Sentenza nº 139 da Constitutional Court (Italy), 06 Giugno 2019

RelatoreGiovanni Amoroso
Data di Resoluzione06 Giugno 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 139

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 96, terzo comma, del codice di procedura civile, promosso dal Tribunale ordinario di Verona, nel procedimento vertente tra G. L. e il Banco Popolare società cooperativa, con ordinanza del 23 gennaio 2018, iscritta al n. 181 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’8 maggio 2019 il Giudice relatore Giovanni Amoroso.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 23 gennaio 2018, il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 96, terzo comma, del codice di procedura civile per contrasto con gli artt. 23 e 25, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui – stabilendo che «[i]n ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata» – non prevede l’entità minima e quella massima della somma oggetto della condanna.

    Il giudice, premesso di dover decidere su una domanda di restituzione di somme percepite a titolo di interessi nel corso di un rapporto di conto corrente bancario proposta da G. L. nei confronti del Banco popolare società cooperativa, riferisce che «nel caso di specie, data l’inconsistenza degli assunti attorei, viene in rilievo il disposto dell’art. 96, terzo comma, codice di procedura civile introdotto dalla legge n. 69/2009».

    Il Tribunale rimettente – ritenendo che il terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ. debba essere letto congiuntamente al primo sul risarcimento del danno in caso di temerarietà della lite – ravvisa la sussistenza di tale presupposto nella palese incompatibilità tra la pretesa fatta valere con la citazione e l’impegno assunto con l’istituto bancario a mezzo del contratto scritto di conto corrente. In particolare – riferisce il giudice rimettente – l’attore ha lamentato l’applicazione di interessi passivi ultralegali non pattuiti, variati unilateralmente in misura superiore al tasso soglia, nonché l’utilizzo del criterio della capitalizzazione. L’istituto convenuto ha invece dimostrato, mediante produzione documentale, che le condizioni contestate erano state pattuite ed erano conformi alla delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) che individua le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria.

    Ricorda, quindi, che la natura prevalentemente sanzionatoria dell’obbligazione pecuniaria prevista dalla disposizione censurata è stata riconosciuta da questa Corte nella sentenza n. 152 del 2016 e che le sezioni unite della Corte di cassazione hanno, a loro volta, riconosciuto, nella sentenza 5 luglio 2017, n. 16601, la natura polifunzionale della tutela risarcitoria, caratterizzata da una finalità non esclusivamente riparatoria, ma anche sanzionatoria (cosiddetti danni punitivi). In tale ultima pronuncia è stato puntualizzato che «[o]gni imposizione di prestazione personale esige una “intermediazione legislativa”, in forza del principio di cui all’art. 23 Cost., (correlato agli articoli 24 e 25), che pone una riserva di legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario». Pertanto, «deve esservi precisa perimetrazione della fattispecie (tipicità) e puntualizzazione dei limiti quantitativi delle condanne irrogabili (prevedibilità)».

    Alla luce di tali affermazioni, il rimettente osserva che mentre le condotte che integrano la responsabilità processuale aggravata (primo comma dell’art. 96 cod. proc. civ.) risultano sufficientemente determinate, per contro, le conseguenze che gravano sul soccombente, ove il giudice faccia applicazione del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., non sono preventivabili, atteso che la norma non indica l’entità minima e massima della somma oggetto della condanna; da ciò, la violazione dei parametri indicati, senza che sia possibile un’interpretazione adeguatrice della norma censurata.

  2. – Con atto depositato il 15 gennaio 2019, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque manifestamente infondate.

    In punto di ammissibilità, l’Avvocatura generale rileva che il Tribunale non ha illustrato i motivi di contrasto della disposizione impugnata rispetto ai parametri costituzionali invocati.

    Nel merito, sostiene che le questioni sarebbero infondate. Richiama la sentenza n. 152 del 2016 di questa Corte, evidenziando che la condanna di cui all’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. «“[…] è testualmente (e sistematicamente), inoltre, collegata al contenuto della “pronuncia sulle spese di cui all’art. 91”; e la sua adottabilità “anche d’ufficio” la sottrae all’impulso di parte e ne conferma, ulteriormente, la finalizzazione alla tutela di un interesse che trascende (o non è, comunque, esclusivamente) quello della parte stessa, e si colora di connotati innegabilmente pubblicistici”».

    Quanto ai criteri di quantificazione, l’Avvocatura osserva che la disposizione riconosce al giudice un potere discrezionale, funzionale alla definizione, caso per caso, dell’entità della somma oggetto della condanna. Richiama in particolare la giurisprudenza (Corte di cassazione, sezione terza civile, sentenza 13 settembre 2018, n. 22272) sulla liquidazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 del codice civile.

    Considerato in diritto

  3. – Con ordinanza del 23 gennaio 2018, il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 96, terzo comma, del codice di procedura civile per contrasto con gli artt. 23 e 25, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui – stabilendo che «[i]n ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte...

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