L'agente provocatore e la figura dell'infiltrato

AutoreCristina Colombo
Pagine9-15

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@1. La nozione di agente provocatore e la figura dell'infiltrato nell'ordinamento italiano

Non esiste nel nostro ordinamento una definizione legislativa di agente provocatore, della figura cioè di colui che determina, istiga o coopera nell'altrui attività criminosa al fine di far scoprire e condannare dall'autorità competente il provocato. Pur tuttavia si può individuare nella nostra dottrina un'evoluzione storico-giuridica di tale figura poiché nel corso degli anni sono state numerose le definizioni (o tentativi di definizione) di agente provocatore, tanto che questa pluralità veniva già sottolineata da Delogu nel 1938. Si era passati infatti da una originaria e ampia nozione di agente provocatore, individuata dal CARRARA 1, fino ad una nozione amplissima, che faceva rientrare nella figura non solo l'istigatore o il determinatore, ma anche il compartecipe materiale e chi, pur non partecipando al fatto di reato, avesse effettuato una semplice attività di accertamento di un crimine già precedentemente commesso 2. Tale nozione veniva però avversata da parte della dottrina, che escludeva che si potesse parlare di agente provocatore in assenza di «nesso di causalità fra il comportamento del preteso agente provocatore e quello del provocato» 3, e da chi, proponendo una nozione più ristretta di agente provocatore, limitava tale figura all'agente di polizia giudiziaria, escludendo ab initio una eventuale partecipazione del privato. Nel 1957 Malinverni definiva l'agente provocatore come «colui che induce altri a delinquere allo scopo di farlo condannare», precisando che proprio la particolare finalità caratterizzerebbe l'agente provocatore. La difficoltà di giungere ad una definizione uniforme veniva successivamente aggravata dal sorgere di due differenti tendenze: la prima che faceva rientrare all'interno dell'indagine sull'agente provocatore anche l'ipotesi di mancato perfezionamento del crimine per l'arrivo della forza pubblica sul luogo del delitto, la seconda caratterizzata dalla parcellizzazione della figura dell'agente provocatore in differenti tipi a causa delle numerose e divergenti decisioni giurisprudenziali. Si giunse così a dare dell'agente provocatore una nozione non definitoria, intendendo come a.p. colui che «induce altri a commettere un reato sia attraverso un'attività di carattere psichico, sia attraverso la partecipazione materiale, tipica o atipica, alla commissione del fatto, spinto dal movente di denunziare o far scoprire il provocato da parte dell'autorità» 4.

Ora, il legislatore italiano del '90, ha scelto di tipizzare solo una figura di provocatore ben precisa, il c.d. fictus emptor, o «acquirente simulato» di sostanze stupefacenti da distinguersi da quella del c.d. «infiltrato». Si veda a proposito l'art. 12-quater del D.L. n. 306/92 5 e l'art. 97 D.P.R. n. 309/90.

L'infiltrato, in particolare, godrebbe di poteri più ampi del fictus emptor in quanto non solo provoca reati, ma partecipa alla loro preparazione ed esecuzione in veste di concorrente e/o di autore materiale 6. La distinzione delle due figure sarebbe comunque difficile sul piano fattuale: difficile distinguere in modo netto l'attività dell'agente provocatore da quella dell'infiltrato, potendo la condotta di quest'ultimo arrivare a ricomprendere anche comportamenti tipici dell'attività provocatoria. Inoltre la dottrina prevalente ha sostanzialmente respinto, sul piano criminologico, una distinzione chiara e precisa delle due figure e delle relative condotte. Di parere contrario De Maglie, secondo l'Autrice non sembra condivisibile l'impostazione di tale dottrina poiché il diritto ha il compito di distinguere le due figure e di differenziare i fenomeni sul piano della struttura. E per questo sostiene che con l'art. 12- quater D.L. 306/92 il legislatore non abbia del tutto ricalcato la figura del fictus emptor di cui all'art. 97 T.U., quanto piuttosto abbia dato vita ad una nuova figura, completamente diversa sul piano strutturale.

Tornando all'esame della figura in oggetto si vede come nessuna delle condotte di provocazione ai reati appare mai in alcuna fattispecie normativa prima del '90 anche se la figura dell'agente provocatore è presente in tutti i grandi trattati di diritto penale e pur sempre inglobando fenomeni non sempre omogenei 7. Dopo gli studi di ALIMENA e DE MARSICO - entrambi ispirati al pensiero del CARRARA - e più di recente di NEPPI MODONA si postula «l'interesse protetto dalla norma... come requisito autonomo di fattispecie», in quanto l'offesa non coincide né con l'evento né con lo scopo della norma e le sottese indicazioni di politica legislativa 8: mancando pertanto nell'agente provocatore la lesione dell'interesse ipotizzato nella norma, la condotta rimane fuori dal tipo per mancanza dei requisiti di fattispecie. STELLA 9 escludeva poi la sussistenza del dolo, sulla base del fatto che il provocatore non vuole in nessun caso l'evento criminoso, simulando nella propria condotta una «riserva mentale» palesemente contraria al concretizzarsi Page 10 degli effetti giuridici del proprio agire. Al MANCINI si deve invece il collegamento dell'agente provocatore alle cause di giustificazione ed in particolare all'esimente dell'esecuzione di una legge o di un ordine dell'Autorità; mentre al MALINVERNI 10, la collocazione della condotta dell'agente provocatore all'interno della «legittima difesa». Al contrario il PADOVANI ritenne non ammissibile la difesa legittima degli interessi pubblici, collettivi o diffusi, riferibili soltanto allo Stato-ordinamento, perché il «diritto proprio od altrui» di cui parla l'art. 52 c.p. postula la riferibilità dell'interesse ad un soggetto determinato, che non sembra poter essere lo Statopersona.

Queste le opinioni espresse dai più importanti Autori nel corso del tempo fino ad arrivare agli anni '90, quando con il nuovo e tanto auspicato dettato normativo 11 l'attività dell'agente provocatore, sia che riguardi gli stupefacenti, le armi, il riciclaggio di denaro sporco, la pedofilia o il terrorismo, deve esclusivamente svolgersi secondo le modalità previste dalla legge, posto che il nuovo agente provocatore può addirittura inserirsi in un reato associativo già perfetto. È evidente pertanto come la nuova figura di agente provocatore e il fenomeno del «pentitismo» rappresentino chiaramente il sintomo della c.d. «emergenza probatoria» 12 risultante dalla difficoltà della polizia di insinuarsi nelle organizzazioni criminali, nazionali e transnazionali.

@@1.1. L'agente provocatore e i singoli provvedimenti legislativi

Così come già anticipato, negli anni '90 il legislatore ha elaborato nuove figure di agente provocatore, al fine di contrastare dall'interno lo strapotere delle moderne organizzazioni criminali.

I provvedimenti che raccolgono le indicazioni del legislatore sono rispettivamente: l'art. 97 del D.P.R. n. 309/90 sull'«acquisto simulato di droga», l'art. 12-quater L. n. 356/92, «ricettazione di armi, riciclaggio e reimpiego simulati», l'art. 14 L. n. 269/ 98 sull'«attività di contrasto» allo sfruttamento della prostituzione, della pornografia e del turismo sessuale nei confronti dei minori e l'art. 4 della L. n. 438/01, recante la nuova disciplina dell'«attività sotto copertura» per contrastare il terrorismo internazionale. Il legislatore italiano inserisce le nuove fattispecie nel sistema penale di parte speciale, dopo avere accolto come fonti alcune convenzioni ed accordi internazionali precedente stipulati. Il D.P.R. n. 309/90 discende infatti dalla Convenzione Onu di Vienna del 20 dicembre 1988 contro gli stupefacenti; la normativa antiriciclaggio, nella quale si inserisce l'art. 12-quater L. n. 356/92, ha origine dalla Convenzione di Strasburgo dell'8 novembre 1990; la legge n. 269/98 richiama invece all'art. 1 la Conferenza Mondiale di Stoccolma del 31 agosto 1996 sulla tutela dei fanciulli, a sua volta dipendente dalla relativa Convenzione Onu del 20 novembre 1989; la legge n. 438/2001 provvede a incardinare in Italia le Convenzioni Onu del 15 dicembre 1997 e del 9 dicembre 1999 contro il terrorismo, già oggetto di altri accordi internazionali. In questo contesto è chiaro come il «diritto penale internazionale» e il «diritto internazionale penale» si intrecciano tra di loro, alla ricerca di una risposta sempre più esaustiva, coinvolgendo i vari ordinamenti ad adottare una linea comune, processuale e/o sostanziale e utilizzando le proprie capacità investigative.

Analizzate le variegate posizioni assunte dalla dottrina nella definizione di agente provocatore, e la tendenza della giurisprudenza ad individuarlo solo nei limiti della sua non punibilità, ci si è chiesto in definitiva se l'acquirente simulato di cui all'art. 97 T.U. rappresenti un'ipotesi di agente provocatore. Le prime decisioni giurisprudenziali hanno dato risposta positiva 13, mentre fra i primi commentatori, non vi è stata uniformità di vedute. Gran parte degli Autori ritiene che si sia giunti con l'art. 97 ad una «codificazione [...] della figura dell'agente provocatore» assolutamente opportuna in quanto elimina ogni dubbio circa la liceità delle operazioni sotto copertura, che erano state in precedenza oggetto di interpretazioni giurisprudenziali non sempre univoche 14. Altri invece, non ritengono di poter ricondurre l'esimente «alla figura generale dell'agente provocatore quale sua species», sia a causa della eterogeneità strutturale delle ipotesi normalmente qualificate come «provocazione» 15, sia perché i limiti stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità sembrerebbero oramai inadeguati a caratterizzare l'attività dell'ufficiale «simulato» acquirente, dato che «un rapporto di causalità diretta lega, indiscutibilmente, l'attività dell'acquirente alla realizzazione del reato» 16.

Ora, la normativa contenuta nel D.L. 8 giugno 1992 n. 306, convertito con modificazioni nella legge 6 agosto 1992 n. 356, recante Modifiche urgenti al nuovo c.p.p. e provvedimenti di contrasto alla criminalità...

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