Sentenza nº 174 da Constitutional Court (Italy), 12 Luglio 2019

RelatoreSilvana Sciarra
Data di Resoluzione12 Luglio 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 174

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018), promosso dalla Corte d’appello di Trieste, nel giudizio instaurato da Giovanni Bellarosa ed altri contro la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con ordinanza del 10 maggio 2018, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di costituzione di Giovanni Bellarosa e altri e della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nella udienza pubblica del 22 maggio 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

uditi gli avvocati Alessandro Tudor per Giovanni Bellarosa e altri e Carlo Cester per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 10 maggio 2018, iscritta al n. 151 del registro ordinanze 2018, la Corte d’appello di Trieste ha sollevato, in riferimento a molteplici parametri, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 7, commi 28, 29 e 30, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 29 dicembre 2015, n. 33 (Legge collegata alla manovra di bilancio 2016-2018), dichiaratamente volti a offrire l’interpretazione autentica degli artt. 142 e 143 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 agosto 1981, n. 53 (Stato giuridico e trattamento economico del personale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia).

    Le disposizioni censurate impedirebbero di valutare, ai fini della liquidazione dell’indennità di buonuscita, il servizio «prestato con rapporto a tempo determinato di diritto privato».

    1.1.– Il rimettente espone di dovere decidere sull’appello proposto da alcuni dirigenti dell’amministrazione regionale contro la sentenza di primo grado, che ha respinto la domanda di liquidazione di una indennità di buonuscita commisurata anche al servizio prestato con contratto a tempo determinato di diritto privato e alla retribuzione da ultimo percepita in forza di tale contratto.

    In punto di rilevanza, la Corte d’appello di Trieste argomenta che le disposizioni censurate, applicabili anche ai «pregressi rapporti di lavoro» alla luce della finalità interpretativa che dichiarano di perseguire, precludono l’accoglimento delle domande proposte.

    1.2.– La Corte rimettente denuncia, in primo luogo, la violazione dell’art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione. Il divieto di computare, nell’indennità di buonuscita, il servizio dirigenziale prestato con rapporto di lavoro a tempo determinato di diritto privato determinerebbe una «possibile irragionevole diversità di trattamento di un periodo, fra l’altro pregresso da anni, di lavoro del tutto uguale», prestato dapprima in forza di un «lavoro in ruolo» e poi per effetto di un incarico dirigenziale di diritto privato.

    Sarebbe violato anche l’art. 35, primo comma, Cost., che tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. I dirigenti, che pure rientrano tra i lavoratori subordinati (art. 2095 del codice civile) e hanno sempre svolto la medesima attività, sarebbero pregiudicati per il solo fatto di averla svolta, a decorrere dal novembre 2002, per effetto di un incarico a tempo determinato, nei termini disciplinati dall’art. 19 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche).

    La Corte rimettente assume che le disposizioni censurate siano inoltre lesive dell’art. 36, primo comma, Cost., che «tutela ed afferma il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata a qualità e quantità del lavoro». Nel caso di specie, «il T.F.R. o T.F.S. degli attori», che pure rappresenta «un accantonamento retributivo a favore dei prestatori», sarebbe «decurtato in ragione di un qualche nuovo e non ben delineato motivo».

    Il giudice a quo ravvisa anche un contrasto con l’art. 38, secondo e quarto comma, Cost. La tutela previdenziale e assistenziale per la vecchiaia, un tempo garantita da soggetti pubblici come l’Istituto nazionale assistenza dipendenti enti locali (INADEL) e l’Istituto nazionale di previdenza e assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP) e ancora oggi caratterizzata da «metodo di contribuzione e funzione» tipici della «previdenza pubblica», non potrebbe essere compromessa per il solo fatto del «passaggio delle competenze ad altro soggetto».

    Le disposizioni censurate si porrebbero in conflitto anche con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.

    La normativa di interpretazione autentica sarebbe intervenuta «a lite in parte già radicata da tempo» su disposizioni «emanate da anni ed anni», in assenza di incertezze interpretative e in difformità rispetto alle previsioni della legge statale (art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001) e regionale (art. 12 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 17 febbraio 2004, n. 4, recante «Riforma dell’ordinamento della dirigenza e della struttura operativa della Regione Friuli Venezia Giulia. Modifiche alla legge regionale 1° marzo 1988, n. 7 e alla legge regionale 27 marzo 1996, n. 18. Norme concernenti le gestioni liquidatorie degli enti del Servizio sanitario regionale e il commissario straordinario dell’ERSA»), che impongono di valutare ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza e dell’anzianità di servizio anche il servizio prestato dai dirigenti per effetto del contratto di diritto privato.

    Le disposizioni in esame non sarebbero giustificate da motivi imperativi di interesse generale, visto lo «scarso peso economico» del contenzioso che si prefiggono di influenzare e visto «il numero spicciolo degli interessati». Risulterebbero pertanto violati il principio di «preminenza del diritto» e il «diritto ad un processo equo», tutelati dall’art. 6 CEDU, e i princìpi enunciati dall’art. 111, primo e secondo comma, Cost.

    L’art. 117 Cost. sarebbe violato anche per un’ulteriore ragione. Le disposizioni in esame contrasterebbero con gli artt. 1, comma 3, e 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, che «integrano il contenuto» del parametro costituzionale «e affermano il canone dell’ultimo stipendio del periodo di incarico dirigenziale utile come parametro ai fini del conteggio del trattamento di fine servizio», e con l’art. 26, comma 19, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), che «con il suo canone di invarianza affermato in tema di retribuzione evidentemente anche differita rafforza ed integra la tutela concessa dall’art. 117 della Costituzione in tali casi».

  2. – Con atto depositato il 15 novembre 2018, si sono costituiti in giudizio Giovanni Bellarosa e altri e hanno chiesto di accogliere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’appello di Trieste.

    Le parti hanno dedotto di avere svolto le funzioni di direttore apicale nell’amministrazione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, di essere stati collocati in quiescenza tra il 2005 e il 2010 e di avere ricevuto un’indennità di buonuscita commisurata al servizio prestato fino al 15 novembre 2002 e alla retribuzione spettante alla medesima data, che rappresenta il momento della stipulazione dei contratti individuali di conferimento o di conferma dell’incarico dirigenziale.

    Le parti assumono che le disposizioni censurate, pur qualificandosi come interpretative, siano innovative, con portata retroattiva.

    L’art. 7, comma 28, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 33 del 2015, nel negare, ai fini della liquidazione...

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