Sentenza nº 290 da Constitutional Court (Italy), 27 Dicembre 2019

RelatoreDaria de Pretis
Data di Resoluzione27 Dicembre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 290

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 1, lettere g), numero 2), h) e i), numeri 5) e 7), e comma 6, lettera c), 33, comma 1, lettera a), e 84, comma 1, lettera b), della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 24-28 dicembre 2018, depositato in cancelleria il 28 dicembre 2018, iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio;

udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2019 il Giudice relatore Daria de Pretis;

udito l’avvocato dello Stato Francesca Morici per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Rodolfo Murra per la Regione Lazio.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ricorso notificato il 24-28 dicembre 2018 e depositato il 28 dicembre 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Regione Lazio 22 ottobre 2018, n. 7 (Disposizioni per la semplificazione e lo sviluppo regionale) e, tra queste, degli artt. 5, comma 1, lettere g), numero 2), h) e i), numeri 5) e 7), e comma 6, lettera c), 33, comma 1, lettera a), e 84, comma 1, lettera b), in riferimento agli artt. 97 e 117, commi secondo, lettere l), m) e s), e terzo, della Costituzione.

    1.1.– L’art. 5, comma 1, lettera g), numero 2), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 è impugnato per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., in relazione all’art. 25, comma 2, della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette).

    L’art. 5, comma 1, lettera g), numero 2), ha modificato il comma 4 dell’art. 26 della legge della Regione Lazio 6 ottobre 1997, n. 29 (Norme in materia di aree naturali protette regionali), disciplinante il procedimento di approvazione del piano dell’area naturale protetta. A seguito delle modifiche, il suddetto piano, dopo essere stato adottato dall’ente di gestione, è trasmesso alla Giunta regionale, la quale apporta le eventuali modifiche e integrazioni, si pronuncia sulle osservazioni pervenute e ne propone al Consiglio regionale l’approvazione. Trascorsi tre mesi dall’assegnazione della proposta di piano alla commissione consiliare competente, la proposta stessa è iscritta all’ordine del giorno dell’aula. A questo punto il Consiglio regionale si esprime su di essa entro i successivi centoventi giorni, decorsi i quali il piano si intende approvato.

    Il ricorrente censura quest’ultima previsione in quanto, «nel porre una scansione temporale certa all’iter di approvazione» del detto piano, consentirebbe al Consiglio regionale di svolgere le «attività istruttorie per l’esame e valutazione dello stesso», ma lascerebbe alla Giunta regionale «la possibilità – trascorsi i termini – di pervenire all’approvazione». In sostanza, il legislatore regionale avrebbe introdotto «un vero e proprio meccanismo procedurale di silenzio assenso», che si porrebbe in contrasto con l’art. 25, comma 2, della legge n. 394 del 1991, il quale prevede che «[i]l piano per il parco è adottato dall’organismo di gestione del parco ed è approvato dalla regione […]».

    La norma impugnata disattenderebbe dunque la previsione legislativa statale, che prevede un’approvazione formale del piano da parte della Regione. Tale disposizione, contenuta nella disciplina delle aree protette recata dalla legge n. 394 del 1991, sarebbe riconducibile alla competenza esclusiva statale ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

    Il ricorrente sottolinea altresì come l’istituto del silenzio assenso sia ammesso «in relazione ad attività amministrative nelle quali sia pressoché assente il profilo di discrezionalità, non anche nei procedimenti ad elevata discrezionalità», nel cui ambito rientrerebbe il procedimento di adozione e approvazione del piano del parco di cui all’art. 25 della legge n. 394 del 1991. Inoltre, il ricorso all’istituto del silenzio assenso nella materia ambientale sarebbe limitato dall’art. 20 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).

    Dunque, la previsione di un meccanismo di formazione tacita dell’atto di assenso, per un verso, sarebbe «non rispettos[a] e cautelativ[a] sotto il profilo del contemperamento degli interessi ambientali in gioco», e per altro verso consentirebbe l’approvazione di un provvedimento che prescinde da un ponderato e coerente apparato motivazionale, con conseguente violazione del principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

    Per le ragioni anzidette la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con l’art. 117, secondo comma, lettere m) e s), Cost., in quanto derogherebbe «ai livelli minimi uniformi previsti dalla legislazione statale nell’esercizio della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente».

    1.2.– L’art. 5, comma 1, lettera h), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 è impugnato per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettere l) e m), Cost., in relazione all’art. 4, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 160 (Regolamento per la semplificazione ed il riordino della disciplina sullo sportello unico per le attività produttive, ai sensi dell’articolo 38, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133).

    La norma regionale impugnata ha introdotto, dopo il comma 1 dell’art. 28 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, il comma 1-bis, secondo cui «Nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 25 novembre 2016, n. 222 (Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124), la richiesta per la realizzazione degli interventi di cui all’articolo 6 del D.P.R. 380/2001 è presentata allo sportello unico di cui all’articolo 5 del medesimo decreto. Per tali fattispecie, il nulla osta di cui al comma 1 è reso entro sessanta giorni dal ricevimento da parte dell’ente gestore della richiesta, decorsi inutilmente i quali il titolo abilitativo si intende reso».

    Il ricorrente sottolinea come la norma regionale impugnata sia generica, «non specificando il tipo di intervento edilizio soggetto a nulla osta come previsto dalla normativa statale», e precisa al riguardo che il nulla osta all’intervento è previsto per le opere ricadenti in un’area naturale protetta, «mentre non riguarda anche la realizzazione di altri interventi non soggetti a titolo abilitativo». La difesa erariale aggiunge che, ai sensi dell’art. 4, comma 6, del d.P.R. n. 160 del 2010, «[s]alva diversa disposizione dei comuni interessati e ferma restando l’unicità del canale di comunicazione telematico con le imprese da parte del SUAP, sono attribuite al SUAP le competenze dello sportello unico per l’edilizia produttiva».

    La norma regionale impugnata, quindi, non distinguerebbe tra le varie tipologie di opere edilizie ai fini del rilascio del nulla osta e, in particolare, non prevederebbe espressamente le modalità di rilascio del nulla osta per attività produttiva. D’altra parte, l’art. 33, comma 1, lettera a), della stessa legge reg. Lazio n. 7 del 2018, richiamando la normativa statale di riferimento, prevede che lo sportello unico per le attività produttive (SUAP) «è l’unico punto di accesso in relazione a tutte le procedure amministrative riguardanti la localizzazione, la realizzazione, l’avvio, l’ampliamento, il trasferimento, la cessione, la concentrazione e l’accorpamento nonché la cessazione» delle attività produttive.

    La norma impugnata si porrebbe, dunque, in contrasto con l’art. 4, comma 6, del d.P.R. n. 160 del 2010 e quindi con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., che riserva alla legge statale la competenza in materia di ordinamento civile, oltre che con l’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., in quanto la disciplina in materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) rientrerebbe nei livelli essenziali delle prestazioni ai sensi dell’art. 29, comma 2-ter, della legge n. 241 del 1990.

    1.3.– L’art. 5, comma 1, lettera i), numero 5), della legge reg. Lazio n. 7 del 2018 è impugnato per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all’art. 13 della legge n. 394 del 1991.

    La norma regionale impugnata ha introdotto, dopo il comma 1 dell’art. 31 della legge reg. Lazio n. 29 del 1997, il comma 1-bis, secondo cui «[s]ono consentiti e non rientrano negli obblighi di cui all’articolo 28 le ricorrenti pratiche di conduzione delle aziende agricole che non comportino modificazioni sostanziali del territorio ed in particolare: a) la manutenzione ordinaria del sistema idraulico agrario e del sistema infrastrutturale aziendale esistenti; b) l’impianto o l’espianto delle colture arboree e le relative tecniche utilizzate; c) l’utilizzo delle serre stagionali non stabilmente infisse al suolo; d) il transito e la sosta di mezzi motorizzati fuori dalle strade statali, provinciali, comunali, vicinali gravate dai servizi di pubblico passaggio e private per i mezzi collegati all’esercizio delle attività agricole di cui al...

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