Sentenza nº 229 da Constitutional Court (Italy), 08 Novembre 2019

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione08 Novembre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 229

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promossi dal Magistrato di sorveglianza di Padova, nella procedura di sorveglianza ad istanza di G. C., con ordinanza del 3 dicembre 2018, iscritta al n. 55 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2019, e dal Magistrato di sorveglianza di Milano, nella procedura di sorveglianza ad istanza di A. C., con ordinanza del 14 maggio 2019, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di costituzione di A. C.;

udito nell’udienza pubblica e nella camera di consiglio del 9 ottobre 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò;

udito nell’udienza pubblica l’avvocato Corrado Limentani per A. C.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 14 maggio 2019 (r. o. n. 131 del 2019), il Magistrato di sorveglianza di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 58-quater, comma 4, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede che i condannati a pena detentiva temporanea per il delitto di cui all’art. 630, secondo comma, del codice penale, che abbiano cagionato la morte del sequestrato, non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati dall’art. 4-bis, comma 1, ordin. penit. se non abbiano effettivamente espiato almeno due terzi della pena irrogata.

    1.1.– Espone il giudice rimettente di essere chiamato a decidere sull’istanza, formulata dalla detenuta A. C., di concessione del primo permesso premio al fine di coltivare i propri affetti familiari e, in particolare, con il figlio minorenne.

    Riferisce il giudice a quo:

    – che la detenuta è stata condannata in via definitiva alla pena di ventiquattro anni di reclusione per concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla morte della persona sequestrata come conseguenza non voluta, ai sensi dell’art. 630, secondo comma, cod. pen., in relazione al ruolo da lei assunto nel rapimento di un bimbo, conclusosi con la sua uccisione da parte di altri correi;

    – che, al momento della presentazione dell’istanza, la detenuta aveva espiato effettivamente tredici anni, un mese e dodici giorni di reclusione, avendo altresì maturato due anni, sette mesi e cinque giorni di liberazione anticipata;

    – che nell’istanza la condannata aveva asserito la propria totale estraneità a contesti di criminalità organizzata e aveva dedotto, altresì, l’evidente impossibilità di una sua collaborazione “attiva”, in quanto le condotte a lei ascritte erano state integralmente accertate con sentenza passata in giudicato.

    Il rimettente ritiene, tuttavia, che alla stregua della disposizione censurata l’istanza dovrebbe essere ritenuta inammissibile, non avendo la condannata ancora espiato i due terzi della pena detentiva inflitta. Non avrebbe infatti pregio l’argomento dell’istante secondo cui la preclusione posta dall’art. 58-quater, comma 4, ordin. penit. non si applicherebbe all’ipotesi aggravata di cui all’art. 630, secondo comma, cod. pen., dal momento che – ad avviso del giudice a quo – l’espressione «che abbiano cagionato la morte del sequestrato» sarebbe riferibile tanto all’ipotesi – contemplata dall’art. 630, terzo comma, cod. pen. – in cui il reo abbia volontariamente cagionato l’evento letale, quanto a quella – prevista dal secondo comma di tale disposizione – in cui la morte del sequestrato costituisca conseguenza non voluta della sua condotta.

    1.2.– Il rimettente dubita, tuttavia, della compatibilità di tale preclusione con gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost.

    1.3. – Le questioni...

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