Sentenza nº 201 da Constitutional Court (Italy), 28 Luglio 2022

RelatoreLuca Antonini
Data di Resoluzione28 Luglio 2022
EmittenteConstitutional Court (Italy)

Sentenza n. 201 del 2022

SENTENZA N. 201

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 2, e 10, comma 3, della legge della Regione Siciliana 26 maggio 2021, n. 12 (Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 3 agosto 2021, depositato in cancelleria il 10 agosto 2021, iscritto al n. 43 del registro ricorsi 2021 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2021.

Visto l’atto di costituzione della Regione Siciliana;

udito nell’udienza pubblica del 5 luglio 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;

udito l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giuseppa Mistretta e Maria Concetta Caldara per la Regione Siciliana;

deliberato nella camera di consiglio del 7 luglio 2022.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 3 agosto 2021 e depositato il 10 agosto 2021 (reg. ric. n. 43 del 2021), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 3, comma 2, e 10, comma 3, della legge della Regione Siciliana 26 maggio 2021, n. 12 (Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano), in riferimento, complessivamente, agli artt. 81, terzo comma, 97, secondo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, nonché agli artt. 14 e 17 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.

    1.1.– Il primo motivo di impugnazione ha ad oggetto il comma 2 del richiamato art. 3 in base al quale «[i] comuni, singolarmente o in forma associata, possono costituire o partecipare a società, anche con altri enti pubblici o con privati, che abbiano come oggetto sociale il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 1 o, comunque, lo sviluppo delle attività di cui all’articolo 2».

    Le disposizioni da ultimo richiamate prevedono, rispettivamente, le finalità e l’oggetto della disciplina (art. 1) e la individuazione delle aree sciabili (art. 2).

    Quanto all’art. 1, esso stabilisce: «1. La Regione promuove e tutela le località montane e le relative aree sciabili in ragione della loro valenza in termini di sviluppo economico e culturale, di coesione sociale e territoriale, sostiene altresì la pratica dello sci e di ogni altra attività ludico-sportiva e ricreativa, invernale o estiva, che utilizzi impianti e tracciati destinati all’attività sciistica.

  2. La presente legge disciplina la gestione e la fruizione delle aree sciabili, con particolare riguardo allo sviluppo delle attività economiche nelle località montane e alla sicurezza degli utenti. Disciplina altresì la riqualificazione e la razionalizzazione dell’uso delle aree sciabili, garantendo la salvaguardia ambientale e paesaggistica nonché la riduzione del consumo del suolo».

    Quanto all’art. 2, esso stabilisce: «1. Con delibera della Giunta regionale adottata entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la Commissione di coordinamento per le aree sciabili di cui all’articolo 10, sono individuate le eventuali ulteriori aree sciabili attrezzate ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 40.

  3. Con la delibera di cui al comma 1 sono altresì individuate le aree a specifica destinazione per la pratica delle attività con attrezzi, quali lo sci alpino, lo snowboard, lo sci da fondo, lo slittino, da praticarsi nelle aree specificatamente individuate che devono essere segnalate, separate e classificate.

  4. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano fatti salvi gli attuali contratti ed obbligazioni in essere al momento della data di entrata in vigore della presente legge».

    Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto con l’art. 4 del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), che, al comma 1, precluderebbe alle amministrazioni pubbliche di costituire, anche indirettamente, «società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società» e che, al comma 2, consentirebbe, ma solo nei limiti di cui al comma 1, di costituire società, o di acquisirne o mantenerne partecipazioni, «esclusivamente per lo svolgimento delle attività» indicate nelle successive lettere da a) ad e).

    Il ricorso sottolinea che le citate norme statali introdurrebbero un «doppio vincolo», rispettivamente, «di scopo pubblico» e «di attività». In particolare, il vincolo di attività espresso dal comma 2, «ammettendo soltanto le società che svolgono “esclusivamente” le attività indicate alle lettere a), b), c), d) ed e)», rappresenterebbe un’importante novità rispetto alla disciplina previgente, come evidenziato dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di decreto legislativo.

    1.2.– Dopo avere ricordato l’obbligo in capo agli enti pubblici, ai sensi degli artt. 20 e 24 del d.lgs. n. 175 del 2016 (d’ora in avanti: TUSP) e come anche ribadito dalla giurisprudenza della Corte dei conti, di dismettere le società non riconducibili alle missioni istituzionali loro attribuite dalla legge, l’atto introduttivo richiama la nozione di «servizi di interesse generale», in quanto rilevante anche ai fini dell’art. 4, comma 2, lettera a), dello stesso decreto.

    Essi sono definiti dall’art. 2, comma 1, lettera h), TUSP come «le attività di produzione e fornitura di beni o servizi che non sarebbero svolte dal mercato senza un intervento pubblico o sarebbero svolte a condizioni differenti in termini di accessibilità fisica ed economica, continuità, non discriminazione, qualità e sicurezza, che le amministrazioni pubbliche, nell’ambito delle rispettive competenze, assumono come necessarie per assicurare la soddisfazione dei bisogni della collettività di riferimento, così da garantire l’omogeneità dello sviluppo e la coesione sociale, ivi inclusi i servizi di interesse economico generale».

    Ad avviso del ricorrente, la disposizione regionale impugnata, «prevedendo che i comuni possano partecipare a organismi societari in cui siano presenti altri enti pubblici o soggetti privati, senza tuttavia precisare che tale partecipazione dovrà comunque essere acquisita e gestita nel rispetto dei princìpi e limiti previsti dal TUSP consentirebbe anche l’acquisizione di partecipazioni di minoranza».

    A sostegno della censura è richiamata la deliberazione della Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, 21 dicembre 2016, n. 398/2016/PAR, secondo la quale «nel caso in cui la partecipazione dell’ente sia minoritaria (ed in assenza di altri soci pubblici, che consentano il controllo della società), il servizio espletato non è da ritenere “servizio di interesse generale” posto che, a prescindere da ogni altra considerazione relativa alle finalità istituzionali dell’ente, l’intervento pubblico (stante la partecipazione minoritaria) non può garantire l’accesso al servizio così come declinato nell’articolo 4», non essendo in grado di determinarne le condizioni necessarie.

    In senso analogo è citata anche la deliberazione della Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Piemonte, 5 febbraio 2016, n. 9/2016/SRCPIE/VSG, nella quale la magistratura contabile avrebbe sottolineato che le “partecipazioni polvere”, non consentendo un controllo sulla partecipata da parte del socio pubblico, non sarebbero coerenti con una valutazione di strategicità della partecipazione, riducendosi al rango di mero investimento di capitale di rischio, non più ammesso dall’attuale quadro normativo.

    Pertanto, ad avviso del ricorrente, «il possesso di una eventuale partecipazione minoritaria, la cui acquisizione appare legittimata dalla previsione della norma regionale, non consentirebbe certamente di realizzare le condizioni affinché la pubblica...

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