L’abrogazione del “patteggiamento in appello”: questioni passate e scenari futuri

AutoreFrancesco Zaccaria
Pagine501-503

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  1. La sentenza in commento – che si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in sede di legittimità, non è possibile dedurre doglianze già oggetto di rinunzia in sede di appello1 – offre lo spunto per esporre alcune brevi considerazioni sull’istituto del c.d. “patteggiamento in appello”: istituto già dichiarato incostituzionale nel 1990, poi reintrodotto nel 1999, e da ultimo, abrogato con il D.L 23 maggio 2008, n. 92, convertito in L. 24 luglio 2008, n. 125.

  2. La Cassazione ha ritenuto inammissibile il motivo di gravame riguardante l’inutilizzabilità di esiti di intercettazioni per mancanza di motivazione dei relativi decreti autorizzativi, atteso che l’accordo ex art. 599 comma 4 c.p.p., riducendo l’effetto devolutivo in appello2, preclude la deduzione dei motivi di legittimità ai sensi dell’art. 606 comma 3 c.p.p. In particolare, è stato affermato che, allorquando l’appellante concordi la misura della pena con il Procuratore Generale, non può poi dolersi della omessa o illogica motivazione in ordine ai motivi oggetto di rinuncia. Tale principio, oltre a rispondere ad ovvie esigenze di logica giuridica, è perfettamente in linea con la ratio stessa dell’istituto, ovvero l’economia processuale.

    Il Supremo Collegio non ha mancato di evidenziare che la rinuncia ai motivi di censura fa presumere l’insussistenza di cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p.: pertanto il ricorrente non potrà dolersi genericamente della mera omissione formale di applicazione della norma de qua, ma dovrà indicare tutti gli «elementi concreti che, ove rettamente considerati e valutati, avrebbero dovuto condurre a una declaratoria d’ufficio di proscioglimento»3. Di qui discende la legittimità di una sintetica motivazione dei Giudici di seconde cure in ordine al mancato proscioglimento ex art. 129 c.p.p.4.

    In altre parole, in caso di “concordato in appello”, l’eventuale ricorso deve assolutamente essere ristretto alle seguenti tipologie di gravame: questioni rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado (questioni previste dall’art. 129 c.p.p., competenza funzionale per materia, nullità assolute, inutilizzabilità di prove assunte in precedenza), vizi del concordato stesso (partecipazione delle sole parti private, difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato)5. Coerentemente a questo cristallizzato indirizzo, la Suprema Corte, con la sentenza in esame, ha ritenuto inammissibile la doglianza relativa all’inutilizzabilità delle intercettazioni per vizio di motivazione dei relativi decreti autorizzativi: il potere dispositivo ex art. 599 comma 4 c.p.p. non solo limita la cognizione del Giudice di seconda istanza, ma ha effetti preclusivi sull’intero sistema processuale.

  3. Dalle brevi considerazioni ora esposte emerge chiaramente come il “patteggiamento in appello” sia una delle massime espressioni del potere dispositivo delle parti previste dal legislatore del 19886.

    Più correttamente, l’accordo sui motivi è stato definito una forma di giustizia penale negoziata di tipo ellittico7. In primo luogo, la negoziazione consiste nella sintesi dialettica tra l’accordo e uno degli strumenti transattivi di deprocessualizzazione presenti nel nostro codice di rito (tra cui, oltre al concordato sui motivi, si rammenta l’archiviazione condizionata e la remissione di querela previo tentativo di conciliazione), entro la cui area si inseriscono anche la composition penale francese e il plea bargaining angloamericano8. In secondo luogo, la forma ellittica si spiega col fatto che l’accordo sui motivi di un atto di appello si traduce, in termini finalistici, in rideterminazione della pena, in una sorta di dialettica circolare che trova origine e fine indifferentemente – ma in contemporanea – nel «vantaggio sanzionatorio» per l’imputato da una parte, e nel «vantaggio cronologico» per il processo, dall’altra. In altre parole, la disciplina ex art. 599 comma 4 c.p.p. è «uno svolgimento delle potenzialità del meccanismo devolutivo, regolato attraverso l’introduzione di tratti inediti quali la previsione di un congegno di rinuncia condizionata e l’effetto di semplificazione delle forme procedimentali»9, tipico degli istituti di matrice pattizia10.

    Giova ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza 26 settembre 1990, n. 435, dichiarò l’illegittimità costituzionale degli artt. 599 commi 4 e 5 e dell’art. 602 comma 2 c.p.p., in quanto eccedenti i limiti della delega, nella parte in cui consentivano la definizione del procedimento nei modi ivi previsti anche al di fuori dei casi elencati nel comma 1 dell’art. 59911. In particolare, il patteggiamento previsto nella direttiva 45 della legge-delega del 1987 non andava considerato come un criterio direttivo generale per la creazione di altri istituti che ne ripetessero le caratteristiche essenziali. Anzi, poiché tale istituto apparteneva a una direttiva specifica che lo connotava come norma di dettaglio, non poteva trovare applicazione a casi per cui il legislatore aveva previsto una normale procedura.

    In quella sede, la Consulta, evidenziando un’esasperazione del potere dispositivo, definì l’accordo sui motivi «un’escogitazione del tutto nuova e priva di addentellati nei principi e criteri delle legge di delega», che apportava non semplificazione, ma addirittura turbativa al sistema processuale.

    L’eccesso...

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