Sentenza nº 119 da Constitutional Court (Italy), 16 Maggio 2019

RelatoreDaria de Pretis
Data di Resoluzione16 Maggio 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 119

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, comma 1, lettere p) e w); 14; 15 e 16, comma 1, della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018, n. 3 (Norme urgenti in materia di ambiente, di energia, di infrastrutture e di contabilità), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 13-17 aprile 2018, depositato in cancelleria il 23 aprile 2018, iscritto al n. 33 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;

udito nella udienza pubblica del 3 aprile 2019 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

  1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato cinque disposizioni della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 6 febbraio 2018, n. 3 (Norme urgenti in materia di ambiente, di energia, di infrastrutture e di contabilità).

    La prima disposizione censurata è l’art. 4, comma 1, lettera p), che modifica l’art. 36 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 29 aprile 2015, n. 11 (Disciplina organica in materia di difesa del suolo e di utilizzazione delle acque), inserendo in esso i seguenti commi 7-bis e 7-ter: «7-bis. Qualora sul territorio regionale si configuri una situazione di deficit idrico, il Presidente della Regione, sulla base dei dati rilevati e di quelli forniti dalla Direzione centrale competente in materia di risorse agricole, con decreto di cui è data pubblicazione sul sito istituzionale della Regione, in via d’urgenza: a) dichiara lo stato di sofferenza idrica; b) individua le riduzioni temporanee del deflusso minimo vitale, commisurate all’entità del deficit idrico. 7-ter. Le riduzioni temporanee di cui al comma 7-bis, lettera b), si applicano alle derivazioni d’acqua per utilizzo irriguo in esercizio lungo i corsi d’acqua dei fiumi Tagliamento e Isonzo e dei torrenti Torre, Meduna, Cellina e Judrio».

    L’Avvocatura rileva che la legislazione statale primaria e secondaria «ha individuato i soggetti cui è demandata la gestione delle acque e […] l’esercizio delle funzioni tecniche relative alla determinazione dei livelli di deflusso minimo vitale». In particolare, è richiamato l’art. 95, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in base al quale, «[s]alvo quanto previsto al comma 5, tutte le derivazioni di acqua comunque in atto alla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto sono regolate dall’Autorità concedente mediante la previsione di rilasci volti a garantire il minimo deflusso vitale nei corpi idrici, come definito secondo i criteri adottati dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare con apposito decreto, previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, senza che ciò possa dar luogo alla corresponsione di indennizzi da parte della pubblica amministrazione, fatta salva la relativa riduzione del canone demaniale di concessione». Secondo la difesa statale, la norma sarebbe stata adottata «in virtù dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost., con finalità di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, e in virtù dell’art. 118, primo comma, Cost., per cui le funzioni amministrative de quo sono attribuite alle Autorità di bacino».

    L’Avvocatura ricorda che lo Statuto speciale riconosce alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia competenza concorrente nella materia delle derivazioni d’acqua, ma, poiché la loro disciplina rientra nella potestà residuale delle regioni ordinarie ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione, opererebbe la clausola di maggior favore di cui all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della parte seconda della Costituzione), e, dunque, ne discenderebbe «quale ulteriore conseguenza l’applicazione del regime ordinario anche in riferimento ai limiti che trova la potestà legislativa regionale in materia». Pertanto, l’art. 95, comma 4, del codice dell’ambiente sarebbe «cogente anche per le Regioni a statuto speciale» e la norma regionale censurata invaderebbe la competenza in materia di ambiente riconosciuta allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera s), e dall’art. 118, primo comma, Cost.

    Nel proprio atto di costituzione, depositato il 28 maggio 2018, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia nega che il citato art. 95, comma 4, attribuisca la funzione amministrativa in questione all’Autorità di bacino: l’autorità di regolazione del deflusso minimo vitale dei corpi idrici sarebbe «l’autorità concedente del rapporto concessorio, cioè pacificamente la Regione». La resistente ricorda la propria competenza legislativa statutaria in materia di «utilizzazione delle acque pubbliche» e la titolarità delle corrispondenti funzioni amministrative ai sensi dell’art. 8 dello Statuto. La norma impugnata, dunque, si limiterebbe a «regolare competenze interne [del Presidente della Regione] alla stessa Regione quale autorità concedente».

    Il ricorso sarebbe così infondato per «inesistenza del parametro asseritamente violato». La Regione contesta comunque il percorso argomentativo del ricorrente, osservando che la competenza residuale delle regioni ordinarie è invocata al solo fine di far valere la competenza esclusiva statale in materia di ambiente, vanificando la competenza regionale statutaria concorrente e giungendo al risultato di applicare il nuovo Titolo V della parte seconda della Costituzione in modo restrittivo per l’autonomia speciale.

  2. – La seconda disposizione impugnata è l’art. 4, comma 1, lettera w), della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, che introduce nell’art. 50 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015 il comma 3-bis. Tale norma stabilisce che «[i]l canone demaniale previsto dal decreto di cui al comma 1 è aumentato nella misura di 40 euro per kW nei casi in cui l’esercizio delle concessioni di derivazione d’acqua, ferme restando le condizioni stabilite dalle vigenti normative e dal disciplinare di concessione, sia prorogato ai sensi dell’articolo 12, comma 8-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica)».

    Secondo l’Avvocatura, la maggiorazione del canone sarebbe contraria «ai principi di ragionevolezza e di parità di trattamento, nonché di tutela della concorrenza», in quanto inciderebbe «negativamente sui gestori operanti nel territorio della Regione Friuli-Venezia Giulia rispetto a quelli di altre regioni». La norma impugnata eccederebbe «dalle competenze riconosciute alla Regione Friuli-Venezia Giulia dallo Statuto speciale di autonomia e dalle relative norme di attuazione», in quanto violerebbe «gli articoli 3, 97 e 117, secondo comma lettera e) della Costituzione».

    In particolare, la previsione della maggiorazione del canone contrasterebbe con l’art. 12, comma 8-bis, del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79 (Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica), in base al quale (secondo la formulazione vigente al momento del ricorso), «[q]ualora alla data di scadenza di una concessione non sia ancora concluso il procedimento per l’individuazione del nuovo concessionario, il concessionario uscente proseguirà la gestione della derivazione, fino al subentro dell’aggiudicatario della gara, alle stesse condizioni stabilite dalle normative e dal disciplinare di concessione vigenti».

    Il ricorrente osserva che, «[t]rattandosi di materia di tutela della concorrenza non assume rilievo la competenza della Regione in materia di demanio idrico trasferito alla regione medesima ai sensi dell’art. 1 del decreto legislativo n. 265/2001».

    Inoltre, la norma impugnata violerebbe l’art. 37, comma 7, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, che – al momento del ricorso – prevedeva che, «[a]l fine di assicurare un’omogenea disciplina sul territorio nazionale delle attività di generazione idroelettrica e parità di trattamento tra gli operatori economici, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono stabiliti i criteri generali per la determinazione, secondo principi di economicità e ragionevolezza, da parte delle regioni, di valori massimi dei canoni delle concessioni ad uso idroelettrico».

    Tale disposizione sarebbe riconducibile alla competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, perché mirerebbe ad agevolare l’accesso degli operatori economici al mercato dell’energia secondo condizioni uniformi sul territorio nazionale.

    Infine, il ricorrente rileva che la norma impugnata sarebbe reiterativa dell’art. 61-bis della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015, che la Regione si sarebbe impegnata ad abrogare.

    Nel proprio atto di costituzione, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia osserva, in primo luogo, che la norma impugnata è diversa dall’art. 61-bis della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2015, abrogato dall’art. 18 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 3 del 2018, in quanto l’art. 61-bis «prevedeva non un aumento del canone, ma un...

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