Sentenza nº 222 da Constitutional Court (Italy), 24 Ottobre 2019

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione24 Ottobre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 222

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente:

Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale ordinario di Bergamo nel procedimento penale a carico di L. M., con ordinanza del 27 giugno 2018, iscritta al n. 169 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti l’atto di costituzione di L. M., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 giugno 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò;

uditi l’avvocato Vittorio Meanti per L. M. e l’avvocato dello Stato Gianna Galluzzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 27 giugno 2018, il Tribunale ordinario di Bergamo ha sollevato – in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, ratificato e reso esecutivo con la legge 9 aprile 1990, n. 98 – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 del codice di procedura penale «nella parte in cui non prevede l’applicabilità della disciplina del divieto di un secondo giudizio nei confronti di imputato al quale, con riguardo agli stessi fatti, sia già stata irrogata in via definitiva, nell’ambito di un procedimento amministrativo, una sanzione di carattere sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dei relativi Protocolli».

    1.1.– Il rimettente premette di dover giudicare della responsabilità di L. M., imputato del reato previsto dall’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’art. 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), per avere omesso, in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, il versamento dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) dovuta per il periodo d’imposta 2011, per l’ammontare di 282.495,76 euro.

    Osserva il giudice a quo che la medesima omissione costituisce altresì illecito tributario, ai sensi dell’art. 13, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, recante «Riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi, a norma dell’articolo 3, comma 133, lettera q), della legge 23 dicembre 1996, n. 662». A tale titolo l’imputato è già stato destinatario di una cartella esattoriale, notificata il 6 novembre 2013, con la quale gli era stato ingiunto il pagamento dell’IVA non versata e di una sanzione amministrativa pari a 84.748,74 euro, corrispondente al 30 per cento dell’ammontare del debito tributario.

    Espone altresì il rimettente che la sanzione amministrativa è divenuta definitiva prima dell’esercizio dell’azione penale, avvenuta mediante decreto di citazione diretta a giudizio del 13 novembre 2014, e che il 6 maggio 2014 L. M. è stato autorizzato al pagamento rateale della somma evasa e della sanzione.

    1.2.– Il rimettente riferisce quindi di avere, con ordinanza del 16 settembre 2015, sottoposto alla Corte di giustizia dell’Unione europea, nell’ambito del medesimo giudizio a quo, una questione pregiudiziale d’interpretazione volta a chiarire se la previsione dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, «interpretato alla luce dell’art. 4 prot. n. 7 CEDU e della relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, osti alla possibilità di celebrare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto (omesso versamento IVA) per cui il soggetto imputato abbia riportato sanzione amministrativa irrevocabile».

    Con sentenza 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci, la Corte di giustizia ha statuito che:

    1) L’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale in forza della quale è possibile avviare procedimenti penali a carico di una persona per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta entro i termini di legge, qualora a tale persona sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale ai sensi del citato articolo 50, purché siffatta normativa

    – sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto, fermo restando che detti procedimenti e dette sanzioni devono avere scopi complementari,

    – contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti, e

    – preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti.

    2) Spetta al giudice nazionale accertare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, che l’onere risultante concretamente per l’interessato dall’applicazione della normativa nazionale in discussione nel procedimento principale e dal cumulo dei procedimenti e delle sanzioni che la medesima autorizza non sia eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso

    .

    1.3.– All’esito del giudizio innanzi alla Corte di giustizia, il rimettente solleva ora questioni di legittimità costituzionale dell’art. 649 cod. proc. pen., sospettandone il contrasto tanto con l’art. 117, primo comma, Cost. «nella misura in cui eleva a norma di rango costituzionale la norma interposta discendente dall’interpretazione della disposizione dell’art. 50 CDFUE fornita dalla Corte di Giustizia», quanto con l’art. 3 Cost., «declinato come principio di ragionevolezza intrinseca dell’ordinamento».

    Il rimettente premette che, nella citata sentenza Menci, la Corte di giustizia avrebbe ravvisato l’identità dei fatti in ordine ai quali L. M. era stato soggetto prima a un procedimento amministrativo e poi a un procedimento penale, e avrebbe altresì riconosciuto la natura punitiva, in base ai cosiddetti “criteri Engel”, della sanzione amministrativa irrogata a L. M. in base all’art. 13, comma 1, d.lgs. n. 471 del 1997, demandando poi al giudice nazionale di valutare l’eventuale eccessiva onerosità, per l’interessato, del cumulo di procedimenti e sanzioni, derivante dalla possibilità, prevista dall’ordinamento italiano, di punire l’illecito di omesso versamento dell’IVA, al di sopra della soglia di punibilità, sia con sanzione amministrativa, sia con sanzione penale.

    Il giudice a quo ritiene allora che tale cumulo di procedimenti e sanzioni, sia, in effetti, eccessivamente oneroso, e foriero di «un’ingiustificata disparità di trattamento, specie se rapportata al quadro sanzionatorio delle fattispecie originarie del d.lgs. 74/2000 nonché di un problema di ragionevolezza intrinseca dell’ordinamento».

    Tali criticità non potrebbero peraltro essere risolte applicando, nella specie, il censurato art. 649 cod. proc. pen., che vieta di sottoporre chi sia stato prosciolto o condannato con sentenza o decreto penale divenuti irrevocabili a nuovo procedimento penale per il medesimo fatto. Il tenore letterale della disposizione, infatti, ricollega l’effetto preclusivo del secondo giudizio alla «formazione di un giudicato penale». Donde l’affermata necessità di una pronuncia di questa Corte, che estenda la portata della disposizione all’ipotesi, che qui viene in considerazione, in cui l’imputato sia già stato destinatario di una sanzione amministrativa di carattere “punitivo”, divenuta definitiva prima dell’avvio del procedimento penale a suo carico.

    Il giudice a quo evidenzia che l’importo dell’IVA non versata è superiore alla soglia di punibilità prevista dall’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000, innalzata a 250.000 euro dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), e che l’imputato non ha integralmente versato le rate della sanzione amministrativa irrogatagli, di talché risulta inapplicabile la causa di non punibilità introdotta, nel testo dell’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, dal d.lgs. 158 del 2015.

    Il rimettente osserva quindi che gli artt. 19, 20 e 21 del d.lgs. n. 74 del 2000, pur «intesi a prevenire, sul piano sostanziale, la duplicazione delle sanzioni» penali e amministrative in relazione agli illeciti tributari, non impediscono, né hanno impedito nel caso di specie, l’avvio del procedimento penale dopo la conclusione di quello amministrativo. Infatti, l’art. 19 del d.lgs. n. 74 del 2000 stabilisce che quando il medesimo fatto è punito, in quanto reato, ai sensi del Titolo II del d.lgs. n. 74 del 2000, e, allo stesso tempo, in quanto illecito amministrativo, deve essere applicata la sola disposizione speciale – disposizione che, nel caso in esame, è quella penale. Tuttavia questa regola, in base all’art. 21 del d.lgs. n. 74 del 2000, non impedirebbe che il procedimento amministrativo finalizzato all’applicazione della sanzione e il...

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