Sentenza nº 0000 da Corte Costituzionale, 19 Gennaio 2024 (caso Sentenza nº 6 della Corte Costituzionale)
Date | 19 Gennaio 2024 |
Year | 2024 |
Court | Corte Costituzionale |
Type of Document | Sentenza |
Issuer | Corte Costituzionale |
Sentenza n. 6 del 2024
SENTENZA N. 6
ANNO 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta da:
Presidente: Augusto Antonio BARBERA;
Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 142, comma 2, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), promossi dal Tribunale ordinario di Arezzo con quattro ordinanze del 3 e 7 marzo 2023, del 19 luglio e dell’8 agosto 2023, iscritte, rispettivamente, ai numeri 48, 49, 117 e 126 del registro ordinanze 2023 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, numeri 17, 38 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2023.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udita nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;
deliberato nella camera di consiglio del 6 dicembre 2023.
Ritenuto in fatto
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– Con ordinanza del 3 marzo 2023, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Arezzo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 142, comma 2, del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), «per come applicabile nell’ambito della liquidazione controllata del sovraindebitato», nella parte in cui «non prevede un limite temporale all’acquisizione di beni sopravvenuti all’apertura della procedura concorsuale».
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– Il rimettente riferisce che, nel corso di una procedura di liquidazione controllata, aperta nei confronti di P. M., veniva sottoposto al suo esame, ai fini dell’approvazione prevista dall’art. 272 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (di seguito: CCII), il programma di liquidazione.
Il giudice a quo riporta che tale programma stabiliva l’acquisizione alla procedura non solo degli introiti derivanti da una esecuzione immobiliare, ma anche di quote della retribuzione mensile della debitrice.
Il rimettente precisa, inoltre, che i liquidatori, tenendo conto dell’esigenza di «garantire un minimo soddisfacimento per i creditori», determinavano la durata della procedura e della acquisizione dei crediti in quattro anni, facendo salvo «l’eventuale effetto esdebitativo ottenuto una volta decorsi tre anni». A tal riguardo, il programma – parzialmente riportato nell’ordinanza – stabiliva che, in caso di esdebitazione, vi sarebbe stata la «prosecuzione dell’attività liquidatoria […] solo sui beni già acquisiti nella massa concorsuale [sino] a tale momento».
2.1.– Il giudice a quo contesta che possa essere «rimessa al puro e semplice arbitrio dell’organo liquidatorio la determinazione di un limite minimo di apprensione dei redditi del debitore sovraindebitato» e lamenta che la riforma introdotta con il CCII non abbia previsto, per la liquidazione controllata, un termine per l’acquisizione dei beni sopravvenuti, diversamente da quanto disposto dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento) per la liquidazione del patrimonio.
In particolare, l’art. 14-undecies della citata legge, ancora applicabile alle procedure di liquidazione del sovraindebitato aperte prima dell’entrata in vigore del CCII, stabilisce che «[i] beni sopravvenuti nei quattro anni successivi al deposito della domanda di liquidazione di cui all’articolo 14-ter costituiscono oggetto della stessa, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi».
2.1.1.– Il giudice a quo rileva la mancanza di una norma che preveda l’acquisizione dei beni sopravvenuti nella disciplina della liquidazione controllata, ma ritiene applicabile a tale procedura quanto stabilito, con riferimento alla liquidazione giudiziale, dall’art. 142, comma 2, CCII.
Tale ultima disposizione prevede che «[s]ono compresi nella liquidazione giudiziale anche i beni che pervengono al debitore durante la procedura, dedotte le passività incontrate per l’acquisto e la conservazione dei beni medesimi», disposizione che riproduce – come osserva il giudice a quo – quanto in precedenza stabilito dall’art. 42, comma secondo, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa).
2.1.2.– La mancata previsione nel citato art. 142, comma 2, CCII, in quanto applicabile alla liquidazione controllata, di una durata di apprensione dei beni sopravvenuti, tale da tenere conto dell’interesse dei creditori, è il profilo di cui si duole il rimettente, il quale ritiene ricostruibile in via ermeneutica tutt’al più un limite temporale massimo, vòlto a escludere che «l’acquisizione possa durare vita natural durante».
A tal riguardo, passa in rassegna varie soluzioni interpretative.
2.1.2.1.– Prende, anzitutto, in esame il termine che implicitamente deriva dal meccanismo della esdebitazione, il quale, ai sensi dell’art. 282, comma 1, CCII, opera di diritto trascorsi tre anni dall’apertura della procedura di liquidazione.
Nondimeno, segnala che l’esdebitazione non opera sempre e che può essere ottenuta anche prima che sia spirato il triennio, se, antecedentemente, ricorrono i presupposti per chiudere la procedura. In ogni caso, ribadisce che quel termine non possa essere risolutivo del problema relativo alla durata minima di acquisizione dei crediti, in quanto potrebbe tutt’al più operare come limite temporale massimo.
2.1.2.2.– Di seguito, ritiene non soddisfacente anche la soluzione di parametrare la durata dell’apprensione sull’esigenza di assicurare una minima soddisfazione del ceto creditorio.
Ravvisa, infatti, da un lato, il rischio di assegnare un potere arbitrario al liquidatore e, da un altro lato, che questi, nell’interesse dei creditori, possa indicare una durata eccedente il termine della ragionevole durata del processo, evocato dall’art. 272, comma 3, CCII.
L’esito paradossale, che si potrebbe determinare, è quello di una apprensione prolungata disposta nell’interesse dei creditori, i quali potrebbero al contempo chiedere l’indennizzo per irragionevole durata del processo.
2.1.2.3.– Infine, il rimettente espone l’ultima soluzione, a suo avviso prospettabile per individuare un limite di durata dell’acquisizione dei crediti, che rinviene nella durata strettamente necessaria «a coprire i costi prededucibili della procedura».
Sennonché simile termine se, da un lato, è idoneo a impedire che l’acquisizione dei beni sopravvenuti del debitore operi vita natural durante, da un altro lato, susciterebbe censure di illegittimità costituzionale.
2.2.– Esclusa, in ragione delle argomentazioni sopra esposte, la possibilità di percorrere una interpretazione conforme alla Costituzione della norma censurata, il giudice a quo ritiene non manifestamente infondate le questioni di legittimità dell’art. 142, comma 2, CCII, in quanto applicabile alla procedura di liquidazione controllata, per non aver previsto «un limite temporale all’acquisizione di beni sopravvenuti all’apertura della procedura concorsuale».
Partendo, dunque, dal presupposto secondo cui, «in assenza di un limite di legge, e non potendo mutuarsi il termine triennale previsto per le finalità dell’esdebitazione», la procedura dovrebbe rimanere aperta per il «solo tempo strettamente necessario a coprire le […] spese da essa stessa prodotte», rinviene un contrasto della norma censurata con gli artt. 3 e 24 Cost.
2.2.1.– A detta del rimettente, la norma censurata presterebbe «il fianco ad abusi da parte del debitore il quale avrebbe gioco facile a sottrarsi dall’esecuzione presso terzi intentata nei suoi confronti dai creditori, con conseguente ed ingiustificabile compressione del diritto di agire di quest’ultimi».
2.2.2.– Al contempo, la medesima norma, nel parametrare la durata dell’acquisizione dei beni sopravvenuti al tempo strettamente necessario a coprire le spese della procedura, determinerebbe – sempre secondo il giudice a quo – una irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina di cui godono i creditori nel caso di procedure di liquidazione del sovraindebitato aperte prima dell’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Per tali procedure trova, infatti, applicazione l’art. 14-undecies della legge n. 3 del 2012, che fissa in quattro anni la durata di acquisizione dei beni sopravvenuti del debitore.
2.3.– Il giudice a quo ritiene che i citati vizi possano essere rimossi solo con un intervento di tipo additivo di questa Corte, che si dovrebbe plasmare sulla disciplina indicata quale tertium comparationis, vale a dire l’art. 14-undecies della legge n. 3 del 2012.
Tale intervento additivo – a detta del rimettente – dovrebbe essere limitato alle sole ipotesi in cui l’art. 142, comma 2, CCII trovi applicazione alla «liquidazione controllata “senza beni” e a mera vocazione reddituale».
2.4.– In punto di rilevanza, il rimettente osserva che il procedimento si trova nella fase regolata dall’art. 272, comma 2, CCII, avendo l’organo liquidatore sottoposto al giudice delegato, ai fini dell’approvazione, un programma di liquidazione, che prevede l’acquisizione di quote di reddito del debitore per una durata di quattro anni, salvo l’eventuale effetto esdebitativo.
Secondo il giudice a quo, a causa della lacuna presente nell’art. 142, comma 2, CCII, il programma di liquidazione sarebbe stato proposto sulla base di un potere arbitrario attribuito dalla norma ai liquidatori, non essendo possibile trarre «dall’ordito normativo» «un limite minimo di apprensione...
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