Locazioni abitative: gli effetti dell'abrogazione dell'art. 79 Della legge n. 392 Del 1978

AutoreVincenzo Nasini
Pagine751-759

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    Vincenzo Nasini: Relazione introduttiva svolta al XIII Convegno Coordinamento legali Confedilizia tenutosi a Piacenza il 13 settembre 2003.

@1. Il «sistema» previsto dalla legge n. 392/78: l'art. 79

Le disposizioni finali contenute nel titolo IV della legge n. 392/78 iniziano con l'art. 79 in merito al quale la Relazione al disegno di legge sull'equo canone osservava:

La prima di queste disposizioni che formano il titolo quarto della legge sancisce la nullità rilevabile in ogni stato e grado del giudizio di tutti i patti, qualunque ne sia il contenuto apparente, che tendano a limitare la durata dei contratti o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello dovuto

.

In realtà la norma, nell'elencare le pattuizioni colpite da nullità, fa riferimento, non solo a quelle che stabiliscano una durata della locazione inferiore a quella minima prevista dall'art. 1 per gli usi abitativi e dall'art. 27 per gli usi diversi o un canone eccedente quello previsto dagli articoli da 12 a 24, ma anche a quelle dirette ad attribuire al locatore «altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della stessa legge 392/78».

La norma è stata perciò definita come norma generale di chiusura o, con locuzione più colorita, come «norma catenaccio».

In attuazione di questa rigida impostazione venivano quindi ritenuti compresi nella previsione, a titolo esemplificativo, i patti che imponessero prestazioni a carico del conduttore a titolo di buoningresso, quelli contenenti una disciplina della sublocazione diversa da quella prevista dall'art. 2, quelli che prevedessero la preventiva rinuncia del conduttore al diritto di recesso (art. 4), quelli che regolamentassero la gravità dell'inadempimento del conduttore in senso peggiorativo per lui rispetto alla disciplina legale (artt. 5 e 55), quelli che derogassero dalle disposizioni dettate dall'art. 6 in tema di successione nel contratto, quelli che prevedessero la risoluzione del contratto in caso di vendita della cosa locata in violazione dell'art. 7 della legge, le clausole che derogando dall'art. 8 ponessero le spese di registrazione del contratto a totale carico del conduttore, quelle che prevedessero un deposito cauzionale di ammontare superiore a tre mensilità, ovvero il carattere infruttifero del deposito stesso in contrasto con le statuizioni dell'art. 11 e così via.

Per effetto del disposto dell'art. 79 la tutela del contraente ritenuto «debole» voluta dal legislatore veniva realizzata secondo le previsioni degli artt. 1339, 1418 e 1419 del codice civile, facendosi cioè derivare dalla nullità delle clausole apposte dalle parti non la nullità dell'intero contratto ma l'eliminazione delle clausole difformi e l'inserzione automatica nel contratto delle norme inderogabili.

Il secondo comma dell'articolo riproduceva la norma dell'art. 2 sexies della legge 12 agosto 1974 n. 351 che accordava al conduttore il diritto di ripetere le somme corrisposte in eccedenza.

Le conseguenze distorsive prodotte sul mercato delle locazioni dal sistema sancito dalla legge n. 392/78 anche per le rigide interpretazioni date dalla giurisprudenza all'art. 79, sono ben note: esse sono state talmente gravi da suscitare pesanti critiche, e non solo tra le vittime del sistema, cioè i proprietari di casa.

Dopo anni di applicazione di questa normativa, opprimente come può essere una legislazione vincolistica, una prima spallata al sistema si ebbe con l'emanazione della legge n. 359/92 meglio nota come legge dei «patti in deroga» che, introducendo un sistema misto semicogente, rappresentò una tappa fondamentale nel processo di liberalizzazione delle locazioni non solo in linea di principio, costituendo il riconoscimento legislativo degli effetti distorsivi prodotti dalla normativa vincolistica, ma anche sul piano concreto, poiché aprì una consistente breccia nel sistema della legge n. 392/78, anche se non ne comportò l'integrale eliminazione.

Per la verità, a parere di molti, doveva ritenersi che la derogabilità prevista dall'art. 11 della legge 359/92 non riguardasse solo la determinazione del canone, stante l'evidente incongruenza insita nel fatto di sancire la libera determinazione del canone contemporaneamente conservando l'inderogabilità di altri elementi del rapporto di minore rilievo sotto il profilo economico, e che invece potessero essere derogate anche norme relative ad aspetti concernenti altri elementi del rapporto diversi dal canone, con le uniche eccezioni rappresentate dagli articoli 24 e 30 della legge 392/78, dichiarati espressamente inderogabili.

Gli effetti positivi prodotti sul mercato delle locazioni dalla legge dei patti in deroga costituirono il prodromo di un più deciso attacco alla disciplina vincolistica attraverso un processo di liberalizzazione sfociato nella legge di riforma n. 431/98 il cui articolo 14, quarto comma com'è noto, ha espressamente abrogato oltre all'art. 79 e agli artt. 54, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 75, 76, 77 e 78 gli artt. da 12 a 26 della L. 27 luglio 1978 n. 392.

Sono invece rimasti in vigore gli articoli 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 55, 56, 57 e 80.

@2. L'abrogazione dell'art. 79

Per comprendere le finalità, la portata e gli effetti di tale abrogazione e il ruolo che le disposizioni di legge superstiti sono destinate a svolgere nel nuovo sistema, è necessario muovere da una premessa: l'intero impianto normativo della legge 431/98 è indiscutibilmente ispirato dall'intento di attuare un processo di «liberalizzazione» della materia locatizia, confermato espressamente dalla stessa relazione dell'VIIIª commissione permanente della Camera dei Deputati, presentata alla Presidenza dal relatore on. Zagatti il 25 novembre 1998.

In essa viene appunto chiarito che «il secondo obiettivo dell'intervento normativo» (il primo avrebbe dovuto essere quello della semplificazione della disciplina locatizia), era quello di attuare una scelta di liberalizzazione controllata del settore delle locazioni ai fini abitativi, definendo allo scopo un complesso di regole nell'ambito delle quali possano trovare spazio una maggiore autonomia negoziale Page 752 delle parti, e la possibilità di scelta fra diverse soluzioni contrattuali...».

Appare quindi coerente con queste premesse l'espressa abrogazione (con riferimento peraltro alle sole locazioni abitative) dell'art. 79 e la sua sostituzione, come si vedrà più avanti, con una disposizione, quella contenuta nell'art. 13 della legge 431, assai meno radicale e soprattutto di portata molto più circoscritta, al solo fine di superare la precedente impostazione rigidamente vincolistica.

Com'è stato correttamente osservato (PIGNATELLI, Le nuove locazioni abitative, IPSOA 2000, pag. 270) lo scopo che il legislatore si era prefisso, di restituire spazio all'autonomia privata, presupponeva necessariamente l'eliminazione dell'art. 79, poiché solo così avrebbero potuto diventare derogabili dalle parti contraenti e dalle organizzazioni rappresentative dei locatori e dei conduttori in sede di definizione degli accordi per i contratti agevolati, alcune disposizioni della legge 392/78 che, in forza della norma generale di chiusura, erano, quasi senza eccezione, assolutamente inderogabili.

In altri termini, così come l'art. 79 rappresentava oltre ad uno strumento efficace di difesa del sistema un vero e proprio simbolo del vincolismo, la sua eliminazione dall'ordinamento non può non rivestire un significato altrettanto emblematico non di un superficiale mutamento, ma di una vera e propria inversione di tendenza che va tenuto costantemente presente nella disamina che ci accingiamo a compiere.

Dobbiamo tuttavia rilevare che, nonostante i plurimi elementi ricavabili sul piano letterale, sistematico e della voluntas legis dalla disamina della normativa, in dottrina sono state espresse tuttavia anche opinioni diverse in ordine agli effetti dell'abrogazione e alla liceità di pattuizioni in deroga alle disposizioni della legge 392/78 rimaste in vigore ed è stato perfino sostenuto che la non completa riproduzione nel corpo dell'art. 13 della disposizione dell'art. 79, non rappresenti affatto lo strumento attuativo della più volte esplicitata voluntas legis, ma sia stata in realtà solo il casuale frutto di una dimenticanza del legislatore, una dimenticanza certamente grave, ma alla quale non sarebbe consentito attribuire una valenza diversa da quella appunto di un'involontaria omissione.

In effetti sono individuabili in dottrina tre diversi orientamenti:

a) il primo che propende per l'inderogabilità di tutte o quasi le norme superstiti, o sulla scorta del dogma della finalità di tutela del presunto «contraente debole», o sul presupposto che eventuali deroghe andrebbero ad incidere sulla durata minima del rapporto ovvero, si noti anche indirettamente, sul canone risultante dal contratto scritto e registrato, o, infine, perché tutte assistite, per ragioni diverse, da specifica sanzione di nullità. In questa corrente di pensiero sia pure in posizione meno rigida e più sfumata si inserisce l'opinione di chi, pur riconoscendo il profondo mutamento intervenuto per effetto dell'abrogazione dell'art. 79 e la diversa previsione dell'art. 13 comma 4, ritiene che per «canone locativo» la legge intenda l'intero esborso pecuniario che il conduttore corrisponde al locatore per il godimento dell'immobile locato comprese quindi le eventuali voci accessorie;

b) un'opposta corrente di pensiero ritiene invece che, essendo stata abrogata la norma generale di chiusura, l'eventuale inderogabilità vada stabilita con riferimento ad ogni singola disposizione, in funzione dell'esistenza o meno di sanzioni di nullità specifiche e al regime delle nullità introdotto dalla nuova legge o ricollegabili alla normativa codicistica. Per chi aderisce a questo orientamento, il «vantaggio economico o normativo» di cui parla l'art. 13, deve intendersi riferito al canone strettamente inteso, nel senso che la sanzione di nullità colpisce solo le pattuizioni volte a eludere...

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