Sentenza nº 263 da Constitutional Court (Italy), 06 Dicembre 2019

RelatoreGiuliano Amato
Data di Resoluzione06 Dicembre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 263

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Aldo CAROSI;

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, recante «Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 82, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103», promosso dal Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, in funzione di tribunale di sorveglianza, nel procedimento nei confronti di F. P., con ordinanza del 28 dicembre 2018, iscritta al n. 56 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 ottobre 2019 il Giudice relatore Giuliano Amato.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria, in funzione di tribunale di sorveglianza, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 31, secondo comma, 76 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 3, del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, recante «Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati minorenni, in attuazione della delega di cui all’art. 1, commi 82, 83 e 85, lettera p), della legge 23 giugno 2017, n. 103».

    Tale disposizione prevede che, ai fini della concessione delle misure penali di comunità e dei permessi premio e per l’assegnazione al lavoro esterno, si applica l’art. 4-bis, commi 1 e 1-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), il quale consente la concessione dei benefici penitenziari ai condannati per taluni delitti, espressamente indicati, solo nei casi in cui gli stessi collaborino con la giustizia.

    Nell’estendere ai minorenni e giovani adulti preclusioni analoghe a quelle previste per gli adulti, la disposizione censurata violerebbe, in primo luogo, l’art. 76 Cost. L’esclusione dei benefici penitenziari da essa indicati ove ricorrano i reati ostativi di cui all’art. 4-bis ordin. penit. si porrebbe in contrasto con i principi di cui all’art. 1, comma 85, lettera p), numeri 5) e 6), della legge delega 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario), che prevedono l’ampliamento dei criteri di accesso alle misure alternative alla detenzione e l’eliminazione di ogni automatismo nella concessione dei benefici penitenziari.

    Sarebbero, inoltre, violati gli artt. 2, 3, 27 e 31 Cost., perché siffatto automatismo, che si fonda su una presunzione di pericolosità basata solo sul titolo di reato commesso, impedirebbe una valutazione individualizzata dell’idoneità della misura a conseguire le preminenti finalità di risocializzazione che debbono presiedere all’esecuzione penale minorile.

    Infine, la disposizione censurata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 7, 10 e 11 della direttiva 2016/800/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 maggio 2016, sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati nei procedimenti penali. Tali disposizioni prevedono il diritto del minore ad una valutazione individuale e la necessità di ricorrere, ogni qualvolta sia possibile, a misure alternative alla detenzione. La norma censurata non sarebbe coerente neppure con l’art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, il quale stabilisce il principio di proporzionalità delle pene inflitte rispetto al reato.

  2. – Il giudice a quo è chiamato a decidere in ordine all’istanza avanzata da un detenuto, condannato in via definitiva alla pena di cinque anni di reclusione per i reati di cui all’art. 416-bis del codice penale e agli artt. 2 e 7 della legge 2 ottobre 1967, n. 895 (Disposizioni per il controllo delle armi), aggravati, in base alla normativa all’epoca vigente, ai sensi dell’art. 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 1991, n. 203. Con riferimento alla residua pena da espiare di un anno, cinque mesi e quattordici giorni di reclusione, è stata richiesta l’applicazione della misura della detenzione domiciliare presso un’abitazione o in una struttura comunitaria.

    2.1.– Il rimettente evidenzia che la disposizione censurata esclude la possibilità di concedere le misure penali di comunità in presenza dei reati cosiddetti ostativi, previsti dall’art. 4-bis ordin. penit. Ciò impedirebbe di valutare nel merito l’istanza del detenuto e di adeguare la residua sanzione da espiare ai progressi da lui compiuti. Nel caso in esame, la condanna per uno dei delitti indicati nell’art. 4-bis non consentirebbe di accogliere l’istanza. A questo riguardo, non rileverebbe né l’accertata recisione dei collegamenti con la criminalità organizzata, essendo richiesta anche l’effettiva collaborazione con la giustizia, né l’inesigibilità di tale collaborazione poiché, ad avviso del rimettente, il rinvio è al catalogo dei reati ivi indicati e non al suo contenuto, né infine la mancata prova della pericolosità sociale, essendo richiesta viceversa la prova dell’assenza di attuali collegamenti con la criminalità organizzata.

    L’ostacolo non sarebbe superabile in via interpretativa. Un’esegesi costituzionalmente orientata della disposizione censurata porterebbe, infatti, alla sua sostanziale abrogazione.

    2.2.– Nel merito, il giudice a quo ritiene, in primo luogo, che la disposizione censurata violi l’art. 76 Cost., per il contrasto con i principi e i criteri direttivi posti dall’art. 85, lettera p), numeri 5) e 6), della legge n. 103 del 2017, che prevedono l’ampliamento dei criteri di accesso alle misure alternative alla detenzione e l’eliminazione di ogni automatismo nella concessione dei benefici penitenziari.

    Il giudice rimettente fa riferimento alla giurisprudenza costituzionale che ha affermato che il cuore della giustizia minorile debba consistere in valutazioni fondate su prognosi individualizzate, in grado di assolvere al compito di recupero del minore deviante. Ciò comporta l’abbandono di qualsiasi automatismo che escluda l’applicazione di benefici o misure alternative (sono richiamate le sentenze n. 90 del 2017, n. 436 del 1999, n. 16 del 1998 e n. 109 del 1997).

    Sono inoltre richiamati i principi espressi in numerosi atti internazionali, tra i quali le Regole minime delle Nazioni unite sull’amministrazione della giustizia minorile (“Regole di Pechino”), adottate dall’Assemblea generale con la risoluzione 40/33 del 29 novembre 1985, le Regole delle Nazioni Unite per la protezione dei minori privati della libertà (cosiddette regole dell’Havana), approvate dall’Assemblea generale con risoluzione n. 45/113 del 14 dicembre 1990, la raccomandazione CM/Rec. (2008)11 del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, adottata il 5 novembre 2008, sui minori autori di reato e soggetti a sanzioni o misure alternative alla detenzione, le Linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa su una “giustizia a misura di minore”, adottate il 17 novembre 2010, nella 1098a riunione dei delegati dei ministri, nonché, da ultimo, la direttiva 2016/800/UE, già citata.

    Questi atti esprimerebbero tutti l’esigenza che le autorità nazionali ricorrano alla privazione della libertà personale del minore quale misura di ultima istanza. Sarebbe, inoltre, richiesto che venga sempre privilegiato il ricorso alle misure alternative alla...

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