Giudizio abbreviato ed applicazione della pena su richiesta delle parti: questioni controverse

AutoreLeonardo Degl’Innocenti
Pagine375-384

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@1. Introduzione

Il giudizio abbreviato è un rito alternativo al dibattimento disciplinato agli artt. 438 – 443 c.p.p. Profondamente riformato a seguito della legge 16 dicembre 1999, n. 479 (cd. legge Carotti), il rito in esame si compone di due distinti sottotipi: il giudizio abbreviato cd. semplice ed il giudizio abbreviato cd. condizionato.

In entrambi i casi, la volontà dell’imputato è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale. Sulla richiesta il giudice provvede con ordinanza.

Chiedendo il giudizio abbreviato cd. semplice, l’imputato domanda che il processo venga definito allo stato degli atti, cioè senza acquisizione di prove ulteriori a quelle contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Detto fascicolo contiene: la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate, i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari oltre che il corpo del reato e le cose pertinenti al reato (che sono allegate al fascicolo del pubblico ministero qualora non debbano essere custodite altrove). A ciò deve aggiungersi la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio e le prove assunte all’udienza.

Nel caso di giudizio abbreviato semplice, unica forma di integrazione probatoria consentita si ha qualora il giudice ritenga di non potere decidere allo stato degli atti: in questo caso il giudice può assumere, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione.

In ogni caso, il giudice non può negare all’imputato il “diritto” ad essere giudicato con rito abbreviato.

Chiedendo il giudizio abbreviato cd. condizionato, invece, l’imputato domanda che il processo venga definito non già allo stato degli atti, bensì subordinando la richiesta ad una integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione.

In questo caso, il giudice dispone il giudizio abbreviato soltanto se l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. In questo ultimo caso, il pubblico ministero può chiedere l’ammissione di prova contraria.

Questa nuova forma di giudizio abbreviato, frutto della novella del 1999, ha determinato il superamento della concezione del giudizio abbreviato come giudizio a base cognitiva predefinita ed immutabile comportando, tra l’altro, un significativo incremento del ricorso a questo rito.

Giusto il disposto dell’art. 441 bis c.p.p., sia nel giudizio abbreviato cd. condizionato sia in quello cd. semplice, in caso di integrazione probatoria disposta ai sensi dell’art. 441 comma 5 c.p.p. (quindi: se il giudice decida di acquisire, in caso di non decidibilità allo stato degli atti, gli elementi necessari ai fini della decisione), se il P.M. procede alle contestazioni previste dall’art. 423 comma 1 c.p.p., l’imputato potrà chiedere che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie e la richiesta di giudizio abbreviato non potrà essere riproposta.

Se l’imputato chiede che il procedimento prosegua nelle forme ordinarie, il giudice revoca l’ordinanza con la quale era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l’udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione; se,Page 376 invece, il procedimento prosegue nelle forme del giudizio abbreviato, l’imputato può chiedere, in relazione alle contestazioni, l’ammissione di nuove prove anche oltre i limiti previsti dall’art. 438 comma 5 c.p.p. ed il P.M. può chiedere l’ammissione di prova contraria.

In caso di condanna, la pena che il giudice determina, tenendo conto di tutte le circostanze, è diminuita di un terzo. La pena dell’ergastolo è sostituita con quella della reclusione di anni trenta; alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo.

Come descritto, il rito in esame risulta significativamente diverso dalla sua originaria configurazione. Come autorevolmente osservato, “negli artt. 27 sgg. L. 16 novembre 1999, n. 479 l’istituto muta identità: cade il presupposto d’un assenso dal pubblico ministero; non è più giudizio cartolare, «allo stato degli atti», ma possono esservi acquisite prove, anche ex officio. Autentica mutazione genetica. Intuibili gli aspetti paradossali: l’imputato acquista un diritto potestativo allo sconto d’un terzo sulla pena; chiedendo il rito abbreviato, senza perdere una sola risorsa istruttoria, elide l’art. 133 c.p. Sono pronosticabili dubbi d’illegittimità costituzionale”1. Così, due anni dopo l’entrata in vigore della legge Carotti, parte della dottrina accoglieva il nuovo giudizio abbreviato.

Quanto all’applicazione della pena su richiesta delle parti (cd. patteggiamento) è un rito speciale disciplinato dagli artt. 444 – 448 c.p.p.; a seguito della legge 12 giugno 2003, n. 134, l’ambito di operatività dell’istituto è stato consentito fino al limite di cinque anni di pena detentiva inflitta, così più che raddoppiando l’originaria formulazione.

Come noto, con il patteggiamento, l’imputato ed il pubblico ministero concordano una pena (detentiva o pecuniaria) da applicare; ciò è possibile quando la pena detentiva, tenuto conto delle circostanze e diminuita fino ad un terzo, non supera cinque anni, soli o congiunti alla pena pecuniaria.

Se vi è il consenso anche della parte che non ha formulato la richiesta e non deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento a norma dell’art. 129 c.p.p., il giudice, sulla base degli atti, se ritiene corretta la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettata dalle parti, nonché congrua la pena indicata, dispone con sentenza l’applicazione della pena proposta.

La richiesta può essere subordinata alla concessione della sospensione condizionale della pena; in questo caso il giudice, se ritiene che la sospensione condizionale non possa essere concessa, rigetta la richiesta.

Se la pena irrogata con patteggiamento non supera due anni di pena detentiva (soli o congiunti alla pena pecuniaria) essa non comporta: il pagamento delle spese del procedimento; l’applicazione delle pene accessorie; l’applicazione delle misure di sicurezza (fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall’art. 240 c.p.). Inoltre, il reato è estinto se nel termine di cinque anni (per i delitti) o due anni (per le contravvenzioni) l’imputato non commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue ogni effetto penale, e se è stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l’applicazione non è comunque di ostacolo alla concessione di una successiva sospensione condizionale della pena.

I benefici sopra indicati non sono disposti se la pena irrogata con patteggiamento supera i due anni di reclusione (purché ovviamente non superiore a cinque anni). In particolare, la Suprema Corte ha più volte stabilito che “in tema di misure di sicurezza, l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato a pena espiata, prevista in ordine al reato di spaccio di sostanze stupefacenti (art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990) dall’art. 86, comma primo, d.p.r. n. 309 del 1990, può essere applicata con la sentenza di patteggiamento “allargato”, ai sensi degli artt. 444, comma primo, c.p.p. (novellato ex art. 1 legge n. 134 del 2003) e 445, comma primo, c.p.p., quando la pena irrogata superi i due anni di pena detentiva sola o congiunta a pena pecuniaria; in tal caso, il giudice di merito deve effettuare, in virtù della statuizione contenuta nella sentenza n. 58 del 1995 della Corte costituzionale, l’accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale dello straniero”2.

In ogni caso, la sentenza, pur essendo equiparata ad una sentenza di condanna, non ha efficacia nei giudizi civili o amministrativi, salvo quanto previsto dall’art. 653 c.p.p. in materia di giudizio disciplinare, in forza dell’art. 445 comma 1 bis introdotto dall’art. 1 comma 1 lett. a) della legge 12 giugno 2003, n. 134.

Da segnalare, infine, che, ai sensi dell’art. 629 c.p.p., novellato dall’art. 3 comma 1 della legge 12 giugno 2003, n. 134, anche per le sentenze emesse ai sensi dell’art. 444 comma 2 c.p.p. è ammessa in ogni tempo la revisione della sentenza.

Molte sono le questioni controverse, relative al giudizio abbreviato e al patteggiamento, che saranno, in sintesi e senza pretesa di esaustività, analizzate con particolare riguardo alle soluzioni proposte dai giudici di legittimità.

@2. Sulla richiesta di giudizio abbreviato formulata dal difensore privo di procura speciale

Come sopra accennato, la volontà dell’imputato di richiedere il giudizio abbreviato può essere formulata personalmente o a mezzo di procuratore speciale. Sul punto, la prima questione controversa riguarda la legittimità della richiesta di giudizio abbreviato effettuata dal difensore dell’imputato, non munito di procura speciale, alla presenza in aula del proprio assistito. Nonostante alcune oscillazioni nella giurisprudenza della Suprema Corte - che aveva in un primo tempo ritenuto inammissibile la richiesta effettuata dal difensore non munito di procura speciale anche quando sia presente l’imputato all’attoPage 377 della sua formulazione3 – pare oggi potersi affermare la piena legittimità di detta istanza; la Corte di Cassazione ha, infatti, affermato che “pur dovendosi riconoscere natura di atto dispositivo personalissimo alla richiesta di giudizio abbreviato va attribuita piena validità alla richiesta manifestata, alla presenza dell’imputato, dal difensore non munito di procura speciale, che funge da semplice interprete o portavoce del suo assistito, avendo del resto il giudice, stante la presenza dell’interessato, la possibilità di verificare la volontarietà dell’atto”4.

La questione è stata risolta, in senso positivo, anche dalle Sezioni Unite della Cassazione5 che hanno, appunto, affermato la legittimità del...

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