Sentenza nº 218 da Constitutional Court (Italy), 03 Ottobre 2019

RelatoreLuca Antonini
Data di Resoluzione03 Ottobre 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 218

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), in relazione all’art. 52, comma 1, lettera d-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Vicenza nel procedimento vertente tra Paola Rizzo e l’Agenzia delle entrate - Direzione provinciale di Vicenza, con ordinanza dell’11 ottobre 2017, iscritta al n. 1 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visti l’atto di costituzione di Paola Rizzo, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 giugno 2019 il Giudice relatore Luca Antonini;

uditi l’avvocato Flavio De Benedictis per Paola Rizzo e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza dell’11 ottobre 2017 (r. o. n. 1 del 2019), la Commissione tributaria provinciale di Vicenza ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 23, comma 6, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), in relazione all’art. 52, comma 1, lettera d-ter), del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

    La controversia pendente davanti al giudice rimettente riguarda il rifiuto tacito opposto dall’Agenzia delle entrate all’istanza di rimborso dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) e delle addizionali comunale e regionale per l’anno 2014 presentata dalla ricorrente; questa ritiene di avere versato un’imposta maggiore del dovuto poiché al reddito complessivo prodotto è stato sommato l’ammontare dell’imponibile erogatole dal Fondo nazionale pensione complementare per i lavoratori della scuola (Fondo scuola «Espero»), tassato sulla base di disposizioni asseritamente illegittime. A tale fondo la stessa è stata iscritta dal 16 dicembre 2009 al 30 giugno 2014, maturando una posizione individuale imponibile di euro 8.108,70; esercitato il riscatto volontario, il fondo ha applicato sulla somma liquidatale una ritenuta alla fonte di euro 1.865,01 a titolo di tassazione ordinaria, per effetto del combinato disposto degli artt. 23, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005 e 52, comma 2, lettera d-ter), t.u. imposte redditi.

  2. – Quanto alla non manifesta infondatezza, l’ordinanza ricorda che il fondo al quale la ricorrente aveva aderito, costituito a seguito della riforma pensionistica contenuta nella legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), è destinato ai lavoratori del comparto scuola, sia con contratto a tempo indeterminato che determinato, che vi aderiscono volontariamente.

    Prosegue il giudice rilevando che la riforma introdotta dalla legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria), avente tra l’altro ad oggetto l’adozione di norme intese a «sostenere e favorire lo sviluppo di forme pensionistiche complementari» (art. 1, comma 1), non avrebbe trovato immediata applicazione nei confronti del pubblico impiego. Infatti, non è stato emanato l’apposito decreto di armonizzazione necessario per l’attuazione degli specifici principi e criteri direttivi indicati all’art. 1, comma 2, lettera p), della legge citata: «applicare i princìpi e i criteri direttivi di cui al comma 1 e al presente comma e le disposizioni relative agli incentivi al posticipo del pensionamento di cui ai commi da 12 a 17, con le necessarie armonizzazioni, al rapporto di lavoro con le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, previo confronto con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e dei prestatori di lavoro, le regioni, gli enti locali e le autonomie funzionali, tenendo conto delle specificità dei singoli settori e dell’interesse pubblico connesso all’organizzazione del lavoro e all’esigenza di efficienza dell’apparato amministrativo pubblico».

    Il d.lgs. n. 252 del 2005, recante disposizioni attuative della predetta legge delega, prevedeva, infatti, all’art. 21, comma 8, che «[f]atto salvo quanto previsto dall’art. 23, comma 5, è abrogato il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124», recante «Disciplina delle forme pensionistiche complementari, a norma dell’articolo 3, comma 1, lettera v), della legge 23 ottobre 1992, n. 421», e all’art. 23, comma 6, che «[f]ino all’emanazione del decreto legislativo di attuazione dell’articolo 1, comma 2, lettera p), della legge 23 agosto 2004, n. 243, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, si applica esclusivamente ed integralmente la previgente normativa».

    Ad avviso del giudice a quo, il combinato disposto di tali previsioni escluderebbe «l’applicazione, al rapporto di lavoro pubblico, del regime fiscale più favorevole introdotto dallo stesso decreto legislativo, creando due regimi impositivi e una disparità di trattamento costituzionalmente rilevante». Infatti, il cosiddetto riscatto volontario di una posizione individuale accumulata dopo il 1° gennaio 2007 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 252 del 2005), «se erogato a favore di dipendenti del settore privato iscritti a una forma pensionistica di natura negoziale di cui sono destinatari, beneficia della favorevole imposizione sostitutiva di cui all’art. 14 del decreto legislativo n. 252/2005, mentre il medesimo riscatto erogato a favore di dipendenti pubblici subisce una differente e penalizzante imposizione ordinaria che si configur[erebbe] nella maggiorazione dell’onere tributario, derivante dall’applicazione dell’art. 52, comma 1, lett. d-ter) del TUIR».

    Pertanto, il rimettente ritiene che il d.lgs. n. 252 del 2005 risulterebbe «carente di una disciplina generale di armonizzazione con il settore pubblico», per effetto delle sopra richiamate disposizioni di cui agli artt. 21, comma 8, e 23, comma 6 della stessa fonte normativa.

    Il combinato disposto di queste ultime «esclude[rebbe], irragionevolmente, al rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, il regime fiscale più favorevole introdotto dallo stesso decreto legislativo, creando due sistemi impositivi». La conseguente disparità di trattamento appare al rimettente irragionevole, e quindi in violazione dell’art. 3 Cost., essendo lesiva del principio di uguaglianza tra lavoratori del settore pubblico e di quello privato, nonché dell’art. 53 Cost., «in quanto una medesima fonte di capacità contributiva v[errebbe] sottoposta a due diverse imposizioni fiscali».

    L’ordinanza ritiene le questioni rilevanti in quanto la risoluzione della controversia in senso sfavorevole o favorevole al contribuente dipenderebbe dall’applicazione della norma della cui costituzionalità si dubita.

  3. – Con atto depositato il 19 febbraio 2019 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o comunque manifestamente infondate.

    Vengono, in premessa, richiamate le principali fonti normative in materia di previdenza complementare segnalando, da ultimo, l’art. 1, comma 156, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020): tale disposizione, a decorrere dal 1° gennaio 2018, ha esteso ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e dei contributi versati ai fini della previdenza complementare e il regime di tassazione delle prestazioni previsti dal d.lgs. n. 252 del 2005, precisando che, per i dipendenti pubblici iscritti alla data di entrata in vigore della legge a forme previdenziali complementari, «relativamente ai montanti delle prestazioni accumulate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti».

    3.1.– L’Avvocatura generale eccepisce la inammissibilità delle questioni, «per non avere investito la normativa rilevante, con particolare riferimento all’art. 1 della legge delega n. 243/2004, in forza della quale è stato emanato il D.Lgs. 252/2005». Richiamando il principio direttivo contenuto nella lettera p) del comma 2 di tale articolo, ritiene evidente che l’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005, sospettato di incostituzionalità, trovi in esso il suo fondamento.

    Un ulteriore profilo di inammissibilità deriverebbe dal fatto che l’ordinanza ha richiesto la dichiarazione di illegittimità dell’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 252 del 2005 senza richiamare, «neppure in estrema sintesi», la disciplina, contenuta nel citato decreto legislativo, in tema di trattamento fiscale delle prestazioni di previdenza complementare erogate ai lavoratori privati diverse dal riscatto volontario, di cui l’accoglimento del petitum formulato «comporterebbe l’estensione ai lavoratori del comparto pubblico».

    3.2.– A sostegno della manifesta infondatezza della questione, l’Avvocatura premette che le...

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