Sentenza nº 135 da Constitutional Court (Italy), 06 Luglio 2020

RelatoreGiancarlo Coraggio
Data di Resoluzione06 Luglio 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 135

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, della legge della Regione Siciliana 9 maggio 1986, n. 22 (Riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali in Sicilia), promossi dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana con ordinanze del 15 ottobre 2018 e del 20 febbraio 2019, iscritte, rispettivamente, ai numeri 79 e 80 del registro ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti gli atti di costituzione della Regione Siciliana e, fuori termine, di L. V. e altri, nonché di M.M. R. e altri;

udito il Giudice relatore Giancarlo Coraggio, secondo le prescrizioni del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettere a) e c), in collegamento da remoto, senza discussione orale, in data 10 giugno 2020;

deliberato nella camera di consiglio dell’11 giugno 2020.

Ritenuto in fatto

  1. − Con due ordinanze di identico tenore il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato, in riferimento agli artt. 97, secondo e quarto comma, 117, secondo comma, lettera e), 119, «primo, secondo, quinto, sesto, settimo e ottavo comma» della Costituzione, nonché all’art. 15, secondo comma, del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), «unitamente o separatamente considerati», questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, della legge della Regione Siciliana 9 maggio 1986, n. 22 (Riordino dei servizi e delle attività socio-assistenziali in Sicilia), nella parte in cui «obbliga i Comuni ad assorbire il patrimonio ed il personale delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza soppresse autoritativamente dall’Amministrazione regionale, e ciò anche in deroga alle norme sul contenimento della spesa pubblica (comprese quelle che introducono divieti di assunzioni o limitazioni alle assunzioni di personale) e sull’equilibrio dei bilanci pubblici (nonostante tali norme siano espressione del principio fondamentale del coordinamento della finanza pubblica)».

    1.1.− Dalla lettura delle due ordinanze emerge, in punto di fatto, che:

    − i giudizi sono stati intrapresi dai Comuni di Castellamare del Golfo e di Piazza Armerina, insorti avverso i decreti del Presidente della Regione Siciliana con cui, ai sensi della norma censurata, sono state estinte, rispettivamente, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (IPAB) «Istituto Regina Elena e Vittorio Emanuele II di Castellammare del Golfo» e «Istituto assistenziale S. Giuseppe e S. Giovanni Battista di Rodi», con devoluzione ai Comuni medesimi di ogni rapporto attivo e passivo ad esse facente capo e con trasferimento del personale dipendente;

    − i Comuni ricorrenti lamentano l’illegittimità dei provvedimenti impugnati: a) perché non hanno tenuto conto dei pareri negativi espressi dai competenti organi comunali in ordine alla successione in tutti i rapporti attivi e passivi delle IPAB; b) poiché l’automatico trasferimento del personale delle IPAB nei ruoli degli enti locali confligge con i limiti posti dalla vigente normativa in materia di contenimento della spesa pubblica per le assunzioni a tempo indeterminato; c) perché la norma che dispone l’assorbimento del personale deve essere interpretata in maniera costituzionalmente orientata, con conseguente passaggio all’ente locale solo del personale reclutato tramite pubblico concorso; d) in via subordinata, il Comune di Castellamare del Golfo ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 34, comma 2, della legge della Regione Siciliana n. 22 del 1986, per violazione degli artt. 81, 97, primo e terzo comma, 117 e 119 Cost., ove si ritenga che esso disponga il subentro dell’ente locale in tutti i rapporti attivi e passivi dell’IPAB e a prescindere dalla verifica dei limiti di spesa per le assunzioni e dalla modalità di reclutamento del personale;

    − in entrambi i giudizi si sono costituiti i dipendenti delle IPAB disciolte, instando per il rigetto dei ricorsi;

    − il TAR Sicilia, Palermo, sezione terza, con sentenza del 4 settembre 2018, n. 2122, ha accolto il ricorso proposto dal Comune di Castellamare del Golfo, annullando l’atto impugnato, per difetto di motivazione in relazione ai pareri negativi espressi dall’amministrazione comunale in ordine alla successione nei rapporti attivi e passivi delle estinte IPAB, per violazione delle norme che pongono limiti assunzionali, e perché, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata della norma censurata, il trasferimento del personale potrebbe operare solo per i soggetti assunti a mezzo di pubblico concorso;

    − il TAR Sicilia, sezione staccata di Catania, con sentenza del 27 marzo 2018, n. 648, ha invece rigettato il ricorso proposto dal Comune di Piazza Armerina, ritenendo il provvedimento di estinzione basato su un’adeguata istruttoria e sufficientemente motivato, le limitazioni di assunzione del personale non operanti in caso di successione ope legis, e il disposto trasferimento di personale riferito esclusivamente a quello assunto con pubblico concorso;

    − avverso le due sentenze hanno proposto ricorso in appello, innanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, rispettivamente, i dipendenti dell’IPAB di Castellamare del Golfo e il Comune di Piazza Armerina, riproponendo le opposte argomentazioni sostenute in primo grado.

    1.2.− Ciò premesso in punto di fatto, il rimettente osserva che l’art. 4, lettera m), dello statuto della Regione Siciliana attribuisce alla Regione potestà legislativa «esclusiva» in materia di pubblica beneficenza ed opere pie.

    L’art. 34 della legge della Regione Siciliana n. 22 del 1986 – prosegue il Consiglio di giustizia – stabilisce, al primo comma, che «[l]’Assessore regionale per gli enti locali avvia il procedimento amministrativo per la fusione delle istituzioni pubbliche, proprietarie delle strutture non utilizzabili o non riconvertibili, con altre IPAB che dispongono di strutture giudicate utilizzabili o riconvertibili in esito alle procedure di cui ai precedenti articoli o con IPAB che, mediante l’integrazione delle strutture, su proposta del comune territorialmente competente, possono attivare servizi socioassistenziali e socio-sanitari conformi alle previsioni degli articoli 31 e 32 della presente legge»; al secondo comma, che «[i]n subordine l’istituzione è estinta e i beni patrimoniali sono devoluti al comune, che assorbe anche il personale dipendente, facendone salvi i diritti acquisiti in rapporto al maturato economico»; al terzo comma, che «[l]a fusione e l’estinzione non hanno luogo qualora la struttura non utilizzabile o riconvertibile appartenga ad istituzione che disponga di altre strutture agibili e riconvertibili».

    Il menzionato secondo comma dell’art. 34, dunque, attribuirebbe alla Regione il potere di accertare se le IPAB non siano più in grado di funzionare autonomamente (nemmeno a seguito di processi di fusione o di riconversione), nonché di decidere se debbano essere soppresse, e da tale decisione conseguirebbe automaticamente la devoluzione dei beni patrimoniali e il trasferimento del personale dalla soppressa istituzione al Comune territorialmente competente.

    Deduce il rimettente che nel nostro ordinamento vige il principio di autonomia finanziaria dei Comuni, «espressamente declinato» sia dall’art. 119 Cost. sia dai singoli statuti delle Regioni speciali e, con specifico riferimento alla Regione Siciliana, dall’art. 15, secondo comma, del relativo statuto.

    Corollario di tale principio sarebbe quello secondo cui «ad ogni trasferimento di funzioni deve corrispondere un adeguato trasferimento (o un’attribuzione) di risorse economico-finanziarie per farvi fronte, principio che vale, all’evidenza, anche per il caso di trasferimento di complessi patrimoniali che determinino oneri (quali spese di manutenzione, restauro etc.) forieri di perdite economiche, nonché – ovviamente – per il caso di trasferimento di personale».

    Tale «“principio di correlazione fra funzioni e risorse” (così ormai correntemente definito in teoria generale)» sarebbe desumibile, «oltre che dalla logica giuridica (e dunque dal “principio di ragionevolezza” al quale la Corte costituzionale attribuisce, da sempre, valore fondamentale)», «dall’intero assetto del Titolo V della Carta costituzionale; e, in particolare, dai commi primo, quinto e sesto dell’art. 119 della Costituzione, disposizioni costituzionali che nella misura in cui (e nelle parti nelle quali) mirano a garantire uno standard minimo di tutela in favore degli Enti locali – e dunque un valore costituzionale di base – sono ad essi comunque applicabili (e da essi invocabili) a prescindere da ogni delimitazione territoriale (il che risponde al criterio metodologico secondo cui agli enti locali ubicati nelle Regioni a statuto speciale non può essere riconosciuta una autonomia finanziaria inferiore rispetto a quella devoluta agli enti ubicati nelle Regioni a statuto ordinario)».

    L’art. 119, primo comma, Cost. – prosegue il rimettente – stabilisce che i Comuni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa e tale «norma organizzativa di base» sarebbe stata disattesa dal legislatore siciliano, il quale, con il comma 4 (recte: comma 2) dell’art. 34 della legge della Regione Siciliana n. 22 del 1986, avrebbe creato un meccanismo idoneo «ad incidere “estemporaneamente” (id est: al di fuori da ogni programmazione finanziaria locale; consentendo, con semplici atti...

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