Sentenza nº 270 da Constitutional Court (Italy), 13 Dicembre 2019

RelatoreGiovanni Amoroso
Data di Resoluzione13 Dicembre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 270

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso dal Tribunale ordinario di Firenze nel procedimento penale a carico di J.D. G. V. con ordinanza del 29 ottobre 2018, iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 ottobre 2019 il Giudice relatore Giovanni Amoroso.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 29 ottobre 2018 (r. o. n. 48 del 2019), depositata in pari data, il Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) in riferimento agli artt. 3, 24, 101 e 111 della Costituzione.

    La disposizione censurata prevede che «[n]ei casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere».

    Il rimettente dubita della legittimità costituzionale della norma nella parte in cui – applicandosi anche alle ipotesi (come quella al suo esame) in cui, pur a fronte di una già intervenuta espulsione mediante accompagnamento alla frontiera da parte degli organi di polizia, il pubblico ministero abbia emesso il decreto di citazione diretta a giudizio – «non prevede che il giudice del dibattimento, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, pronunci sentenza di non doversi procedere nel caso in cui l’espulsione sia avvenuta prima dell’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero».

    Premette il giudice che, in seguito a decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 550 del codice di procedura penale, egli è chiamato a giudicare nel procedimento a carico di un cittadino straniero, imputato del reato previsto dall’art. 624-bis del codice penale rubricato «Furto in abitazione e furto con strappo».

    In particolare, il Tribunale rimettente espone che, a seguito di verifiche fatte prima dell’apertura del dibattimento e a seguito di sollecitazione della difesa dell’imputato, era emerso che l’imputato era stato espulso dal territorio nazionale in forza del provvedimento del 23 ottobre 2017 del Prefetto di Milano, provvedimento portato a esecuzione il giorno dopo con accompagnamento dello straniero alla frontiera aerea e successivo imbarco su un volo per il paese di origine. Riferisce, ancora, il rimettente che «in data 30 gennaio 2018 era emesso dal pubblico ministero il decreto di citazione a giudizio, poi notificato all’imputato presso il difensore domiciliatario».

    Quindi, l’esecuzione dell’espulsione era avvenuta prima – e non già dopo – dell’emissione del provvedimento che dispone il giudizio.

    Quanto all’incidenza della disposizione sul procedimento penale pendente, il giudice a quo ricorda che la giurisprudenza di legittimità, con orientamento consolidato, ha affermato che l’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs n. 286 del 1998 trova applicazione anche nell’ipotesi di citazione diretta in giudizio ai sensi dell’art. 550 cod. proc. pen., e sottolinea che in tal senso si è espressa anche questa Corte con l’ordinanza n. 143 del 2006.

    Il Tribunale rimettente, richiamando in particolare tale ultima pronuncia, evidenzia che l’istituto contemplato dall’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998 costituisce «una condizione di procedibilità atipica, che trova la sua ratio nel diminuito interesse dello Stato alla punizione di soggetti ormai estromessi dal proprio territorio, in un’ottica similare – anche se non identica – a quella sottesa alle previsioni degli artt. 9 e 10 cod. pen., non disgiunta, peraltro, da esigenze deflattive del carico penale».

    Però, secondo la giurisprudenza di legittimità, la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere a seguito di espulsione dello straniero dal territorio dello Stato non è consentita una volta che sia stato emesso il decreto che dispone il giudizio o altro provvedimento equipollente.

    Con riferimento a questa fattispecie, che è quella al suo esame, il rimettente prospetta la violazione dell’art. 3 Cost. ravvisando un’irrazionale disparità di trattamento sia nei rapporti fra imputati – perché dà luogo a un «diverso trattamento tra il soggetto che, in ragione del corretto operato del pubblico ministero, benefici della non procedibilità ed il soggetto che nelle medesime condizioni si veda viceversa tratto irrimediabilmente a giudizio per effetto di un’erronea valutazione del suo contraddittore processuale» – sia tra i procedimenti in cui è prevista l’udienza preliminare e i procedimenti a citazione diretta a giudizio, perché solo «nei primi l’imputato beneficia nel corso dell’udienza preliminare di un vaglio giurisdizionale con riguardo alla sussistenza della condizione di procedibilità e può tramite il proprio difensore difendersi sul punto».

    Il rimettente, poi, in ordine alla prospettata violazione degli artt. 24 e 111 Cost., osserva che nei procedimenti a citazione diretta, in cui la prima udienza dibattimentale viene celebrata successivamente all’emissione del decreto di citazione a giudizio, l’applicazione della disciplina prevista dalla disposizione censurata preclude all’imputato di eccepire l’insussistenza della condizione di procedibilità, con violazione del principio del contraddittorio e della parità di condizioni tra le parti processuali.

    Inoltre, sarebbe violato anche l’art. 101 Cost., nella misura in cui la regola posta dall’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998 «comporta che l’atto di una parte processuale (l’emissione del decreto di citazione diretta a giudizio da parte del pubblico ministero), per quanto realizzato in violazione della normativa, sia vincolante per il giudice».

    In punto di rilevanza, il giudice a quo, premesso che l’espulsione dell’imputato risulta comprovata, osserva che se le questioni sollevate fossero accolte, il giudizio potrebbe concludersi con la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere; diversamente, il giudizio dovrebbe proseguire secondo le vie ordinarie con l’apertura del dibattimento.

    Infine, il rimettente afferma che la possibilità di addivenire a un’interpretazione costituzionalmente orientata è preclusa dal tenore letterale della norma.

  2. – Con atto del 30 aprile 2019, depositato in pari data, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque manifestamente infondate.

    In punto di ammissibilità, la difesa dello Stato afferma che il giudice rimettente avrebbe operato una ricostruzione incompleta del quadro normativo in cui è inserita la disposizione censurata, trascurando che, secondo quanto da essa stabilito, la sentenza di non luogo a procedere può essere pronunciata solo nei «casi previsti dai commi 3, 3-bis e 3-ter», i quali fanno riferimento all’espulsione amministrativa con nulla osta dell’autorità giudiziaria.

    Nel merito, l’Avvocatura generale osserva che le questioni sono state prospettate indicando come motivi di incostituzionalità quelle che sono, in realtà, le conseguenze di un errore compiuto dal pubblico ministero nell’applicazione della norma. Dunque, non si tratterebbe di difetti intrinseci della stessa.

    Ne discende che nessuna disparità di trattamento può essere ravvisata, né nel rapporto tra imputato e PM, né nel rapporto tra imputati. Allo stesso modo va esclusa la violazione del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio.

    Al riguardo, la difesa statale richiama l’ordinanza n. 142 del 2006 di questa Corte, che ‒ con riferimento alla diversa ipotesi dell’espulsione avvenuta dopo l’emissione del provvedimento che dispone il giudizio ‒ ha affermato che il diverso trattamento riservato all’imputato, a seconda che ricorrano, o meno, le condizioni previste dall’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, si risolve in una disparità di mero...

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