Sentenza nº 54 da Constitutional Court (Italy), 13 Marzo 2020

RelatoreLuca Antonini
Data di Resoluzione13 Marzo 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 54

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per il rilancio dell’economia), promosso dalla Commissione tributaria regionale del Molise nel procedimento vertente tra P. D.L.F. e l’Agenzia delle Entrate, con ordinanza dell’11 marzo 2019, iscritta al n. 122 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2020 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio del 12 febbraio 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza deliberata il 21 settembre 2015 e depositata l’11 marzo 2019, la Commissione tributaria regionale (CTR) del Molise ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, e 31 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, della legge 18 ottobre 2001, n. 383 (Primi interventi per il rilancio dell’economia), nella parte in cui non include gli affini nel novero dei soggetti per i quali è escluso il pagamento dell’imposta da esso disciplinata.

    La disposizione censurata, applicabile ratione temporis nel giudizio principale, prevede che: a) «[i] trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi, compresa la rinuncia pura e semplice agli stessi, fatti a favore di soggetti diversi dal coniuge, dai parenti in linea retta e dagli altri parenti fino al quarto grado, sono soggetti alle imposte sui trasferimenti ordinariamente applicabili per le operazioni a titolo oneroso, se il valore della quota spettante a ciascun beneficiario è superiore all’importo di 350 milioni di lire» (primo periodo); b) «[i]n questa ipotesi si applicano, sulla parte di valore della quota che supera l’importo di 350 milioni di lire, le aliquote previste per il corrispondente atto di trasferimento a titolo oneroso» (secondo periodo).

  2. – Le questioni sono sorte nell’ambito di un giudizio che trae origine dal ricorso proposto dal donatario avverso l’avviso di liquidazione dell’imposta complementare di registro, determinata dall’Agenzia delle entrate, al netto della suddetta franchigia, in misura proporzionale all’importo della donazione di euro 7.830.000,00, stipulata il 22 giugno 2006.

    Secondo quanto riferito dal rimettente, l’impugnato avviso di liquidazione era stato adottato perché tra il donante e il donatario intercorreva un rapporto di affinità di terzo grado e non di parentela. La Commissione tributaria provinciale di Campobasso aveva rigettato il ricorso – inteso ad ottenere l’estensione dell’esclusione dal pagamento dell’imposta prevista per le donazioni tra parenti –, ribadendo le motivazioni dell’avviso. Il contribuente aveva quindi appellato la sentenza di primo grado davanti alla CTR del Molise.

  3. – In punto di rilevanza, il giudice a quo in primo luogo osserva che l’atto di donazione oggetto dell’avviso di liquidazione risale al 22 giugno 2006 ed è stato registrato il 28 giugno 2006, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento impositivo deve essere vagliata alla luce del censurato art. 13, comma 2, della legge n. 383 del 2001.

    La successiva abrogazione di questa norma, disposta dall’art. 2, comma 52, lettera d), del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, ha infatti effetto, secondo quanto previsto dal successivo comma 53 del medesimo art. 2, soltanto «per gli atti pubblici formati […] dalla data di entrata in vigore della legge di conversione» dello stesso d.l. n. 262 del 2006, ovvero dal 29 novembre 2006.

    In secondo luogo, il Collegio rimettente rileva che il rapporto intercorrente tra il donante e l’appellante donatario è di affinità e non di parentela, sicché il contribuente, sulla scorta del tenore testuale della denunciata disposizione, non avrebbe diritto al «beneficio» da questa previsto.

    3.1.– Quanto alla non manifesta infondatezza, la CTR ritiene che l’art. 13, comma 2, della legge n. 383 del 2001 arrechi un vulnus, innanzitutto, all’art. 3 Cost., in relazione al principio di eguaglianza.

    L’omessa inclusione degli affini nel novero dei soggetti che non sono obbligati al pagamento dell’imposta di cui alla norma censurata determinerebbe, infatti, una ingiustificata discriminazione e una irragionevole disparità di trattamento rispetto ai parenti.

    L’irragionevolezza sarebbe apprezzabile anche alla luce di «alcuni elementi ordinamentali» che riserverebbero un trattamento identico, o comunque omogeneo, ai parenti e agli affini e deporrebbero, pertanto, nel senso della loro «necessaria parificazione».

    Al riguardo, il giudice a quo argomenta, innanzitutto, richiamando l’art. 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni), come modificato dall’art. 69, comma 1, lettera c), della legge 21 novembre 2000, n. 342 (Misure in materia fiscale), il quale prevedeva – prima della sua abrogazione − che l’imposta sulle successioni e donazioni fosse determinata nella stessa misura percentuale sia per i parenti in linea collaterale fino al quarto grado, sia per gli affini in linea retta e per quelli in linea collaterale fino al terzo grado: disposizione, questa, che sarebbe significativa della volontà del legislatore di «accomunare» i parenti e gli affini.

    Quindi, la CTR del Molise elenca una nutrita serie di previsioni normative parimenti sintomatiche, a suo avviso, della dedotta necessaria identità di trattamento tra le due categorie di familiari (parenti e affini).

    Tali sarebbero, segnatamente, le norme recate dall’art. 87, quarto comma, del codice civile, che include gli affini tra i soggetti per quali è vietato unirsi reciprocamente in matrimonio; dall’art. 433, quinto comma (recte: primo comma, numeri 4 e 5), cod. civ., che impone agli affini, accanto al coniuge e a determinati parenti, l’obbligo di prestare gli alimenti; dall’art. 230-bis, terzo comma, cod. civ., che, nel disciplinare l’impresa familiare, considera anche gli affini, appunto, come familiari; dagli artt. 348 e 417 cod. civ., i quali, rispettivamente, prevedono che gli affini possono essere scelti per rivestire la figura di tutore e sono legittimati a proporre istanza di interdizione o di inabilitazione; dall’art. 2399 cod. civ., che pone una causa d’ineleggibilità e di decadenza alla carica di sindaco sia per gli affini che per i parenti degli amministratori della società per azioni, o di società da questa controllate, nonché di quelle che la controllano e di quelle sottoposte a comune controllo; dall’art. 51 del codice di procedura civile, che disciplina le ipotesi di astensione del giudice; dall’art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate), il quale riconosce anche agli affini il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito per l’assistenza al familiare portatore di handicap in situazione di gravità; infine, dall’art. 74 del decreto legislativo 10 settembre...

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