In Canada i diritti dell'accusato non si toccano: il caso Cotè uno spunto de iure condendo per l'Italia

AutorePiccichè Federico
Pagine130-133

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di Federico Piccichè

SOMMARIO
1. Premessa. 2. Il caso Coté. 3. Conclusioni.

1. Premessa

Il secondo comma dell’art. 24 della nostra Costituzione statuisce, in modo solenne, che “la difesa è diritto inviola-bile in ogni stato e grado del procedimento”.

Nella nostra realtà giudiziaria, però, questo altisonante comando viene talora disatteso.

Di recente gli avvocati penalisti italiani si sono dovuti astenere per ben cinque giorni dalle udienze proprio per dare più forza e tutela al diritto di difesa, denunciando “la gravità dell’attacco in corso alla funzione difensiva” (1), sulla base di alcune violazioni che vanno dalla ritardata iscrizione nel registro degli indagati al frequente ed illegale ascolto delle comunicazioni tra il difensore e il suo assistito.

Forse l’impressione è che, in Italia, il diritto di difesa non sia preso troppo sul serio, nonostante esso sia da considerare inviolabile.

Volevo, pertanto, con questo breve scritto, portare l’attenzione su un recentissimo caso, definitosi nell’ottobre del 2011 innanzi alla Corte Suprema del Canada (2).

Il caso è prezioso perché dimostra, al contrario, quanto grande sia in quel paese l’attenzione e il riguardo verso i diritti dell’accusato.

In Canada il diritto di difesa è veramente inviolabile; basta che esso sia intaccato e un intero processo salta, anche a rischio di liberare potenziali criminali, gravemente sospettati di crimini allarmanti.

2. Il caso Coté

In una cittadina del Canada, il 22 luglio 2006, intorno alle 21 h, la signora Coté componeva il numero di emergenza 911 per segnalare il ferimento del marito André Hogue.

In ospedale, il medico di guardia accertava che il signor Hogue aveva subito delle lesioni alla testa e constatava la presenza di un oggetto metallico nel cranio della vittima; di ciò dava prontamente notizia ai poliziotti i quali, intorno la mezzanotte, si recavano presso l’abitazione della signora Coté.

Le luci della casa erano spente e la calma regnava sovrana.

La signora Coté, con indosso un pigiama, apriva la porta ai poliziotti.

Gli agenti riferivano che volevano soltanto verificare lo stato dei luoghi, senza rivelare però che essi ritenevano che il signor Hogue fosse stato ferito alla testa con un colpo da arma da fuoco.

Accompagnati dalla padrona di casa, gli agenti ispezionavano l’interno e l’esterno della residenza, compreso un gazebo e, nel frattempo, interrogavano la signora Coté sulla presenza eventuale in casa di armi da fuoco, ottenendo come risposta che ve n’erano due, di cui solo una veniva consegnata ai poliziotti.

Durante la perquisizione i poliziotti notavano che la porta del gazebo era danneggiata e che al suo interno, vi erano tracce probabilmente di sangue; accertavano, pure, la presenza di alcuni fori sulla zanzariera del gazebo e nella finestra del solario.

In seguito gli agenti ottenevano un regolare mandato per la perquisizione dell’abitazione, all’esito della quale si trovava anche la restante arma, una carabina calibro 22, compatibile con il proiettile estratto dal cranio della persona offesa.

La signora Coté veniva condotta in caserma verso le 3 h. Qui non veniva subito avvisata della sua veste di ‘testimone importante” in relazione alla ipotesi di tentato omicidio ai danni del coniuge e, solamente alle 5 h 23, veniva informata del suo diritto di nominare un avvocato.

Una volta avvisata, la signora Coté consultava un legale e si avvaleva, dapprima, della facoltà di non rispondere; poi, riprendendo a parlare, dava una descrizione degli avvenimenti e, da ultimo, veniva arrestata per tentato omicidio.

Nuovamente avvisata dei suoi diritti, in stato di arresto, tornava prima a consultarsi con il proprio legale e, in seguito, veniva interrogata per tutto il giorno, nonostante nel corso dell’interrogatorio avesse manifestato sintomi di ansietà e spossatezza e più volte avesse pregato gli inquirenti di sospendere l’esame perché stanca e bisognosa di riposo.

L’interrogatorio cessava alle 20 h del 23 luglio.

Nel contempo la signora Coté, unica sospettata, veniva informata della morte del marito e a suo carico veniva formalizzata l’accusa di omicidio di secondo grado.

Nel corso del giudizio di prima istanza l’accusata aveva chiesto al giudice di scartare tutte le prove a carico presentate contro di lei e, cioè, le prove dichiarative e quelle materiali, queste ultime costituite dalle constatazioni, effettuate dagli agenti in occasione del primo ingresso nella casa della signora Coté, circa la presenza delle tracce ematiche e il danneggiamento della porta del gazebo, oltreché di alcuni fori sulla zanzariera del gazebo e nella finestra del solario.

Il giudice accoglieva la domanda avendo verificato, nel corso del processo, che gli agenti avevano commesso gravi

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e sistematiche violazioni a scapito dei diritti costituzionali della prevenuta.

In particolare, il giudice aveva evidenziato che i poliziotti, dal momento del loro arrivo presso la residenza della signora Coté all’atto finale dell’interrogatorio conclusivo tenutosi in caserma, avevano sfrontatamente...

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