Sentenza nº 50 da Constitutional Court (Italy), 12 Marzo 2020

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione12 Marzo 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 50

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promosso dalla Corte di cassazione, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico di M. M., con ordinanza del 1° marzo 2019, iscritta al n. 89 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto d’intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò, sostituito per la redazione dal Giudice Nicolò Zanon;

deliberato nella camera di consiglio del 9 gennaio 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 18 febbraio 2019, iscritta al n. 89 del registro ordinanze 2019, la Corte di cassazione, sezione prima penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui, prevedendo la detenzione domiciliare per l’espiazione della pena non superiore a due anni, anche se costituente residuo di maggior pena, quando non ricorrano i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare risulti comunque idonea a scongiurare il pericolo di commissione di altri reati, esclude l’applicabilità della stessa misura in caso di condanna per i reati di cui all’art. 4-bis ordin. penit.

    1.1.– La Corte di cassazione è investita del ricorso proposto avverso un’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Firenze, che, chiamato a decidere su una istanza di affidamento in prova al servizio sociale con contestuale, alternativa, richiesta di detenzione domiciliare, ha provveduto al rigetto della prima, dichiarando inammissibile la seconda. La parte richiedente M. M. è detenuta presso la Casa circondariale di Pisa, in espiazione della pena di due anni e sei mesi di reclusione, applicata, ai sensi degli artt. 444 e seguenti del codice di procedura penale, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Massa, con sentenza del 20 giugno 2017, poi divenuta irrevocabile. La sentenza concerne i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di tentata rapina aggravata, realizzata mediante minaccia consistita nel puntare contro la vittima una pistola giocattolo priva di tappo rosso, e di rapina aggravata, consumata mediante minaccia consistita nel puntare contro la vittima un coltello, con impossessamento della somma di 180 euro. Il rimettente precisa che la sentenza di applicazione della pena ha riconosciuto, in favore dell’imputata, le circostanze attenuanti di cui all’art. 62, comma 1, numeri 4) e 6), del codice penale, in relazione alla speciale tenuità del danno e all’intervenuto risarcimento, nonché le circostanze attenuanti generiche, equivalenti alle aggravanti contestate.

    1.2.– In punto di rilevanza della questione sollevata, la Corte di cassazione premette che risultano infondati i motivi di ricorso diversi da quello relativo alla declaratoria di inammissibilità dell’istanza di detenzione domiciliare.

    Il rimettente argomenta poi che la declaratoria di inammissibilità dell’istanza di detenzione domiciliare avanzata da M. M. risulta conforme al dato normativo ed al diritto vivente. Secondo quest’ultimo, l’art. 47-ter, comma 1-bis, ordin. penit., nel disciplinare mediante un richiamo al precedente art. 4-bis le ipotesi preclusive della detenzione domiciliare, evoca unicamente il catalogo dei reati elencati nella disposizione richiamata, e non anche la disciplina riservata, in quella sede, ai reati medesimi. Di conseguenza, la condanna per uno dei delitti in questione sarebbe di per sé ostativa all’applicazione della misura della detenzione domiciliare, restando irrilevante l’insussistenza di collegamenti del condannato con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, che invece può essere valorizzata nel contesto direttamente regolato dall’art. 4-bis ordin. penit. (sono citate le sentenze della Corte di cassazione, sezione prima penale, 27 aprile 2011, n. 20145; 9 dicembre 2010, n. 44572; 27 maggio 2010, n. 27557; 7 luglio 2006, n. 30804).

    Il giudice a quo condivide l’orientamento dominante ed osserva: «essendo già previsto dall’art. 4-bis che l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione possono essere concessi ai detenuti o internati solo se sussistono le condizioni ivi espressamente enunciate, le ulteriori disposizioni, che in relazione a specifici benefici o misure escludono i soggetti condannati per i reati di cui all’art. 4-bis, non avrebbero ragion d’essere e significato alcuno se fossero da intendere riferite alle condizioni preclusive già poste dall’art. 4-bis anziché al mero catalogo dei reati in esso indicati».

    Solo con la rimozione della preclusione prevista dall’art. 47-ter, comma 1-bis, ordin. penit., quindi, sarebbe ipotizzabile per il giudizio a quo un esito di annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza affinché valuti nel merito la sussistenza delle condizioni per l’accesso di M. M. alla detenzione domiciliare richiesta. Di qui, la rilevanza della questione sollevata.

    1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente premette che l’art. 4-bis ordin. penit. – introdotto dall’art. 1 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203 – reca una disciplina speciale, a carattere restrittivo, per la concessione dei benefici penitenziari a determinate categorie di detenuti o di internati, che si presumono socialmente pericolosi in ragione del tipo di reato per il quale la detenzione o l’internamento sono stati disposti; disciplina la cui genesi risale alla “stagione emergenziale” di lotta alla criminalità organizzata verificatasi al principio degli anni Novanta dello scorso secolo.

    Il rimettente rileva poi che il citato art. 4-bis ordin. penit. – come modificato dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356 e dal decreto-legge 23 febbraio 2009, n.11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38 – pone una disciplina differenziata riguardo: ai reati con matrice o sfondo associativo (cosiddetti reati di prima fascia), per i quali la concessione dei benefici penitenziari è subordinata all’utile collaborazione del condannato con la giustizia e all’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva (commi 1 e 1-bis); ad un complesso di altri reati (cosiddetti reati di seconda fascia, tra cui la rapina aggravata), considerati dal legislatore sintomatici di una particolare pericolosità sociale dell’autore, per i quali è necessario l’accertamento dell’insussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva (comma 1-ter); ad un ulteriore catalogo di reati (cosiddetti reati di terza fascia), per i quali la concessione dei benefici penitenziari può avvenire sulla scorta di una complessa valutazione circa la personalità del condannato e la sua evoluzione (comma 1-quater).

    1.4.– In tale tessuto ordinamentale – prosegue il rimettente – si inserisce l’art. 47-ter, comma 1-bis, ordin. penit., che introdurrebbe una presunzione assoluta di inidoneità contenitiva della detenzione domiciliare di tipo ordinario, rispetto ai condannati per certuni titoli di reato, ritenuti di per sé espressivi di più accentuata pericolosità, in ragione del loro inserimento in una qualunque delle fasce istituite dall’art. 4-bis ordin. penit.

    1.5.– Il giudice a quo ritiene che il citato art. 47-ter, comma 1-bis, ordin. penit., si ponga in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 27, primo e terzo comma, Cost., «potendo dubitarsi della intrinseca ragionevolezza della preclusione assoluta così istituita, e della sua conformità ai principi di rieducazione e di personalità e proporzionalità che dovrebbero sorreggere la risposta punitiva in ogni momento della sua attuazione».

    1.5.1.– La Corte di cassazione osserva che la giurisprudenza costituzionale sembra orientata in linea di principio ad escludere, in materia di benefici penitenziari, la legittimità di rigidi automatismi, e a richiedere invece valutazioni individualizzate e fondate su una prognosi ragionevole circa l’utilità di ciascuna misura a far procedere il condannato sulla via dell’emenda e del reinserimento sociale (sono citate le...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT