Sentenza nº 44 da Constitutional Court (Italy), 09 Marzo 2020

RelatoreDaria de Pretis
Data di Resoluzione09 Marzo 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 44

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 8 luglio 2016, n. 16 (Disciplina regionale dei servizi abitativi), promosso dal Tribunale ordinario di Milano nel procedimento vertente tra M. K. e altri e la Regione Lombardia, con ordinanza del 22 gennaio 2019, iscritta al n. 71 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti gli atti di costituzione della ASGI-Associazione studi giuridici sull’immigrazione e della NAGA-Associazione volontaria di assistenza socio-sanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti e della Regione Lombardia;

udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2020 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi gli avvocati Alberto Guariso per la ASGI-Associazione studi giuridici sull’immigrazione e per la NAGA-Associazione volontaria di assistenza socio-sanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti e Carlo Malinconico per la Regione Lombardia;

deliberato nella camera di consiglio del 28 gennaio 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 22 gennaio 2019, iscritta al n. 71 del reg. ord. del 2019, il Tribunale ordinario di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lombardia 8 luglio 2016, n. 16 (Disciplina regionale dei servizi abitativi). Tale disposizione stabilisce che «[i] beneficiari dei servizi abitativi pubblici devono avere i seguenti requisiti: […] b) residenza anagrafica o svolgimento di attività lavorativa in Regione Lombardia per almeno cinque anni nel periodo immediatamente precedente la data di presentazione della domanda». Il rimettente è stato adito da M. K., cittadino tunisino, dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) Lombardia e da due associazioni (ASGI-Associazione studi giuridici sull’immigrazione e NAGA-Associazione volontaria di assistenza socio-sanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti), che hanno convenuto la Regione Lombardia tramite l’azione anti-discriminazione di cui all’art. 44 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero).

    I ricorrenti ritenevano che il regolamento regionale 4 agosto 2017, n. 4 (Disciplina della programmazione dell’offerta abitativa pubblica e sociale e dell’accesso e della permanenza nei servizi abitativi pubblici), fra l’altro nella parte in cui prevede il requisito della residenza (o attività lavorativa) quinquennale per l’accesso all’edilizia residenziale pubblica (di seguito: ERP), costituisse una «discriminazione indiretta in danno degli stranieri, che godono del diritto alla parità di trattamento nell’accesso all’abitazione». Si tratterebbe dei titolari di protezione internazionale, dei soggiornanti di lungo periodo e dei titolari di permesso di soggiorno almeno biennale ai sensi dell’art. 40, comma 6, t.u. immigrazione. Inoltre essi contestavano l’esclusione di M. K. dalle graduatorie ERP, in quanto privo del requisito in questione.

    Il giudice a quo, dopo aver esaminato le eccezioni preliminari sollevate dalla Regione (respingendo quella di difetto di giurisdizione e di carenza di interesse e accogliendo quella di difetto di legittimazione attiva della CGIL Lombardia), ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale del citato art. 22, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 16 del 2016, in riferimento agli artt. 3, 10 e 117, primo comma, della Costituzione (quest’ultimo parametro è invocato per asserita violazione dell’art. 11 della direttiva 2003/109/CE del Consiglio del 25 novembre 2003 relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo).

    Il rimettente ha poi verificato la possibilità di “superare” il requisito della residenza (o attività lavorativa) protratta o attraverso la non applicazione della norma regionale, per contrasto con il diritto europeo, o attraverso un’interpretazione adeguatrice.

    Sotto il primo profilo, il giudice a quo ricorda che una norma europea è direttamente applicabile se è incondizionata, cioè «non necessita di una normativa ulteriore di attuazione», e ritiene che l’art. 11, paragrafo 1, lettera f, della direttiva 2003/109/CE, che sancisce il diritto del soggiornante di lungo periodo alla parità di trattamento rispetto ai cittadini nazionali «per l’ottenimento di un alloggio», non abbia efficacia diretta in quanto gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento «ai casi in cui il soggiornante di lungo periodo, o il familiare per cui questo chiede la prestazione, ha eletto dimora o risiede abitualmente nel suo territorio» (art. 11, par. 2).

    Sotto il secondo profilo, il rimettente esclude la possibilità di un’interpretazione adeguatrice della disposizione censurata, in virtù della «chiara lettera della legge».

    Il giudice a quo ha poi illustrato la rilevanza delle questioni sollevate, osservando che l’art. 22, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 16 del 2016 costituisce «l’indefettibile presupposto normativo del regolamento ritenuto discriminatorio ed oggetto del presente giudizio». Con riferimento al ricorso di M.K., il rimettente riferisce che il cittadino straniero risiede in Lombardia dal 2015 e ha chiesto nel settembre 2017 l’assegnazione di un alloggio ERP ma il Comune di Milano ha archiviato la domanda per mancanza del requisito della residenza protratta. Non sarebbe rilevante il fatto che il regolamento censurato nel giudizio a quo non fosse ancora vigente al momento del rigetto dell’istanza di M. K., in quanto il requisito della residenza protratta era presente anche nel precedente regolamento.

    Con riferimento al ricorso delle due associazioni, il rimettente riferisce che esse hanno proposto l’azione collettiva ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215 (Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica), al fine di far accertare il carattere discriminatorio del regolamento regionale, nella parte – tra l’altro – relativa al requisito della residenza ultraquinquennale per l’accesso all’ERP. Dunque, sarebbe rilevante la questione di legittimità costituzionale di tale requisito, in generale e con riferimento particolare ai titolari di protezione internazionale e di protezione umanitaria, dei cui interessi le associazioni sarebbero portatrici.

    1.1.– Il Tribunale ha poi argomentato la non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.

    Il giudice a quo, dopo aver ripercorso la giurisprudenza costituzionale relativa alle norme limitative dell’accesso alle prestazioni assistenziali, ha illustrato la violazione dell’art. 3 Cost., sotto tre profili. In primo luogo, «[l]a configurazione della residenza (o dell’occupazione) protratta come condizione dirimente per l’accesso ai servizi abitativi pubblici, anche per le famiglie economicamente deboli, si pone […] in patente contrasto con la vocazione sociale propria dell’esigenza dell’abitazione». Il servizio abitativo pubblico risponde «direttamente a finalità di eguaglianza sostanziale predicata espressamente dall’art. 3, secondo comma Cost.», e il requisito della residenza protratta (considerata unico indice del radicamento territoriale) non avrebbe «alcun ragionevole collegamento con la funzione sociale dei servizi abitativi pubblici».

    Vi sarebbe inoltre una violazione del principio di ragionevolezza, non essendoci alcuna correlazione tra la durata della residenza e la situazione di disagio economico: non potrebbe «ragionevolmente presumersi che coloro che vivono nella regione Lombardia da meno di cinque anni soffrano una condizione di disagio minore rispetto a chi vi risieda da più anni». La residenza protratta – che la norma censurata non si limita a riconoscere come fattore di preferenza ma prevede come requisito di accesso al beneficio – sarebbe dunque un elemento di distinzione arbitrario, non correlato alla situazione di bisogno, riferibile alla persona in quanto tale (si richiama la sentenza n. 222 del 2013 di questa Corte).

    Infine, mancherebbe una «ragionevole correlazione» tra la residenza protratta e la situazione di «povertà assoluta» e «grave deprivazione materiale» dei nuclei familiari in condizioni di indigenza di cui all’art. 23, comma 3, della legge reg. Lombardia n. 16 del 2016, ai quali pure si applicherebbe il requisito de quo.

    In relazione al ricorso delle associazioni, il rimettente dubita anche della conformità della norma censurata rispetto all’art. 10, terzo comma, Cost. (oltre che all’art. 3 Cost., per le ragioni già illustrate), per quanto riguarda la categoria dei titolari di protezione internazionale e di protezione umanitaria. Il giudice a quo osserva che l’art. 22, comma 1, lettera b), della legge reg. Lombardia n. 16 del 2016 si applica anche ai titolari di protezione internazionale e umanitaria e che uno dei requisiti per il riconoscimento di tali status è «l’impossibilità di fare ritorno nel proprio Paese d’origine», con la conseguenza che «[l]a possibilità di accedere al servizio di edilizia residenziale, per tali categorie di persone, non può […] essere ragionevolmente legata al radicamento sul territorio (né tale radicamento può essere ritenuto rispettoso del principio di proporzionalità)».

    Infine, il Tribunale solleva questione di legittimità...

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