Sentenza nº 56 da Constitutional Court (Italy), 31 Marzo 2021

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione31 Marzo 2021
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 56

ANNO 2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 01, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dal Magistrato di sorveglianza di Milano, nel procedimento di sorveglianza ad istanza di A. C., con ordinanza del 20 marzo 2020, iscritta al n. 134 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visti l’atto di costituzione di A. C., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 9 marzo 2021 il Giudice relatore Francesco Viganò;

uditi l’avvocato Andrea Vigani per A. C. e l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;

deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2021.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 20 marzo 2020, iscritta al n. 134 del r.o. 2020, il Magistrato di sorveglianza di Milano ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dell’art. 47-ter, comma 01, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), «nella parte in cui prevede che i condannati ultrasettantenni che abbiano riportato condanne con l’aggravante della recidiva non possono usufruire della misura della detenzione domiciliare prevista dalla norma in esame», e in subordine «nella parte in cui non prevede che i condannati ultrasettantenni che abbiano riportato condanne con l’aggravante della recidiva non possono usufruire della misura della detenzione domiciliare prevista dalla norma in esame, salva l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti cessata o grandemente diminuita la pericolosità del soggetto».

    1.1.– Il rimettente è chiamato a giudicare su un’istanza presentata personalmente da un condannato, che aveva chiesto di essere ammesso alla misura alternativa della detenzione domiciliare presso l’abitazione della moglie.

    Al momento della presentazione dell’istanza, il condannato aveva settantotto anni ed era detenuto in esecuzione di una pena complessiva di quattordici anni e sette mesi di reclusione – di cui tredici anni e otto mesi ancora da espiare – per una serie di reati fallimentari e tributari accertati in diverse sentenze di condanna, alcune delle quali avevano applicato la circostanza aggravante della recidiva, preclusiva della concedibilità della misura alternativa in forza della disposizione censurata; ciò che comporterebbe il necessario rigetto dell’istanza.

    Il giudice a quo dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale della preclusione in parola.

    1.2.– Osserva il rimettente che l’applicazione della recidiva non esprimerebbe un giudizio di maggiore pericolosità del condannato, quanto piuttosto una valutazione di maggiore gravità del fatto di reato commesso; e che la sua applicazione dipenderebbe da «condizioni variabili e ingovernabili quali l’effettiva contestazione da parte del PM (che non sempre assolve l’obbligo di contestarla) e la discrezionalità del giudice nel riconoscerla e applicarla».

    D’altra parte, anche ad ammettere che la recidiva implichi indirettamente un giudizio di maggiore pericolosità, tale giudizio risalirebbe al tempo della sentenza di condanna e non sarebbe pertanto attuale al tempo della decisione sulla misura alternativa, in relazione alle circostanze oggettive e soggettive del presente.

    Sarebbe inoltre contraddittorio che la detenzione domiciliare possa essere concessa in linea di principio a condannati ultrasettantenni senza soglie di pena, essendo però preclusa allorché sia stato a suo tempo applicato un istituto, quale la recidiva, che incide solo sulla commisurazione della pena, e dunque in ragione di un «fattore imponderabile, aleatorio e non rappresentativo di pericolosità attuale o non meritevolezza».

    Tutto ciò determinerebbe la violazione del «principio di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza» di cui all’art. 3 Cost., alla luce della giurisprudenza di questa Corte che considera incompatibili con tale parametro le presunzioni assolute arbitrarie e irrazionali, in quanto non rispondenti a dati di esperienza generalizzati. E sarebbe, altresì, violato il principio di proporzionalità della pena, connesso alla funzione rieducativa che l’art. 27, terzo comma, Cost. affida alla pena stessa.

    Il rimettente invoca a sostegno delle censure varie pronunce di questa Corte che hanno colpito automatismi in materia di disciplina dell’immigrazione (sentenza n. 172 del 2012), di recidiva (sentenza n. 185 del 2015), di presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere (sentenza n. 110 del 2012); e sottolinea come la presunzione di pericolosità che il legislatore ricollega, nella disciplina ora censurata, all’applicazione della recidiva possa essere agevolmente smentita mediante la formulazione di «ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa, potendosi riscontrare nella pratica condannati con recidiva per nulla pericolosi e condannati senza recidiva molto pericolosi, in entrambi i casi per ragioni imponderabili». «Il giudizio sulla personalità del reo e sulla sua pericolosità soggettiva» – conclude il rimettente – «è bloccato dal meccanismo automatico della norma, quando invece – proprio perché...

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