrati entro il termine previsto dalla legge del registro, approvata con R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269, sono nulli di pieno diritto. Sono del pari nulle diPage 390 pieno diritto le convenzioni contenenti promessa di vendita di beni immobili o di diritti immobiliari ancorché registrate tempestivamente senza l'applicazione dell'imposta proporzionale di trasferimento, ove entro sei mesi dalla data di registrazione non siano seguite da regolare atto di trasferimento debitamente registrato». Naturalmente (articolo 4) «Le nullità previste ai precedenti articoli sono rilevabili dal giudice anche d'ufficio», e coerentemente con gli effetti demolitori insanabili della nullità, «Gli Uffici del Registro devono rifiutare la registrazione degli atti di cui agli articoli 1 e 2 presentati alla formalità oltre i termini stabiliti negli stessi articoli (articolo 5)». Le norme furono poi abrogate, inizialmente con effetto non retroattivo, dal D.L.vo 27 settembre 1945 n. 10154.

    Non mancano poi gli esempi di collegamenti tra imposte ed esercizio di diritti, in funzione dell'allargamento della base imponibile o di intercettazione di capacità contributiva. Fin da tempi ancora più remoti il R.D. 30 dicembre 1923, n. 3278 (tasse sui contratti di Borsa), abrogato dall'articolo 37, comma 4, del D.L. 31 dicembre 2007 n. 248, operava non sulla struttura dei contratti ma sul piano dell'accesso al processo, al pari dell'art. 7 della legge n. 431/19985. Allo stesso modo operava l'art. 106 del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3269 (vecchio testo unico della legge del registro)6.

    Si trattava di norme precostituzionali, ma ancora l'art. 63 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (Disciplina dell'imposta di registro), disponeva il divieto di allegare o enunciare atti non registrati7.

    Vi sono anche le norme che condizionano all'adempimento dell'imposta di bollo gli effetti di titolo esecutivo stragiudiziale della cambiale e dell'assegno (art. 20 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642; Disciplina dell'imposta di bollo)8, così impedendo l'azione esecutiva nel caso di mancato adempimento a tale obbligo tributario, che agiscono, nel contempo, sul piano sostanziale del contenuto dell'atto (cambiale o assegno), e sul piano processuale, della sua capacità...

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