Sentenza nº 284 da Constitutional Court (Italy), 20 Dicembre 2019

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione20 Dicembre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 284

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 341-bis, del codice penale, introdotto dall’art. 1, comma 8, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), promosso dal Tribunale ordinario di Torino, sezione sesta penale, nel procedimento penale a carico di D. L., con ordinanza del 29 gennaio 2019, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 29 gennaio 2019, il Tribunale ordinario di Torino, sezione sesta penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 341-bis del codice penale (Oltraggio a pubblico ufficiale), introdotto dall’art. 1, comma 8, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui punisce con la reclusione fino a tre anni la condotta di chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d’ufficio ed a causa o nell’esercizio delle sue funzioni.

    1.1– Premette il rimettente di essere chiamato a pronunciarsi sulla colpevolezza di un’imputata del delitto di cui all’art. 341-bis cod. pen. per aver rivolto frasi ingiuriose («vi dovete vergognare siete delle bestie») all’indirizzo di agenti di polizia in servizio di vigilanza dinanzi al Palazzo di giustizia di Torino, alla presenza di più persone (gli altri manifestanti e i passanti).

    Su istanza formulata dalla difesa dell’imputata in esito al dibattimento, il giudice a quo ha sollevato le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 341-bis cod. pen. nei termini indicati.

    1.2.– In punto di rilevanza delle questioni, il rimettente osserva che, in caso di condanna, «l’unica pena che potrebbe essere irrogata è quella prevista dall’art. 341-bis c.p. che, anche nel caso di un fatto di minima gravità, dovrebbe essere equivalente a quindici giorni di reclusione», così che l’eventuale accoglimento delle questioni costituzionali prospettate potrebbe certamente influire sul processo celebrato dinanzi al giudice a quo; e ciò tanto più che l’imputata, pur se allo stato incensurata, avrebbe dichiarato di essere sottoposta ad altri procedimenti penali, il che potrebbe impedirle di beneficiare, in futuro, della sospensione condizionale della pena.

    1.3.– Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni, il rimettente non contesta la meritevolezza di tutela penale dei beni giuridici protetti dall’art. 341-bis cod. pen., la cui ratio dovrebbe essere identificata «nella esigenza, squisitamente pubblicistica, di garantire il regolare svolgimento dei compiti del pubblico ufficiale, senza che le offese dirette alla sua persona possano turbarne l’operato»; e non nega, conseguentemente, l’«importanza della permanenza all’interno del codice penale […] di una norma che vieti e sanzioni comportamenti oltraggiosi nei confronti del pubblico ufficiale». Il giudice a quo assume, tuttavia, l’esistenza di una «iniqua sproporzione» tra il trattamento sanzionatorio previsto per la fattispecie in esame e quello previsto dall’art. 342 cod. pen. per l’oltraggio a un Corpo amministrativo, politico o giudiziario, per il quale è prevista una mera pena pecuniaria.

    Tale disparità di trattamento sanzionatorio darebbe luogo, ad avviso del rimettente, a una violazione dell’art. 3 Cost.

    Entrambi i reati sarebbero infatti lesivi dell’onore e del prestigio di soggetti che rivestono la qualifica di pubblici ufficiali, e tutelerebbero interessi «sostanzialmente identici», dovendo l’offesa essere rivolta, nel caso dell’art. 341-bis cod. pen., contro un singolo pubblico ufficiale, e contro «due o più pubblici ufficiali che operano in sinergia tra di loro» nel caso dell’art. 342 cod. pen., valendo poi per entrambe le fattispecie la condizione che l’offesa venga proferita in presenza dei soggetti passivi del reato.

    ’altra parte, ad avviso del rimettente i lavori parlamentari relativi all’art. 1 della legge n. 94 del 2009, con cui è stata reintrodotta la fattispecie di oltraggio a pubblico ufficiale, dopo la sua abrogazione avvenuta per opera della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega del Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), non fornirebbero alcun ausilio alla comprensione dei motivi per cui tale fattispecie sia punita «in modo così differente (e più grave) rispetto alla fattispecie, sostanzialmente uguale, […] dell’oltraggio a Corpo politico amministrativo o giudiziario».

    1.4.– Secondo il giudice a quo, la norma censurata sarebbe inoltre contraria all’art. 27, terzo comma, Cost., «nella parte in cui prevede una pena detentiva con un massimo edittale di tre anni di reclusione».

    Risulterebbe infatti evidente il contrasto con la finalità rieducativa della pena di «una sanzione inadeguata nella specie e nella quantità, non in armonia con l’attuale contesto storico […], nel quale risulta già da tempo avviato un processo volto a depenalizzare gli illeciti meno gravi». Da tale disarmonia deriverebbe «un senso di generale sfiducia nella Giustizia e nelle Istituzioni», capace di «incidere negativamente sul percorso rieducativo del reo».

    Il principio di proporzionalità delle pene sarebbe stato, d’altra parte, recentemente valorizzato da questa Corte attraverso una serie di decisioni ispirate ai principi che delineano il «volto costituzionale del sistema penale», principi rintracciabili non solo nelle disposizioni costituzionali, ma anche nel principio di proporzionalità delle pene sancito dall’art. 49, terzo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nonché dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che avrebbe più volte ritenuto «contraria al principio di proporzionalità l’applicazione o anche solo la previsione di pene detentive per reati commessi attraverso la manifestazione del pensiero» (è citata la sentenza 24 settembre 2013, Belpietro contro Italia).

    1.5.– Richiamando le sentenze n. 179 del 2017 e n. 236 del 2016, il giudice a quo evidenzia infine come questa Corte abbia ritenuto possibile porre rimedio ai vizi di legittimità costituzionale relativi alle cornici sanzionatorie in materia penale attraverso il ricorso a grandezze già rinvenibili nell’ordinamento, che nella specie sarebbero fornite dal...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT