Sentenza nº 123 da Constitutional Court (Italy), 23 Maggio 2019

RelatoreNicolò Zanon
Data di Resoluzione23 Maggio 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 123

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Siciliana 8 febbraio 2018, n. 1 (Variazione di denominazione dei comuni termali), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 17-24 aprile 2018, depositato in cancelleria il 27 aprile 2018, iscritto al n. 34 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Udito nell’udienza pubblica del 2 aprile 2019 il Giudice relatore Nicolò Zanon;

udito l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. − Con ricorso notificato il 17-24 aprile 2018 e depositato il 27 aprile 2018 il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso, in riferimento all’art. 133, secondo comma, della Costituzione, «anche con riguardo» all’art. 14 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2 (Conversione in legge costituzionale dello Statuto della Regione siciliana, approvato col decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455), questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Siciliana 8 febbraio 2018, n. 1 (Variazione di denominazione dei comuni termali).

  2. − Premette il ricorrente che la legge reg. Siciliana n. 1 del 2018 ha apportato modifiche all’art. 8 della legge della Regione Siciliana 23 dicembre 2000, n. 30 (Norme sull’ordinamento degli enti locali), relativo alle «Variazioni territoriali e di denominazione dei comuni». Tale disposizione prevedeva originariamente, e continua a prevedere, al secondo comma, che «[l]e variazioni di denominazione dei comuni consistenti nel mutamento, parziale o totale, della precedente denominazione, sono anch’esse soggette a referendum sentita la popolazione dell’intero Comune». L’art. 1, comma 1, lettera a), della legge reg. Siciliana n. 1 del 2018, ha aggiunto alla fine del comma sopra riportato le seguenti parole: «, fatta eccezione per i casi disciplinati dal comma 2-bis».

    Lo stesso art. 1, comma 1, alla lettera b), ha introdotto, dopo il comma 2 dell’art. 8 della legge reg. Siciliana n. 30 del 2000, un comma 2-bis, così formulato: «Ai comuni sui cui territori insistono insediamenti e/o bacini termali è consentita l’aggiunta della parola “terme” alla propria denominazione, previa deliberazione del consiglio comunale adottata a maggioranza dei due terzi dei consiglieri. Entro sessanta giorni dalla pubblicazione della delibera nell’albo pretorio, i cittadini del comune interessato possono esprimere il proprio dissenso alla modifica di denominazione mediante la presentazione, alla sede dell’ente, di una petizione sottoscritta dagli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune. La mancata sottoscrizione della petizione equivale all’adesione alla modifica di denominazione. La delibera del consiglio comunale acquista efficacia alla scadenza del termine di cui al presente comma, a condizione che non sia stata presentata una petizione sottoscritta da almeno un quinto degli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune».

  3. – Secondo il ricorrente, «[p]er effetto delle modifiche approvate», le variazioni delle denominazioni dei Comuni termali della Regione Siciliana, «consistenti nell’aggiunta della parola “terme” alla denominazione originaria», oltre ad essere approvate dal consiglio comunale con la maggioranza qualificata indicata dalla norma, «non sono più soggette a referendum preventivo, da indirsi obbligatoriamente e interessante la popolazione dell’intero comune». Da ciò conseguirebbe che gli abitanti del Comune la cui denominazione viene modificata non verrebbero consultati, ma potrebbero esprimere il proprio dissenso soltanto sottoscrivendo una petizione, da presentare entro sessanta giorni dalla pubblicazione nell’albo pretorio della relativa delibera. La mancata sottoscrizione della petizione, sulla base della semplice inerzia dei sottoscrittori, verrebbe equiparata ad una adesione alla modifica della denominazione. Inoltre, aggiunge l’Avvocatura generale dello Stato a sostegno della censura, la disposizione impugnata stabilisce che se la petizione non viene sottoscritta da un numero di cittadini superiore al quinto degli aventi diritto, la delibera diviene efficace.

  4. – Le disposizioni di semplificazione della procedura di variazione della denominazione dei Comuni della Regione Siciliana, prevista dalle norme introdotte dalla legge reg. Siciliana n. 1 del 2018, violerebbero, secondo il ricorrente, l’art. 133, secondo comma, Cost., che, nell’attribuire alla Regione il potere di istituire nuovi Comuni e modificare le proprie circoscrizioni e denominazioni, prescrive che debbano essere «sentite le popolazioni interessate».

    La costante giurisprudenza della Corte costituzionale avrebbe, infatti, precisato in proposito che sussiste un obbligo di fare ricorso alla «indispensabile forma che il referendum consultivo riveste per appagare l’esigenza partecipativa delle popolazioni interessate» (sono menzionate le sentenze n. 279 del 1994, n. 107 del 1983 e n. 204 del 1981)...

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