Sentenza nº 195 da Constitutional Court (Italy), 26 Luglio 2022

Data di Resoluzione26 Luglio 2022
EmittenteConstitutional Court (Italy)

Sentenza n. 195 del 2022

SENTENZA N. 195

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), promosso dal Tribunale ordinario di Trieste, sezione civile, nel procedimento vertente tra G. G. e il Ministero dell’interno, con ordinanza del 29 settembre 2021, iscritta al n. 214 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udita nella camera di consiglio del 23 giugno 2022 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza depositata il 29 settembre 2021 e iscritta al n. 214 del registro ordinanze 2021, il Tribunale ordinario di Trieste, sezione civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), nella parte in cui non esclude dal novero delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza la morte del coniuge del richiedente, sopravvenuta in pendenza dei termini previsti dalla legge per la conclusione del relativo procedimento.

  2. – In punto di fatto, il giudice a quo riferisce che G. G., cittadina ucraina residente in Italia dal 6 settembre 2007, si era sposata, in data 14 marzo 2009, con G. R., cittadino italiano, e che, successivamente al matrimonio, aveva mantenuto la residenza in Italia.

    2.1.– Il Tribunale rimettente espone che, in data 9 giugno 2011, G. G. inoltrava alla Prefettura un’istanza, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 91 del 1992, diretta al riconoscimento della cittadinanza italiana. Tuttavia, in data 22 aprile 2013, le veniva notificato un provvedimento con cui tale istanza era dichiarata improcedibile a causa del decesso del coniuge, verificatosi il 27 luglio 2012.

    2.2.– Il giudice a quo riporta, di séguito, che G. G. ha agito in giudizio per l’accertamento del suo diritto al conseguimento della cittadinanza italiana, asserendo di aver risieduto in Italia per il prescritto periodo di almeno due anni dopo il matrimonio, così integrando il presupposto richiesto dall’art. 5 della legge n. 91 del 1992.

    Nel giudizio si è costituito il Ministero dell’interno, evidenziando che il decesso del coniuge dell’istante, verificatosi nelle more del procedimento amministrativo, avrebbe dato luogo a una delle cause ostative, di cui all’art. 5 della citata legge, secondo cui, «ai fini dell’acquisto della cittadinanza, non deve essere intervenuto, al momento dell’adozione del decreto prefettizio, lo scioglimento del matrimonio». Di conseguenza, deduceva la legittimità dell’operato dell’amministrazione convenuta e si opponeva alla domanda della ricorrente, chiedendone il rigetto.

  3. – Così riferite le premesse in fatto, il rimettente ritiene di dover sollevare questioni di legittimità costituzionale «dell’art. 5 della L. n. 91 del 1992 nella parte in cui non esclude, dal novero delle cause ostative al riconoscimento del diritto di cittadinanza, la morte sopravvenuta del coniuge del richiedente in pendenza dei termini previsti dalla legge per la conclusione del relativo procedimento».

  4. – In punto di rilevanza, il Tribunale di Trieste sostiene che, «nel caso di specie, una pronuncia di incostituzionalità della norma nel senso sopra indicato consentirebbe alla ricorrente di eliminare l’ostacolo frapposto dal legislatore al riconoscimento del suo diritto» e che la risoluzione del dubbio di legittimità costituzionale è, pertanto, pregiudiziale alla definizione del giudizio principale.

    Inoltre, reputa non percorribile una interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata, stante il suo tenore testuale.

  5. – Quanto al giudizio sulla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ravvisa, innanzitutto, una violazione dell’art. 3 Cost., «in relazione agli artt. 111 e 24 Cost.».

    5.1.– In particolare, ritiene «pacifica» la qualifica della situazione giuridica soggettiva invocata dalla ricorrente come diritto soggettivo, che «richiede un preventivo accertamento della P.A. diretto a verificarne i presupposti prestabiliti dalla legge». Su tale premessa, ravvisa «un’irragionevole disparità di trattamento di detta posizione giuridica rispetto a quei diritti che possono essere fatti valere direttamente in via giurisdizionale». Per questi ultimi opererebbe il principio di retroattività degli effetti della pronuncia al momento della domanda. Viceversa, per il diritto in esame, l’assetto normativo imporrebbe di «considerare la situazione esistente al momento dell’adozione del provvedimento amministrativo, a nulla rilevando che i presupposti legislativi per il riconoscimento del diritto già sussistessero al momento della domanda».

    In tal modo, il «procedimento amministrativo […] finirebbe con l’assurgere, surrettiziamente, a limite all’accertamento giurisdizionale del diritto, in palese contrasto con l’art. 24 Cost.».

    5.2.– Inoltre, prosegue il rimettente, risulterebbe violato anche l’art. 97 Cost., in quanto «il riconoscimento della posizione giuridica dell’individuo» verrebbe pregiudicato «dalla durata del procedimento amministrativo», in contrasto con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, ivi disposto. Questo, viceversa, esigerebbe che la durata del procedimento amministrativo non vada «a discapito della domanda di accertamento del diritto, analogamente a quanto desumibile dai principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.».

    5.3.– Infine, secondo il giudice a quo, la norma si dimostrerebbe intrinsecamente irragionevole, e perciò ulteriormente lesiva dell’art. 3 Cost. L’irragionevolezza risiederebbe nella equiparazione fra il «decesso del...

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