N. 93 SENTENZA 8 - 12 marzo 2010

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Francesco AMIRANTE;

Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI;

ha pronunciato la seguente

Sentenza

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita') e dell'art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), promosso dal Tribunale di S. Maria Capua Vetere nel procedimento di prevenzione relativo a S.V. con ordinanza del 18 dicembre 2008, iscritta al n. 176 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, 1ª serie speciale, dell'anno 2009.

Visti l'atto di costituzione di S.V. nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 2010 il Giudice relatore Giuseppe Frigo;

Uditi l'avvocato Andrea R. Castaldo per S.V. e l'avvocato dello Stato Massimo Bachetti per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza del 18 dicembre 2008, il Tribunale di S. Maria Capua Vetere ha promosso, in riferimento agli artt. 111, primo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita') e dell'art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), nella parte in cui 'non consentono che la procedura di applicazione delle misure di prevenzione si svolga, su istanza degli interessati, nelle forme dell'udienza pubblica'.

Il giudice a quo premette di essere investito del procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione personale e patrimoniale, nel corso del quale era stato disposto, ai sensi dell'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, il sequestro di un ampio complesso di beni (partecipazioni societarie, impianti di carburante, immobili, conti correnti e libretti di risparmio), ritenuti nella disponibilita' della persona nei cui confronti era stata proposta la misura. Riferisce altresi' che, in udienza, il difensore del proposto aveva chiesto che la procedura fosse trattata in forma pubblica, eccependo l'illegittimita' costituzionale delle disposizioni che ne prevedono lo svolgimento in camera di consiglio.

A tale riguardo, il rimettente osserva che, in forza dell'art. 4, sesto comma, della legge n. 1423 del 1956, il tribunale provvede sulle proposte di applicazione delle misure di prevenzione 'in camera di consiglio, [...] osservando, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 636 e 637 del codice di procedura penale' (il richiamo si riferiva al codice del 1930, vigente al tempo dell'entrata in vigore di detta legge). A sua volta, l'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, nel disciplinare l'applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, opera un espresso riferimento al procedimento previsto dalla legge n. 1423 del 1956, statuendo, inoltre, al quinto comma, che ove i beni oggetto di sequestro adottato in via cautelare appartengano a terzi, questi sono chiamati dal tribunale ad intervenire nel procedimento e 'possono, anche con l'assistenza di un difensore, [...] svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni'.

Il dettato normativo risulterebbe, pertanto, inequivoco nello stabilire che il procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione, tanto personali che patrimoniali, abbia luogo 'in camera di consiglio': formula che - alla luce di un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita' - implicherebbe attualmente un rinvio alla disciplina generale dettata dall'art. 127 cod. proc.

pen., il quale prevede espressamente, al comma 6, che l'udienza in camera di consiglio - e, dunque, anche quella del procedimento che interessa - si svolge 'senza la presenza del pubblico'.

Cio' premesso, il rimettente rileva che, con due recenti pronunce - la sentenza 13 novembre 2007, emessa nella causa Bocellari e Rizza contro Italia, e la sentenza 8 luglio 2008, emessa nella causa Pierre ed altri contro Italia - la Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che la procedura di applicazione delle misure di prevenzione prevista dall'ordinamento italiano si pone in contrasto, sotto il profilo considerato, con l'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848.

Richiamando la propria giurisprudenza, la Corte di Strasburgo ha nell'occasione ribadito che la pubblicita' delle procedure giudiziarie, garantita dalla citata norma della Convenzione, tutela le persone soggette ad una giurisdizione contro una giustizia segreta, che sfugge al controllo del pubblico, e costituisce uno dei mezzi idonei per preservare la fiducia nei giudici. Con particolare riguardo ai procedimenti in discussione, la Corte non ha negato validita' ai rilievi svolti, nelle sue difese, dal Governo italiano, per giustificare la deroga alla pubblicita' delle udienze: e, cioe', che le procedure per l'applicazione delle misure di prevenzione - in specie patrimoniali - possono assumere un carattere altamente tecnico, in quanto basate essenzialmente su documenti e indagini finanziarie, e possono implicare, al tempo stesso, esigenze di protezione della vita privata di terze persone, anche minori, coinvolte quali intestatari formali dei beni. La Corte europea ha rilevato, tuttavia, che e' necessario tener conto della 'posta in gioco' nelle procedure in esame, le quali mirano alla confisca di 'beni e capitali', nonche' degli effetti che esse possono produrre sulle persone coinvolte: in questa prospettiva non e' possibile affermare che il controllo del pubblico non rappresenti una condizione necessaria alla garanzia dei diritti dell'interessato. Di conseguenza, ha giudicato 'essenziale', ai fini del rispetto del citato art. 6, paragrafo 1, della Convenzione, che i soggetti coinvolti nelle procedure stesse 'si vedano almeno offrire la possibilita' di sollecitare una pubblica udienza davanti alle sezioni specializzate dei tribunali e delle corti d'appello'.

Dalle affermazioni ora ricordate si dovrebbe necessariamente dedurre -...

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