Sentenza nº 120 da Constitutional Court (Italy), 23 Giugno 2020

RelatoreLuca Antonini nella camera di consiglio del 6 maggio 2020
Data di Resoluzione23 Giugno 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 120

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente:

Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter (recte: dell’art. 3, comma 4-ter) del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), come introdotto dall’art. 1, comma 78, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», promosso dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna nel procedimento vertente tra l’Agenzia delle entrate-Direzione provinciale di Parma e N. B. e altri, con ordinanza del 1° febbraio 2019, iscritta al n. 125 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito il Giudice relatore Luca Antonini nella camera di consiglio del 6 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a);

deliberato nella camera di consiglio del 6 maggio 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza depositata il 1° febbraio 2019, la Commissione tributaria regionale (CTR) dell’Emilia-Romagna ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 29 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter (recte: dell’art. 3, comma 4-ter) del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), come introdotto dall’art. 1, comma 78, lettera a), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», nella parte in cui non include tra i trasferimenti di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni che non sono soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni anche quelli a favore del coniuge del dante causa.

    La disposizione censurata, nella formulazione applicabile ratione temporis nel giudizio principale, prevedeva che: a) «[i] trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta» (primo periodo); b) «[i]n caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile» (secondo periodo); c) «[i]l beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso» (terzo periodo); d) «[i]l mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell’imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata» (ultimo periodo).

  2. – Le questioni sono sorte nell’ambito di un giudizio che trae origine dai ricorsi, successivamente riuniti, proposti avverso due avvisi di accertamento e liquidazione della maggiore imposta di successione dovuta sulla scorta della presentazione di una dichiarazione di successione con richiesta di applicazione del beneficio previsto dalla norma denunciata.

    Secondo quanto riferito dal rimettente, gli avvisi impugnati sono stati emessi con riguardo all’azienda compresa nell’asse ereditario. L’Agenzia delle entrate, poiché il coniuge beneficiario del trasferimento non poteva godere dell’esenzione introdotta dalla disposizione censurata, ha liquidato l’imposta nei suoi confronti, notificando il provvedimento impositivo anche ai coeredi quali obbligati in solido.

    Accolti i ricorsi in primo grado, l’Agenzia delle entrate ha interposto appello, dolendosi dell’errore di diritto del giudice di prime cure, che aveva esteso al coniuge l’esenzione benché questa fosse prevista dall’art. 3, comma 4-ter, del d.lgs. n. 346 del 1990 esclusivamente in caso di trasferimento a favore dei discendenti.

  3. – In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva, da un lato, che l’esenzione oggetto dell’odierno scrutinio riguarda unicamente i trasferimenti a favore dei discendenti del dante causa; dall’altro, che il sopravvenuto art. 1, comma 31, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)» – il quale ha interpolato la norma censurata includendo nel novero dei beneficiari dell’agevolazione anche il coniuge –, è entrato in vigore il 1° gennaio 2008 e, non avendo natura retroattiva, non è applicabile nel processo principale, concernente una successione aperta nel 2007.

    3.1.– Quanto alla non manifesta infondatezza, la CTR ritiene che l’art. 3, comma 4-ter, del d.lgs. n. 346 del 1990 rechi un vulnus, innanzitutto, all’art. 3, primo comma, Cost., in relazione al principio di eguaglianza.

    L’omessa inclusione del coniuge del dante causa tra i beneficiari dei trasferimenti che non sono soggetti all’imposta di successione e donazione si tradurrebbe, infatti, in un’irragionevole disparità di trattamento.

    In particolare, il giudice a quo, nel richiamare l’orientamento di questa Corte secondo cui l’ambito di applicazione delle disposizioni di agevolazione fiscale non può essere esteso se non quando lo esiga la ratio dell’agevolazione stessa, ritiene che nel caso di specie ricorra proprio tale ipotesi.

    In questa prospettiva, sostiene che la suddetta esenzione sarebbe preordinata ad assicurare la «continuità familiare della gestione aziendale», della quale la continuità «generazionale» costituirebbe una specificazione.

    Di conseguenza, a parere del rimettente, non sarebbe ravvisabile una giustificazione ragionevole del diverso regime fiscale riservato al destinatario del trasferimento a seconda che questo sia il coniuge o il discendente del dante causa, giacché in ambedue i casi ricorrerebbe la stessa esigenza di mantenere il complesso aziendale «all’interno dell’ambito familiare».

    3.1.1.– Alla luce di siffatte considerazioni, risulterebbe violato, secondo la CTR, anche l’art. 29 Cost., in quanto l’esclusione del coniuge dall’agevolazione tributaria comprometterebbe la «tutela del nucleo familiare».

    3.1.2.– A sostegno delle dedotte violazioni, il giudice a quo argomenta, infine, osservando che la materia successoria conoscerebbe altri «esempi» nei quali il legislatore tributario – al fine di facilitare la circolazione dei beni aziendali all’interno del «nucleo familiare allargato» – avrebbe riconosciuto agevolazioni fiscali senza operare distinzioni tra i suoi componenti. Menziona, in particolare, le fattispecie disciplinate dai commi 3, 4 e 4-bis dell’art. 25 del d.lgs. n. 346 del 1990, i quali prevedono una riduzione dell’imposta ove nell’attivo ereditario siano compresi: a) fondi rustici, a condizione, tra l’altro, che l’erede o il legatario siano coltivatori diretti e che la devoluzione avvenga nell’ambito di una famiglia diretto-coltivatrice (comma 3); b) immobili o parti di essi adibiti all’esercizio dell’impresa e devoluti nell’ambito di una impresa artigiana familiare (comma 4); c) infine, aziende, quote di società di persone o beni strumentali all’esercizio di arti e professioni, purché, tra l’altro, ubicati in comuni montani con meno di cinquemila abitanti o nelle frazioni con meno di mille abitanti se situati in comuni montani di maggiori dimensioni (comma 4-bis).

  4. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate.

    4.1.– L’eccezione d’inammissibilità è basata, in primo luogo, sulla natura additiva della pronuncia richiesta.

    Sotto altro profilo, le questioni sollevate sarebbero inammissibili in quanto riguardano una materia connotata da ampia discrezionalità del legislatore, salva la manifesta violazione del canone della ragionevolezza.

    4.2.– Nel merito, l’Avvocatura generale evidenzia, innanzitutto, che la norma censurata è applicabile anche al trasferimento per effetto del patto di famiglia di cui all’art. 768-bis del codice civile.

    Questo contratto, previsto dall’art. 2 della legge 14 febbraio 2006, n. 55 (Modifiche al codice civile in materia di patto di famiglia), sarebbe difatti diretto ad agevolare la successione nell’azienda o nelle partecipazioni societarie dell’imprenditore solo in favore dei suoi discendenti e non anche degli altri familiari: in tale prospettiva, la delimitazione soggettiva dell’esenzione prevista dalla norma denunciata sarebbe del tutto coerente, in quanto disposta a favore degli unici soggetti che possono essere destinatari del trasferimento in virtù del patto di famiglia.

    D’altra parte, prosegue l’Avvocatura generale, è vero che la norma agevolativa censurata si applica anche ai trasferimenti per donazione o successione mortis causa, sicché essa non...

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