Abuso d'ufficio ed eccesso di potere: tra tassatività, diritto vivente e valutazione probatoria

AutoreNino Fallone
Pagine34-45
26
dott
1/2018 Rivista penale
DOTTRINA
ABUSO D’UFFICIO
ED ECCESSO DI POTERE:
TRA TASSATIVITÀ, DIRITTO
VIVENTE E VALUTAZIONE
PROBATORIA
di Nino Fallone
SOMMARIO
1. L’ordinanza della Corte costituzionale n. 177 del 1 giugno
2016. 2. Abuso d’uff‌icio ed eccesso di potere. 3. L’art. 97 della
Costituzione quale norma integrante la violazione di legge ai
f‌ini della rilevabilità dell’abuso d’uff‌icio in caso di eccesso di
potere. 4. Abuso d’uff‌icio, separazione dei poteri e tassatività
della fattispecie penale. 5. Lo sviamento del potere e le c.d.
f‌igure sintomatiche dell’eccesso di potere. 6. Il “favoritismo”.
7. Il merito amministrativo e la fattispecie dell’abuso. 8. Il
dolo intenzionale. 9. Conclusione: tra tipicità sostanziale e
tipicità del metodo probatorio.
1. L’ordinanza della Corte costituzionale n. 177 del 1
giugno 2016
Con ordinanza del 23 luglio 2015 il Giudice delle indagi-
ni preliminari del Tribunale di Enna sollevava dinanzi alla
Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art.
323 c.p, “in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 97,
primo comma (recte: secondo comma), della Costituzione
(….), nella parte in cui secondo il “diritto vivente”, inclu-
derebbe nel requisito della “violazione di norme di legge”,
necessario per la conf‌igurazione della fattispecie incrimi-
natrice dell’abuso d’uff‌icio, anche la violazione dell’art. 97
Cost. e, dunque, dei principi di imparzialità e buon anda-
mento della pubblica amministrazione e, persino, quella
di norme previste nei contratti collettivi di lavoro o in atti
amministrativi, circolari ed addirittura discendenti da
prassi amministrative” (1).
In altri termini il Giudice remittente solleva la que-
stione di legittimità costituzionale ritenendo che qualora
si dovesse interpretare la fattispecie dell’abuso in modo
tale da far rientrare in tale fattispecie penale anche il vi-
zio di eccesso di potere, individuando in tal caso la legge
violata (la condotta contra iure, v. infra) nell’art. 97 della
Costituzione (così come, secondo il Giudice remittente,
affermato dal diritto vivente), si correrebbe il rischio di
far diventare la norma di cui all’art. 323 c.p. non suff‌icien-
temente determinata e tassativa e come tale quindi lesiva
dell’art. 25 secondo comma della Costituzione.
Investita della questione, la Corte costituzionale con
l’ordinanza n. 177 del 1 giugno 2016 dichiarava la mani-
festa inammissibilità della questione di legittimità co-
stituzionale sollevata, atteso che “la fattispecie oggetto
della delibazione giudiziale è descritta in modo del tutto
insuff‌iciente nell’ordinanza di remissione, non chiarendo-
si se la condotta per la quale è ipotizzabile l’abuso d’uff‌icio
sia consistita nella “violazione della disciplina dei contrati
collettivi nazionali in tema di ferie, turni, ordini di servi-
zio, carichi ed orari di lavoro”, ovvero in diverse “plurime
e reiterate” vessazioni, tali da integrare autonoma viola-
zione dei principi di imparzialità e buon andamento della
pubblica amministrazione ci cui all’art. 97 Cost.”
In motivazione tuttavia, il Giudice delle leggi chiariva
“che, qualora, per la deliberazione dell’ipotesi di reato, ve-
nisse in rilievo, la violazione di norme del contratto collet-
tivo di lavoro, si rileverebbe errata la ricostruzione del “di-
ritto vivente” prospettata dal remittente, considerando che,
secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità, la vio-
lazione da parte del pubblico uff‌iciale delle norme collettive
contrattuali applicabili ai rapporti di pubblico impiego non
realizza uno dei presupposti necessari per la conf‌igurabilità
del reato di abuso di uff‌icio (Corte di cassazione, sezione
sesta penale, sentenze 3 novembre 2005 – 13 aprile 2006, n.
13511 e 25 settembre 2008-5 febbraio 2009, n. 5026)”.
Proseguiva quindi la Corte costituzionale osservando
che “se, invece, la violazione di legge fosse ritenuta dal re-
mittente in relazione alle “plurime e reiterate vessazioni”
denunciate dalla persona offesa – e, dunque, in condotte
direttamente lesive del principio di imparzialità sancito
dall’art. 97 Cost. – non risulterebbero illustrate le ragioni
per le quali il remittente, a fronte di un contrasto diacro-
nico di giurisprudenza sull’interpretazione della nozione
di “violazione di norme di legge” (esemplif‌icato da Corte
di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 27 otto-
bre-20 novembre 2015, n. 46096 e, sezione sesta penale,
sentenza 18 febbraio-25 marzo 2009 n. 13097), non ritenga
di praticare un’interpretazione conforme a Costituzione e
reputi invece operante il vincolo dell’asserito “diritto vi-
vente” nella specif‌ica sede processuale in cui è chiamato a
pronunciare ed in relazione alla richiesta di archiviazione
al suo esame”.
Al di là quindi di quella che è stata la decisione nel
caso concreto (la Corte infatti ha dichiarato la sollevata
questione manifestamente inammissibile atteso che “la
fattispecie oggetto della delibazione giudiziale è descritta
in modo del tutto insuff‌iciente nell’ordinanza di remissio-
ne”), dal passo della motivazione dell’ordinanza da ultimo
trascritto, si desume comunque che qualora l’interprete
si dovesse orientare nel senso di ritenere che tra “le vio-
lazioni di legge” di cui all’art. 323 c.p. possa farsi rientrare
anche la disposizione di cui all’art. 97 della Costituzione
(e tramite essa il vizio di eccesso di potere dell’atto am-
ministrativo, ovvero il c.d. favoritismo, v.infra), occorre-
rebbe verif‌icare quale sia realmente sul punto lo stato del
“diritto vivente” atteso che, così interpretata la fattispecie
dell’abuso d’uff‌icio potrebbe presentare dei prof‌ili di non
suff‌iciente determinatezza e tassatività, e quindi prof‌ili di
illegittimità costituzionale per violazione del disposto di
cui all’art. 25 secondo comma Costituzione.

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