Sentenza nº 64 da Constitutional Court (Italy), 10 Aprile 2020

RelatoreAugusto Antonio Barbera
Data di Resoluzione10 Aprile 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 64

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Veneto 16 marzo 2015, n. 4 (Modifiche di leggi regionali e disposizioni in materia di governo del territorio e di aree naturali protette regionali), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Veneto nel procedimento vertente tra la General Beton Italy srl e il Comune di Romano d’Ezzelino con ordinanza del 5 febbraio 2019, iscritta al n. 95 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento della Regione Veneto;

udito nella camera di consiglio del 26 febbraio 2020 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

deliberato nella camera di consiglio del 26 febbraio 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 5 febbraio 2019 (r.o. n. 95 del 2019), il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto (d’ora innanzi: TAR Veneto) ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, della legge della Regione Veneto 16 marzo 2015, n. 4 (Modifiche di leggi regionali e disposizioni in materia di governo del territorio e di aree naturali protette regionali), in relazione agli artt. 3, 5, 97, 114, 117, commi secondo, lettera l), e terzo, 118, comma primo, e 119, commi primo, secondo e quarto, della Costituzione.

    1.1.– La norma censurata è contenuta nella legge regionale che dà attuazione alla previsione di cui all’art. 16, comma 9, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia»; d’ora innanzi: t.u. edilizia), in base alla quale le Regioni sono tenute a determinare la quota del costo di costruzione a carico del titolare di un nuovo permesso di costruire, in misura «variabile dal 5 per cento al 20 per cento, che viene determinata dalle regioni in funzione delle caratteristiche e delle tipologie delle costruzioni e della loro destinazione ed ubicazione».

    In particolare, nell’adottare le quote del costo di costruzione in conformità a tale previsione, la Regione Veneto ne ha disposto l’applicazione ai procedimenti in corso, relativi ai permessi di costruire nei quali l’entità del detto contributo non sia stata ancora determinata; quindi, con la disposizione censurata, ha stabilito: «[r]esta fermo quanto già determinato dal comune, in relazione alla quota del costo di costruzione, prima dell’entrata in vigore della presente legge in diretta attuazione del comma 9 dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, purché la determinazione sia avvenuta all’atto del rilascio del permesso di costruire e non con una successiva richiesta di conguaglio».

  2. – Il giudizio principale è stato promosso da General Beton Italy srl, la quale, dopo aver versato, il 5 novembre 2008, la quota del costo di costruzione richiesta dal Comune di Romano d’Ezzelino per il rilascio del permesso relativo ad un fabbricato plurifamiliare, ha ricevuto dallo stesso Comune un “atto di rettifica” del 4 dicembre 2014, con richiesta di versamento di un ulteriore importo a conguaglio; e ciò sul presupposto del fatto che la somma pagata all’atto del rilascio del titolo edilizio era stata erroneamente determinata nel 2 per cento del costo complessivo – in base a quanto previsto dalla legge della Regione Veneto 27 giugno 1985, n. 61 (Norme per l’assetto e l’uso del territorio) – anziché nel maggiore importo corrispondente al 5 per cento del detto costo, misura minima fissata dal citato art. 16, comma 9, del t.u. edilizia.

    2.1.– Al rifiuto della società di corrispondere il conguaglio era seguita una seconda intimazione da parte dell’ente territoriale, alla quale la ricorrente aveva nuovamente dato riscontro negativo, evidenziando che nelle more era entrata in vigore la norma censurata; secondo la ricorrente, infatti, tale ultima consentiva che il Comune potesse pretendere il contributo per il costo di costruzione in base alle quote indicate dall’art. 16, comma 9, del t.u. edilizia solo ove la relativa determinazione fosse avvenuta all’atto del rilascio del permesso di costruire, e non con successiva richiesta di conguaglio.

    2.2.– Il Comune di Romano d’Ezzelino aveva pertanto notificato alla società un “atto di intimazione di pagamento” il 13 marzo 2017; e tale atto era stato impugnato innanzi al TAR Veneto, con contestuale richiesta di una pronunzia di accertamento negativo del diritto dell’ente territoriale a pretendere il maggior credito vantato.

  3. – In punto di rilevanza, il rimettente osserva che la decisione della controversia impone la soluzione di un’unica questione di diritto, ovvero l’applicabilità o meno, al caso di specie, della censurata disposizione regionale.

    Ove, infatti, quest’ultima fosse applicabile nel senso invocato dalla ricorrente, il Comune non avrebbe titolo a pretendere importi maggiori di quello già determinato in base alla legge reg. Veneto n. 61 del 1985.

    3.1.– Al riguardo, il TAR Veneto assume che la norma censurata avrebbe sostanziale efficacia retroattiva, essendo applicabile anche ai casi in cui la richiesta di conguaglio da parte dell’amministrazione sia stata effettuata prima della sua entrata in vigore.

    Osserva, inoltre, che essa non è suscettibile di alcuna interpretazione costituzionalmente orientata, poiché esclude espressamente l’applicazione della norma statale di principio per il caso in cui i Comuni, erroneamente, non vi abbiano provveduto all’atto del rilascio del titolo edilizio.

  4. – In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente denunzia l’illegittimità costituzionale della norma sotto sei distinti profili.

    4.1.– In primo luogo, la norma censurata sarebbe illegittima per contrasto con l’art. 117, comma terzo, Cost.

    Il rimettente premette che...

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