Sentenza nº 109 da Constitutional Court (Italy), 09 Maggio 2019

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione09 Maggio 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 109

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 43, primo comma, lettera a), del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione seconda, e dal Tribunale amministrativo regionale per il Friuli-Venezia Giulia, sezione prima, con una ordinanza del 16 gennaio e due ordinanze dell’11 giugno 2018, iscritte rispettivamente ai numeri 79, 147 e 148 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 21 e 42, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 marzo 2019 il Giudice relatore Francesco Viganò.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 16 gennaio 2018 (r. o. n. 79 del 2018), il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, sezione seconda, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 43, primo comma, lettera a), del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), «nella parte in cui prevede un generalizzato divieto di rilasciare il porto d’armi alle persone condannate a pena detentiva per il reato di furto senza consentire alcun apprezzamento discrezionale all’Autorità amministrativa competente».

    1.1.– Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciarsi su un ricorso diretto all’annullamento del provvedimento con cui è stata respinta l’istanza di rinnovo della licenza di porto di fucile per uso venatorio presentata dal ricorrente alla questura territorialmente competente.

    L’istanza in parola era stata respinta in quanto il ricorrente risultava condannato, con sentenza della Corte d’Appello di Firenze pronunciata il 25 gennaio 1980 e divenuta irrevocabile, alla pena detentiva di due anni di reclusione e 200.000 lire di multa per i delitti di «furto aggravato e falso titolo di credito».

    Il ricorrente esponeva nel giudizio a quo di avere ottenuto la riabilitazione, la quale a suo avviso avrebbe dovuto escludere il prodursi di un automatico effetto ostativo al rilascio del porto d’armi in seguito a una pregressa condanna alla reclusione, tanto più se assai risalente nel tempo. Il ricorrente osservava inoltre di avere, in passato, ottenuto il porto d’armi per uso venatorio, e di avere pertanto soltanto chiesto il rinnovo di una licenza già concessagli, sottolineando infine di avere sempre mantenuto, dopo la condanna in questione, una condotta di vita specchiata.

    1.2.– Rilevato che il ricorrente ha ottenuto, rispettivamente, la riabilitazione nel 1991, e il primo rilascio del porto d’armi per uso venatorio già nel 1986, e successivi provvedimenti di rinnovo del titolo senza soluzione di continuità fino all’istanza attuale, il giudice rimettente osserva che la disposizione censurata, a tenore della quale «non può essere conceduta la licenza di portare armi», tra l’altro, «a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione», è stata oggetto di due contrapposte interpretazioni da parte del Consiglio di Stato.

    In base al primo e più risalente orientamento, qualora per il reato ostativo al rilascio del titolo sia intervenuta la riabilitazione ai sensi dell’art. 178 del codice penale, l’automatismo preclusivo posto dalla disposizione censurata verrebbe meno, aprendosi così la possibilità di un «apprezzamento discrezionale prognostico da parte dell’Amministrazione», sì da tener conto non solo del reato commesso, ma anche di «ogni altro fatto utile a tale scopo come i pregressi rilasci o rinnovi del titolo; la condotta tenuta nel tempo dall’interessato e, in generale, ogni elemento utile a far luce sulla personalità dell’interessato medesimo, compresa la riabilitazione» (sono citate le sentenze del Consiglio di Stato, sezione terza, 4 marzo 2015, n. 1072; 10 luglio 2013, n. 3719; 12 febbraio 2013, n. 822).

    Rileva tuttavia il giudice a quo che tale indirizzo è stato più di recente superato da un parere e da una sentenza del Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sezione prima, parere 11 luglio 2016, n. 1620; sezione terza, sentenza 9 novembre 2016, n. 4660). In base a questo più recente orientamento, la licenza di porto d’armi non potrebbe essere concessa – e quella rilasciata andrebbe ritirata – nel caso di condanna per uno dei reati elencati all’art. 43, primo comma, del TULPS, anche in presenza di riabilitazione. Quest’ultima avrebbe infatti soltanto l’effetto di estinguere gli “effetti penali della condanna” strettamente intesi, ossia quegli effetti che si producono sulla successiva applicazione della sola legge penale, sostanziale o processuale. Solo per le “autorizzazioni di polizia” di cui all’art. 11 del TULPS, d’altra parte, il legislatore avrebbe espressamente inteso dare rilievo alla riabilitazione, al fine di rendere flessibile la regola del diniego del titolo a chi ha commesso determinati reati; non altrettanto avrebbe stabilito il legislatore in relazione alle regole speciali sulla “licenza di portare armi” di cui all’art. 43 in esame. Tale distinzione sarebbe basata sulla diversa natura delle attività sottoposte ad autorizzazione: mentre le autorizzazioni di polizia di cui all’art. 11 hanno ad oggetto attività lavorative, l’art. 43 si riferisce a uno specifico settore nel quale non è in discussione la possibilità di svolgere o meno un’attività lavorativa, ma sono coinvolti particolari valori concernenti la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Ne deriverebbe che, in presenza di condanna dell’interessato a pena detentiva, non residuerebbe alcun margine di apprezzamento discrezionale per l’amministrazione, la quale sarebbe vincolata a negare (o revocare) la licenza.

    1.3.– Il giudice a quo ritiene dunque che, sulla base di tale più recente orientamento del Consiglio di Stato, il ricorso dovrebbe essere respinto.

    1.4.– Il Tribunale rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale dell’art. 43, primo comma, lettera a), del TULPS, così come interpretato dalla giurisprudenza più recente del Consiglio di Stato, in riferimento al principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

    Posto, infatti, che il divieto assoluto e automatico di concedere il porto d’armi è indefettibilmente riconnesso dalla norma censurata a un reato (il furto) che è estraneo all’uso delle armi e non incide, in astratto, sul loro utilizzo, ad avviso del rimettente la norma...

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