Sentenza nº 252 da Constitutional Court (Italy), 26 Novembre 2020

RelatoreFranco Modugno
Data di Resoluzione26 Novembre 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 252

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Mario Rosario MORELLI;

Giudici: Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 191 del codice di procedura penale e dell’art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promosso dal Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, con sei ordinanze del 5 luglio, del 13 settembre, del 14 settembre, del 1° ottobre 2018, del 20 settembre 2019 e del 13 dicembre 2018, iscritte, rispettivamente, dal n. 17 al n. 22 del registro ordinanze 2020 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 8 e 9, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020 il Giudice relatore Franco Modugno;

deliberato nella camera di consiglio del 21 ottobre 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con sei ordinanze, di tenore per larga parte analogo, il Tribunale ordinario di Lecce, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 97, terzo (recte: secondo) comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, innanzitutto questioni di legittimità costituzionale dell’art. 191 del codice di procedura penale, nella parte in cui – secondo l’interpretazione predominante nella giurisprudenza di legittimità, qualificabile come diritto vivente – non prevede che la sanzione dell’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di un divieto di legge riguardi anche gli esiti probatori – compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato – degli atti di perquisizione e ispezione domiciliare e personale compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge, ovvero (secondo le sole ordinanze iscritte ai numeri 17, 18, 20, 21 e 22 del r.o. 2020) non convalidati, comunque sia, dal pubblico ministero con provvedimento motivato.

    In alcune delle ordinanze, il rimettente lamenta in modo specifico che l’inutilizzabilità non colpisca anche le perquisizioni e le ispezioni operate dalla polizia giudiziaria sulla base di elementi non utilizzabili, quali le fonti confidenziali (r.o. n. 19 del 2020), o in assenza della flagranza di reato (r.o. n. 20 del 2020); ovvero autorizzate verbalmente dal pubblico ministero senza che ne risultino le ragioni (r.o. n. 20 del 2020); ovvero effettuate ai sensi dell’art. 103 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) (inde: «t.u. stupefacenti»), senza aver chiesto – come ivi prescritto – l’autorizzazione del pubblico ministero e senza che consti l’impossibilità di farlo (r.o. n. 21 del 2020); ovvero, ancora, che l’inutilizzabilità non riguardi anche la deposizione testimoniale sulle attività prese in considerazione (ordinanze iscritte ai numeri 17, 18 e 19 del r.o. 2020).

    La sola ordinanza n. 22 del r.o. 2020 solleva, inoltre, in riferimento agli artt. 13, 14 e 117, primo comma, Cost. – quest’ultimo in relazione all’art. 8 CEDU –, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 103 t.u. stupefacenti, «nella parte in cui prevede che il [pubblico ministero] possa consentire l’esecuzione di perquisizioni in forza di autorizzazione orale senza necessità di una successiva documentazione formale delle ragioni per cui l’ha rilasciata».

    1.1.– Secondo quanto emerge dalle ordinanze di rimessione, il giudice a quo è investito, in sede dibattimentale, di processi per reati in materia di stupefacenti (ordinanze iscritte ai numeri 17, 18, 21 e 22 del r.o. 2020), ovvero per reati contro il patrimonio (ordinanze iscritte ai numeri 19 e 20 del r.o. 2020).

    In ciascuno dei casi, la prova esclusiva o principale dei fatti è costituita dal sequestro del corpo del reato – secondo i casi, sostanze stupefacenti, piante di cannabis, ovvero beni di provenienza furtiva – rinvenuti presso l’abitazione degli imputati a seguito di perquisizioni eseguite dalla polizia giudiziaria. Dai relativi verbali, si desume che le perquisizioni erano state effettuate sulla base di notizie fornite da fonti confidenziali (ordinanze iscritte ai numeri 17, 19, 21 e 22 del r.o. 2020), o acquisite tramite una non meglio specificata «attività infoinvestigativa» (r.o. n. 18 del 2020), ovvero ancora sulla base di una segnalazione della persona offesa, in assenza di una situazione di flagranza di reato (r.o. n. 20 del 2020).

    Ad avviso del rimettente, tali perquisizioni dovrebbero ritenersi abusive, in quanto compiute fuori dai casi tassativamente indicati dalla legge.

    Riproponendo le considerazioni già svolte in due precedenti ordinanze di rimessione, il giudice salentino rileva che l’art. 13 Cost. (richiamato, quanto a garanzie e forme ivi previste, dall’art. 14 Cost. con riguardo a ispezioni, perquisizioni e sequestri domiciliari) prevede che ogni forma di limitazione della libertà personale – compresa quella insita nelle ispezioni e nelle perquisizioni personali – possa essere disposta solo con «atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge». A tale principio può derogarsi unicamente «in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge», nei quali l’autorità di pubblica sicurezza può adottare «provvedimenti provvisori» soggetti a convalida da parte dell’autorità giudiziaria, in difetto della quale essi «si intendono revocati e restano privi di ogni effetto».

    L’ipotesi principale che, in base alla legge ordinaria, legittima l’intervento eccezionale delle forze di polizia è quella della flagranza di reato (artt. 352 e 354 cod. proc. pen.). Norme speciali hanno, peraltro, ampliato i casi nei quali la polizia giudiziaria può procedere a ispezioni e perquisizioni. Una delle fattispecie più ricorrenti nella pratica – e rilevante in una parte dei giudizi a quibus – è quella contemplata dall’art. 103 t.u. stupefacenti, i cui commi 2 e 3 abilitano la polizia giudiziaria a procedere – nel corso di operazioni finalizzate alla prevenzione e alla repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope – rispettivamente, all’ispezione dei mezzi di trasporto, dei bagagli e degli effetti personali, e a perquisizioni, allorché vi sia «fondato motivo» di ritenere che possano essere rinvenute tali sostanze e ricorrano, altresì – nel caso delle perquisizioni – «motivi di particolare necessità ed urgenza che non consentano di richiedere l’autorizzazione telefonica del magistrato competente». Delle operazioni deve essere data notizia, entro quarantotto ore, al procuratore della Repubblica, il quale le convalida nelle quarantotto ore successive, sempre che ne sussistano i presupposti.

    A parere del giudice a quo, una interpretazione delle disposizioni ora richiamate rispettosa del dettato costituzionale imporrebbe di ritenere che il presupposto che legittima l’intervento della polizia giudiziaria, anche fuori dai casi di flagranza nel reato, debba possedere un «requisito minimo di comprovabilità e verificabilità». Diversamente opinando, infatti, si attribuirebbe alla polizia giudiziaria il potere di ledere «ad libitum» la libertà personale e domiciliare dell’individuo, vanificando il senso del controllo dell’autorità giudiziaria sul suo operato.

    Di conseguenza, il fondato sospetto di detenzione dello stupefacente non potrebbe essere basato su informazioni anonime o confidenziali, le quali non sono in alcun modo verificabili dal giudice e delle quali è proprio per questo prevista, in via generale, l’inutilizzabilità (artt. 195, comma 7, 203, comma 1, e 240 cod. proc. pen.).

    Ciò renderebbe illegittime le perquisizioni domiciliari di cui si discute nei giudizi a quibus. All’atto della perquisizione, non emergeva una situazione di flagranza del reato, ma nemmeno sussisteva – quanto alle perquisizioni operate ai sensi dell’art. 103 t.u. stupefacenti – un «fondato motivo» per ritenere che potessero essere rinvenute sostanze stupefacenti: di là, infatti, dal riferimento a inutilizzabili fonti confidenziali, o a una imprecisata «attività infoinvestigativa», i verbali di perquisizione non indicano quali elementi potessero far presumere la presenza di droga nell’abitazione dell’imputato.

    Le perquisizioni erano destinate, d’altro canto, a rimanere prive di ogni effetto – secondo il giudice a quo – in ragione dell’assenza di un valido provvedimento, antecedente o successivo, dell’autorità giudiziaria. In un caso, infatti, la perquisizione non era stata né autorizzata preventivamente, né convalidata successivamente dal pubblico ministero (r.o. n. 18 del 2020); in altri casi, era stata bensì convalidata, ma con provvedimento totalmente privo di motivazione (ordinanze iscritte ai numeri 17, 19 e 21 del r.o. 2020); in un altro caso ancora, era stata autorizzata oralmente e indi convalidata, ma sempre senza motivazione (ordinanza r.o. n. 20 del 2020); in un ultimo caso, infine, era stata solo autorizzata oralmente, di nuovo però senza che ne constassero le ragioni (r.o. n. 22 del 2020).

    Con particolare riguardo ai casi di avvenuta convalida, il rimettente rileva come, pur in assenza di una esplicita previsione in tal senso nell’art. 13 Cost., sia giocoforza ritenere che la...

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