Sentenza nº 22 da Constitutional Court (Italy), 14 Febbraio 2020

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione14 Febbraio 2020
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 22

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Marta CARTABIA;

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sede di Bari, sezione prima, 21 febbraio 2019, n. 260, promosso dalla Regione Puglia con ricorso notificato il 18 aprile 2019, depositato in cancelleria il 30 aprile 2019, iscritto al n. 5 del registro conflitti tra enti 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2020 il giudice relatore Nicolò Zanon;

uditi l’avvocato Ida Maria Dentamaro per la Regione Puglia e l’avvocato dello Stato Leonello Mariani per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 29 gennaio 2020.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 18 aprile 2019 al Presidente del Consiglio dei ministri, al Presidente del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia e al Presidente della prima sezione del TAR Puglia, sede di Bari, e depositato il 30 aprile 2019, la Regione Puglia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri al fine di ottenere l’annullamento – previa declaratoria di non spettanza allo Stato – della sentenza 21 febbraio 2019, n. 260, emanata dal TAR Puglia, sede di Bari, sezione prima, con cui è stato annullato il verbale n. 63 del 22 ottobre 2018 della VII commissione consiliare permanente del Consiglio regionale della Puglia, avente ad oggetto «rinnovo della composizione della VII Commissione consiliare permanente».

    La Regione ricorrente segnala che con nota dell’11 ottobre 2018 il Presidente del Consiglio regionale della Puglia aveva convocato per il 22 ottobre 2018 le sette commissioni consiliari al fine di procedere al rinnovo della composizione delle stesse, così come previsto dall’art. 9, ultimo comma, del regolamento interno del Consiglio regionale della Puglia, approvato con deliberazione del 22 dicembre 1970 e s.m.i.

    Dal verbale n. 63 del 22 ottobre 2018 della VII commissione consiliare risulta che, nel corso della seduta, il Presidente del Consiglio regionale rilevava che per la VII commissione erano stati designati tredici componenti, con ciò contravvenendo a quanto previsto dal comma 15 del citato art. 9 del regolamento del Consiglio regionale, secondo cui «[n]essuna Commissione può essere composta da un numero superiore a un quarto dei componenti il Consiglio». In virtù dell’art. 24, comma 1, della legge statutaria 12 maggio 2004, n. 7 (Statuto della Regione Puglia), infatti, i componenti del Consiglio regionale sono cinquanta e, di conseguenza, ciascuna commissione può essere composta al massimo da dodici membri.

    Al fine di «assicurare la presenza nella VII Commissione di tutte le sensibilità politiche di opposizione», il Presidente del Consiglio regionale chiedeva ai consiglieri del MoVimento 5 Stelle (di seguito: M5S), «unica forza di opposizione ad aver designato due consiglieri, di indicarne uno solo». A fronte del loro diniego, il Presidente decideva di rimettere a un sorteggio l’individuazione dell’unico consigliere del M5S che avrebbe fatto parte della VII commissione.

    A seguito di tali vicende, gli otto componenti del citato gruppo consiliare adivano il giudice amministrativo per domandare l’annullamento del verbale n. 63 del 2018 della VII commissione, e per ottenere «il riconoscimento del diritto del gruppo consiliare MoVimento 5 Stelle a vedersi attribuiti» due consiglieri all’interno della commissione stessa.

    Il TAR Puglia, con la sentenza n. 260 del 2019 – respinta, tra le altre, l’eccezione di difetto assoluto di giurisdizione avanzata dalla Regione Puglia – riteneva che la decisione del Presidente del Consiglio regionale era stata assunta in lesione del «principio proporzionale di cui all’art. 9 del regolamento interno, concernente la costituzione delle Commissioni, che devono risultare composte in maniera proporzionale, per quanto possibile, alla consistenza numerica di ciascun Gruppo in Consiglio». Inoltre, il giudice amministrativo affermava la violazione dell’art. 26, comma 2, lettera d), dello statuto reg. Puglia, secondo cui il Presidente del Consiglio regionale «garantisce il rispetto delle norme del presente Statuto e del regolamento interno del Consiglio, con particolare riferimento a quelle inerenti [al]la tutela dei diritti delle opposizioni».

    Annullando il verbale ricordato, il TAR prescriveva alla Regione Puglia di «riavviare da principio la procedura di rinnovo delle operazioni propedeutiche alla ripartizione dei 12 posti di componente della commissione VII». Il giudice amministrativo riteneva altresì «utile evidenziare, in termini di rigorosa applicazione dell’art. 9 del regolamento interno, le modalità di applicazione del metodo proporzionale» al caso di specie. All’esito dello svolgimento di alcune complesse operazioni «di tipo logico-matematico», individuava puntualmente quanti consiglieri, per ciascun gruppo consiliare, avrebbero dovuto essere designati componenti della commissione.

  2. – Secondo la Regione Puglia, il giudice amministrativo avrebbe «esercitato in modo assai puntuale il c.d. potere conformativo, indicando “le modalità di applicazione del metodo proporzionale”, sviluppando calcoli e spingendosi fino a specificare quale gruppo (peraltro di maggioranza) [doveva] perdere un componente a vantaggio del Movimento 5 Stelle».

    Così disponendo, il TAR Puglia avrebbe però «attinto in pieno il merito delle determinazioni scaturite dalle votazioni della Commissione consiliare», provocando «la situazione, a dir poco paradossale, di una Commissione composta da 6 consiglieri di maggioranza e 6 di opposizione».

    Ad avviso della ricorrente, la citata sentenza del TAR Puglia n. 260 del 2019 sarebbe «stata emanata in carenza assoluta di giurisdizione» ledendo, al tempo stesso, «l’autonomia costituzionalmente garantita della Regione, e, in particolare, del Consiglio regionale e dei suoi organi interni».

    In primo luogo, la Regione ricorrente sostiene che la decisione del TAR Puglia sarebbe stata assunta in totale assenza di giurisdizione del giudice amministrativo: si sarebbe infatti in presenza di atti di un organo interno del Consiglio regionale «adottati nell’esercizio non già di una funzione amministrativa, bensì del proprio potere di autorganizzazione». Ai sensi dunque dell’art. 103 della Costituzione, nonché degli artt. 7, 133 e 134 dell’Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), gli atti annullati dal TAR esulerebbero da quelli compresi nell’ambito della giurisdizione amministrativa.

    In particolare, nel caso in esame, la commissione consiliare avrebbe esercitato una attribuzione costituzionalmente garantita ai sensi dell’art. 121, secondo comma, Cost. nell’ambito delle «funzioni di indirizzo politico, di...

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