Sentenza nº 5 da Constitutional Court (Italy), 24 Gennaio 2023

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione24 Gennaio 2023
EmittenteConstitutional Court (Italy)

Sentenza n. 5 del 2023

SENTENZA N. 5

ANNO 2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Silvana SCIARRA

Giudici: Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico), promosso dal Tribunale ordinario di Milano, sezione sesta penale, nel procedimento penale a carico di R. R., con ordinanza del 27 gennaio 2022, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 30 novembre 2022 il Giudice relatore Francesco Viganò;

deliberato nella camera di consiglio del 20 dicembre 2022.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 27 gennaio 2022 il Tribunale ordinario di Milano, sezione sesta penale, ha sollevato due distinti gruppi di questioni di legittimità costituzionale dell’art. 6 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico).

    Con il primo gruppo di questioni, il rimettente censura – in riferimento agli artt. 27, secondo comma, 42, secondo comma, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, questi ultimi in relazione agli artt. 6, paragrafo 2, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, 17 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – il citato art. 6 «nella parte in cui impone al giudice di disporre la confisca delle armi anche in caso di estinzione del reato per oblazione».

    Con il secondo gruppo di questioni, il giudice a quo denuncia la medesima disposizione – per allegato contrasto con gli artt. 3, 27, 42, nonché 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 17 e 49, paragrafo 3, CDFUE – «nella parte in cui prevede come obbligatoria la confisca delle armi anche in relazione alla contravvenzione di cui dell’art. 38 del r.d. n. 733/1931».

    1.1.– Il rimettente riferisce che R. R. – detentore di otto tra fucili da caccia e carabine da tiro sportivo custoditi presso la propria abitazione, e la cui detenzione era già stata regolarmente denunciata all’autorità di pubblica sicurezza – è imputato della violazione del citato art. 38 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), per avere omesso di comunicare il trasferimento di dette armi presso la nuova residenza.

    L’imputato ha chiesto di definire il processo mediante oblazione, ai sensi dell’art. 162-bis del codice penale e il giudice a quo, ritenuta l’insussistenza di cause ostative di carattere oggettivo o soggettivo, ha determinato la somma da corrispondere in 103 euro, pari alla metà della sanzione massima prevista dal combinato disposto degli artt. 38 e 17 TULPS; a fronte dell’intervenuto pagamento, l’imputato ha chiesto pronunciarsi declaratoria di estinzione del reato con restituzione delle armi sequestrate.

    1.2.– Secondo il giudice a quo, tuttavia, l’istanza di restituzione non potrebbe essere accolta, ostandovi il disposto del censurato art. 6 della legge n. 152 del 1975, che impone la confisca delle armi in questione, peraltro di valore economico assai superiore alla modesta entità dell’ammenda corrisposta per il reato in contestazione. Infatti, non sussisterebbero dubbi circa l’obbligatorietà della confisca pur a fronte dell’intervenuta oblazione, atteso che l’art. 6, nel richiamare il primo capoverso dell’art. 240 cod. pen., secondo l’interpretazione offertane dal diritto vivente, impone indefettibilmente la confisca delle cose ivi indicate, anche in assenza di condanna e a fronte della declaratoria di estinzione del reato per oblazione, salve le sole ipotesi dell’assoluzione nel merito dell’imputato o dell’appartenenza della res a persona estranea al reato (sono citate Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze 15 novembre-30 novembre 2017, n. 54086; 6 aprile-2 agosto 2016, n. 33982; 9 ottobre-18 dicembre 2015, n. 49969; 4 dicembre 2012-15 gennaio 2013, n. 1806; 20 gennaio-25 marzo 2010, n. 11480; 1° ottobre-16 ottobre 2008, n. 38951; 10 novembre 2006-18 gennaio 2007, n. 1264; 28 settembre-28 ottobre 1999, n. 5228; 23 ottobre 1997-24 febbraio 1998, n. 5967; 29 ottobre 1997-14 gennaio 1998, n. 413).

    Un diverso esito – nel senso della restituzione dei beni o quantomeno della facoltatività della confisca, con possibilità per il giudice di valutare in concreto la sussistenza delle condizioni per disporla – sarebbe prospettabile solo ove le questioni di legittimità costituzionale sollevate fossero accolte. Di qui la loro rilevanza.

    1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza del primo gruppo di questioni, ritiene il giudice a quo che l’art. 6 della legge n. 152 del 1975, nella parte in cui impone la confisca delle armi o altre cose ivi indicate anche in caso di estinzione del reato per oblazione, contrasti: a) con gli artt. 27, secondo comma, nonché 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, paragrafo 2, CEDU e 48 CDFUE, i quali sanciscono la presunzione di innocenza dell’imputato; b) con gli artt. 42, secondo comma, 11 e 117, primo comma Cost., in relazione agli artt. 1 Prot. addiz. CEDU e 17 CDFUE, che tutelano il diritto di proprietà.

    1.3.1.– La confisca prevista dall’art. 6 della legge n. 152 del 1975 avrebbe natura «“penale” o comunque “sanzionatoria”» in base ai criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte EDU. La misura ablatoria si riconnetterebbe infatti alla commissione (almeno presunta) di un fatto di reato, verrebbe disposta dal giudice all’esito di un procedimento penale e non assolverebbe ad alcuna funzione risarcitoria o ripristinatoria della situazione antecedente il reato, determinando invece «l’ablazione di beni acquisiti in modo legittimo dall’imputato, da questi legittimamente detenuti (almeno per un determinato tempo) e, in ipotesi, ulteriormente detenibili regolarmente, con una mera comunicazione all’Autorità di P.S.».

    Diversamente dalle ipotesi riconducibili alla previsione dell’art. 240, secondo comma, numero 2), cod. pen. (che prescrive la confisca obbligatoria di «cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato»), «la detenzione di un’arma (a meno che non si tratti di arma clandestina o da guerra), e a determinate condizioni persino la fabbricazione, l’alienazione, il porto ecc., non sono affatto vietate in sé, ma richiedono solo una denuncia di detenzione all’Autorità di Pubblica sicurezza (o un’autorizzazione)». Le stesse armi, poi, potrebbero essere restituite, oltre che all’imputato in caso di assoluzione, anche al terzo proprietario estraneo al reato. Ciò confermerebbe che «la confisca non è disposta in relazione all’intrinseca criminosità della res (come potrebbe essere ad esempio in caso di stupefacenti o appunto [di] armi clandestine), ma per la relazione che si pone tra essa e l’autore del reato; in un’ottica che privilegia l’aspetto sanzionatorio rispetto a quello di prevenzione speciale, posto che lo stesso imputato potrebbe comunque continuare a detenere legittimamente armi diverse da quelle oggetto del reato contestatogli». L’esigenza di rispetto di «uno statuto minimo di garanzie di carattere sostanziale e processuale» si porrebbe peraltro per «qualsiasi misura pregiudizievole per diritti costituzionalmente tutelati, anche se di carattere amministrativo» (è citata la sentenza n. 22 del 2018 di questa Corte).

    1.3.2.– Tanto premesso in ordine alla natura della confisca di cui all’art. 6 della legge n. 152 del 1975, il giudice a quo evidenzia che, in caso di definizione del processo mediante oblazione, l’effetto ablativo del diritto di proprietà dell’imputato si produce in assenza di accertamento sulla sua responsabilità, se non nei ristretti limiti dell’insussistenza di una evidente causa di assoluzione nel merito, ai sensi dell’art. 129, comma 2, del codice di procedura penale.

    E invero, nel procedimento per oblazione, il giudizio sarebbe definito senza formazione della prova, con l’accoglimento della relativa domanda – presentata prima della dichiarazione di apertura del dibattimento – in esito a una mera valutazione giudiziale circa l’assenza di recidiva, abitualità o professionalità nel reato dell’imputato, la permanenza o meno di conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore e la gravità del fatto; valutazione che avverrebbe «senza alcun apporto fornito dalla difesa». Né potrebbe ritenersi che la domanda di oblazione implichi un’implicita ammissione di responsabilità da parte dell’imputato, o che la pronuncia dichiarativa dell’estinzione del reato per intervenuta oblazione sia equiparabile a una sentenza di condanna. Il procedimento per oblazione, infatti, sarebbe concepito per evitare i costi economici ed emotivi e l’alea del processo mediante il versamento di una somma di denaro, che estingue il reato, senza che si producano effetti penali, civili o disciplinari e senza che la relativa declaratoria sia annotata nel certificato del casellario giudiziale, a differenza di quanto avviene in relazione all’applicazione della pena su richiesta delle parti, alla declaratoria di estinzione del reato per esito positivo della messa alla prova o all’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

    1.3.3.– Alla confisca ex art. 6 della legge n. 152 del 1975 disposta in esito all’estinzione del reato per oblazione sarebbero estensibili le considerazioni sviluppate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo in relazione alla cosiddetta confisca urbanistica (sono citate le...

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