Sentenza nº 245 da Constitutional Court (Italy), 29 Novembre 2019

RelatoreAugusto Antonio Barbera
Data di Resoluzione29 Novembre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 245

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), promosso dal Tribunale ordinario di Udine, in composizione monocratica, nel procedimento a carico di D. K., con ordinanza del 14 maggio 2018, iscritta al n. 171 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione di D. K.;

udito nell’udienza pubblica del 22 ottobre 2019 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

udito l’avvocato Pierpaolo Curri per D. K.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza depositata il 14 maggio 2018 (reg. ord. n. 171 del 2018), il Tribunale ordinario di Udine, in composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge 27 gennaio 2012, n. 3 (Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento), limitatamente alle parole «all’imposta sul valore aggiunto».

  2. – Il rimettente premette che il giudizio principale ha ad oggetto un ricorso volto ad ottenere l’ammissione e la successiva omologazione di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, proposto ai sensi dell’art. 6, comma 1, primo periodo, della legge n. 3 del 2012. L’incidente di legittimità costituzionale, in particolare, interviene nella fase di valutazione dell’ammissibilità del ricorso, prevista dall’art. 10 della legge n. 3 del 2012, nel corso della quale occorre verificare la presenza dei requisiti pregiudiziali previsti dagli artt. 7, 8 e 9 della stessa legge.

  3. – Con riguardo ai presupposti soggettivi del relativo ricorso, il rimettente chiarisce che il ricorrente non è assoggettabile a procedure concorsuali diverse da quelle regolate dalla legge n. 3 del 2012. In particolare, si sottolinea nell’ordinanza che il ricorrente non esercita attività d’impresa commerciale e che il relativo sovraindebitamento deriva principalmente dalla condizione di responsabile solidale (art. 38 del codice civile) per le obbligazioni contratte da una associazione sportiva (nel cui nome ha agito in passato e di cui è stato legale rappresentante), a sua volta non soggetta a procedure concorsuali diverse da quelle disciplinate dalla legge n. 3 del 2012, perché comunque estranea ai requisiti di cui all’art. 1, comma secondo, del regio decreto 16 maggio 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa; da ora in avanti: legge fallimentare).

  4. – In ordine agli ulteriori presupposti legittimanti il ricorso oggetto del giudizio principale, il giudice a quo evidenzia che : a) il ricorrente è soggetto sovraindebitato, non avendo la possibilità di adempiere regolarmente le proprie obbligazioni alla luce della complessiva situazione che lo riguarda, considerati i debiti scaduti, i beni patrimoniali suscettibili di liquidazione e i flussi finanziari positivi prospettabili, con cadenza annua, nel quinquennio a venire, coincidente con il periodo di tempo compreso nel piano proposto ai creditori; b) che il piano prevede il pagamento integrale dei creditori prededucibili e in quota parte dei crediti concorsuali, tutti collocati al chirografo, compresi i privilegiati, attesa l’incapienza totale dei beni gravati; c) che al ricorso sono allegati tutti i documenti prescritti dall’art. 9, comma 2, della legge n. 3 del 2012 e che il ricorrente non ha mai fatto ricorso in precedenza alle procedure previste da detta legge, né risulta aver compiuto atti in frode ai creditori nel quinquennio pregresso; d) che il professionista designato per svolgere le funzioni di organismo di composizione della crisi, ai sensi dell’art. 15, comma 9, della legge n. 3 del 2012, ha attestato la fattibilità del piano elaborato nonché la veridicità dei dati contenuti nel ricorso e nei documenti allegati, avuto riguardo, in particolare, al profilo della incapienza dei beni sui quali i creditori privilegiati potrebbero far valere la loro collocazione preferenziale in caso di liquidazione forzata, beni caratterizzati da un valore di molto inferiore alla misura della soddisfazione che potrebbe risultare garantita dalla relativa liquidazione.

  5. – Ciò precisato, il rimettente rimarca che tra le poste di credito privilegiate, oggetto della falcidia proposta dal debitore, figura anche l’obbligo di pagare all’erario somme a titolo di imposta sul valore aggiunto (d’ora in poi: IVA), garantite dal privilegio generale mobiliare di cui all’art. 2752, terzo comma, cod. civ. Previsione del piano, questa, che, tuttavia, sarebbe in immediato conflitto con quanto imposto dalla norma censurata, secondo la quale, avuto riguardo a siffatta pretesa tributaria, il piano «può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento».

  6. – Il giudice a quo evidenzia che nel ricorso si sollecita, in prima battuta, la non applicazione della disposizione censurata perché assertivamente non conforme con quanto prevede, in materia di IVA, l’ordinamento dell’Unione europea; in subordine, sempre nel ricorso, se ne rimarca l’illegittimità costituzionale, per la ritenuta violazione dell’art. 3 Cost.

  7. – Quanto al primo profilo, il rimettente non trascura di valutare criticamente alcune pronunce, rese da altri giudici di merito, attraverso le quali si è ritenuto di poter accedere alla soluzione della non applicazione o comunque di dover procedere ad un’interpretazione conforme della norma censurata alla luce dei principi dettati, nella materia in oggetto, dalla normativa dell’Unione europea, come interpretata dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 7 aprile 2016, in causa causa C-546/14, Degano Trasporti sas; decisione, questa, assunta in esito al rinvio pregiudiziale disposto dallo stesso Tribunale rimettente con riguardo all’analoga tematica della falcidiabilità dell’IVA nell’affine procedura di concordato preventivo.

    7.1.– Segnala il giudice a quo che dette pronunce muovono dalla condivisa riconducibilità della disciplina dell’IVA all’interno della sfera di competenza dell’Unione. Ruotano, in particolare, intorno al ruolo da ascrivere all’art. 273 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (da ora in avanti: direttiva IVA); disposizione, questa, in forza del quale, secondo la costante interpretazione che di tale norma ha offerto la CGUE, ogni Stato membro è obbligato ad assicurare l’esatta riscossione dell’IVA e ad evitarne le evasioni, nel rispetto della parità di trattamento, beneficiando tuttavia di una certa libertà circa l’individuazione dei mezzi a sua disposizione, ma sempre senza mettere in discussione l’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione europea.

    In questa cornice, sottolinea il rimettente, nella giurisprudenza della CGUE, normative interne che portavano ad una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA sono state ritenute contrarie all’obbligo degli Stati membri di garantire il prelievo integrale dell’imposta in esame nel proprio territorio, nonché la riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione europea; per altro verso, senza smentire il precedente assunto, proprio con la citata sentenza Degano Trasporti sas, è stato ritenuto che non dà luogo ad una rinuncia generale e indiscriminata alla riscossione dell’IVA, la possibilità, garantita da una norma interna agli imprenditori commerciali in stato di insolvenza, di pagare solo parzialmente il debito IVA, qualora ciò avvenga nel quadro di una procedura seria, rigorosa e garantita, quale quella del concordato preventivo di cui agli artt. 160 e seguenti della legge fallimentare, che consenta di riscontrare il maggior vantaggio della relativa proposta rispetto alla alternativa liquidatoria del patrimonio posto a garanzia delle obbligazioni da soddisfare.

    7.2.– Pur muovendo da tali argomentazioni, ritiene il rimettente che l’ostacolo offerto dal tenore letterale dell’art. 7, comma 1, terzo periodo, della legge n. 3 del 2012 non possa essere superato attraverso la non applicazione della norma interna, perché ritenuto conflitto con la disciplina comunitaria o, in alternativa, per il tramite della interpretazione della stessa conforme alle indicazioni di principio provenienti dagli orientamenti dettati, nella materia in oggetto, dalla CGUE.

    7.2.1.– Sotto il primo versante, ad avviso del rimettente, per procedersi alla non applicazione di una norma interna in forza di una norma contenuta in una direttiva, occorre che questa sia caratterizzata da un contenuto precettivo chiaro, preciso e incondizionato. Tanto sarebbe da escludere con riguardo all’art. 273 della direttiva IVA, così come interpretato dalla sentenza Degano Trasporti sas: ad avviso del rimettente, infatti, il portato di tale statuizione, se legittima pagamenti parziali dell’IVA all’interno di determinati meccanismi procedurali, non esprime, al contempo, un precetto chiaro, preciso ed incondizionato che imponga agli Stati membri di consentire, a parità di condizioni, la falcidia dell’IVA ad un debitore insolvente. Ciò in quanto rimane, in via di principio, libera l’individuazione dei modi attraverso i quali perseguire l’obiettivo della effettiva riscossione del dovuto per tale risorsa.

    7.2.2.– Per...

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