N. 13 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 21 gennaio 2010

Ricorso della regione Emilia-Romagna, in persona del Presidente della Giunta regionale, legale pro-tempore, sig. Vasco Errani, autorizzato con deliberazione della Giunta Regionale n. 36 del 18 gennaio 2010, rappresentata e difesa per mandato speciale a margine dal prof. Avv. Giandomenico Falcon, dal prof. Franco Mastragostino e dall'avv. Luigi Manzi, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, via Confalonieri, n. 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la declatoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1 lett. b), comma 1 lett. c), comma 1 lett. d), comma 1 lett. e) f) g), del decreto-legge 25 settembre 2009 n. 135, convertito con modificazioni, con legge 20 novembre 2009, n. 166, recante 'Disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari e per l'esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia delle Comunita' europee' (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 274 del 24 novembre 2009 - Suppl. ord. n. 215) di modifica, sostituzione e integrazioni all'art. 23-bis del D.L. n.

112/2008, convertito con la legge n. 133/2008, sulla disciplina dei Servizi Pubblici Locali, per violazione degli artt. 117, comma 1, 2, 4, 6, 114, 118 e 119 Cost.

Premessa di ordine generale sulla presente impugnazione.

L'art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, convertito con modificazioni con la legge 20 novembre 2009, n. 166, introduce una profonda revisione del quadro generale di disciplina dei servizi pubblici locali di tipo economico. La disposizione innova l'art.

23-bis del decreto-legge n. 112/2008, che a sua volta aveva riscritto la disciplina di riferimento, integrando l'originaria previsione contenuta nell'art. 113, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

La 'riforma' della 'riforma' viene giustificata in nome della pretesa attuazione di obblighi comunitari in materia di servizi pubblici locali e sulla base delle competenze statali finalizzate alla tutela della concorrenza, ma, come vedremo, essa e' passibile di fondamentali censure di incostituzionalita', laddove la rigida disciplina innovativamente prevista dal legislatore statale non appare, nelle disposizioni che qui si censurano, affatto improntata ad assicurare obiettivi di tutela della concorrenza, ma a perseguire altre e diverse finalita', che si pongono al di fuori dei titoli di competenza statale, che risultano in contrasto con la stessa disciplina comunitaria e che si traducono nella lesione delle potesta' regionali/locali di imprimere, secondo valutazioni ad esse Comunita' spettanti, una pertinente ad adeguata organizzazione e gestione dei servizi pubblici nel territorio di riferimento, in una materia - quella dei servizi pubblici locali e di organizzazione degli enti locali - nella quale le Regioni sono dotate di competenza legislativa piena, ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost., i, salvi i profili di cui all'art. 117, comma 2, lett. p).

Preliminarmente alla esposizione delle specifiche ragioni di impugnazione, va osservato come cose del tutto diverse siano la tutela della concorrenza da un lato, i principi della privatizzazione delle risorse pubbliche dall'altro. La tutela della concorrenza e' un principio comunitario (e oramai costituzionale) che riguarda l'organizzazione dei mercati e presuppone, percio', che un mercato esista e che l'apparato pubblico debba assicurare le regole di competitivita' tra le imprese.

In questi termini vale, al riguardo, la competenza esclusiva dello Stato, oltre che l'incombente e prevalente normativa comunitaria. Essendo questa una competenza di scopo - o, se si vuole, una materia 'finalistica' - la Corte ha anche di recente ricordato che l'esclusivita' non va, pero', intesa come esclusione a priori del legislatore regionale, ma comporta una valutazione in concreto della strumentalita' di ogni legge, statale o regionale che sia, rispetto alle finalita' di tutela.

La privatizzazione delle risorse pubbliche ha come sua ragione giustificativa la miglior utilizzazione di tali risorse. Ad essa dunque puo' farsi ricorso per ragioni del tutto estranee alla tutela della concorrenza, la quale, pero', dovra' essere assunta come metodo della privatizzazione, affinche' questa non favorisca determinati operatori, a scapito di altri.

La privatizzazione non ricade in specifiche competenze ne' della Comunita' europea, ne' dello Stato. Inoltre, trattandosi di un trasferimento ai privati di risorse costituite a spese della collettivita', e' un processo che va attentamente valutato in termini di benefici di ritorno alla collettivita' stessa. Quindi, si giustifica soltanto laddove l'ingresso del privato sia una garanzia di maggiore efficienza della gestione del bene privatizzato.

La questione della privatizzazione dei servizi pubblici locali con valenza economica, in parte ricade nella tutela della concorrenza, in parte nella privatizzazione delle risorse, ma le due prospettive restano distinguibili e da distinguere nei termini sopra indicati. Perche' solo per ragioni di concorrenza lo Stato e' abilitato ad intervenire con legge, non anche per ragioni attinenti all'efficienza del servizio (a meno che non si ricada nella determinazione dei livelli essenziali, o nel coordinamento della finanza pubblica).

Quest'ultima - l'efficienza del servizio - infatti, deve essere valutata in concreto dagli Enti esponenziali della collettivita' che acquisiscono il servizio, mentre disciplinarne le forme di esercizio in via generale ed astratta non puo' che contravvenire al principio di sussidiarieta', oltre che al riparto delle materie che a quel principio si ispira.

Lo Stato, naturalmente, puo' legiferare:

  1. per assicurare la concorrenza laddove si apra il servizio ai privati;

  2. per garantire i livelli essenziali delle prestazioni;

  3. ponendo norme di principio sul coordinamento finanziario, laddove si tratti di limitare il costo dei servizi rispetto al bilancio pubblico.

    Per il resto, le modalita' di erogazione dei servizi pubblici locali devono rientrare nella competenza e responsabilita' politica delle comunita' territoriali, alle quali compete la scelta anche delle modalita' di erogazione e dei modelli di gestione.

    La pretesa riforma contenuta nelle recenti disposizioni, introdotte con decretazione d'urgenza, di modifica di altre disposizioni non adeguatamente ponderate (si ricorda, infatti, che l'art. 23-bis e' maturato nel corso di una estate, precisamente tra il giugno e l'agosto 2008), confonde ad avviso della Regione i due piani, che vanno, invece, mantenuti nettamente distinti. E questa confusione nasce da un presupposto errato: che i principi della tutela della concorrenza comportino la necessaria privatizzazione delle risorse pubbliche, allo scopo di favorire l'insorgere di mercati concorrenziali, anche laddove essi attualmente non ci siano.

    Questo, a ben vedere, significa non tutelare la concorrenza, ma favorire la presenza di operatori privati, affidando loro le risorse pubbliche che sono patrimonio delle collettivita' territoriali. Cosi' si contravviene a un ordine logico che, almeno per quanto riguarda i settori nei quali non e' gia' presente un mercato concorrenziale (ad es. servizio idrico), dovrebbe muovere dall'obiettivo fondamentale e irrinunciabile della qualita' dei servizi, (il livello di diffusione, il livello delle prestazioni, il livello delle tariffe, la trasparenza della gestione, la democraticita' dei controlli e degli indirizzi, ecc.) Sotto questo profilo, le norme sul superamento della gestione in house sono palesemente orientate a favorire un ingiustificabile processo di 'svendita' (trattandosi di vendita obbligatoria e, quindi, fuori dalle condizioni di mercato) del patrimonio pubblico capitalizzato nel valore delle societa' pubbliche, che hanno avuto in affidamento i servizi, senza alcuna valutazione delle conseguenze che questo processo avrebbe sulla qualita' dei servizi. Questo non corrisponde al principio comunitario di tutela della concorrenza, ma ad una 'credo ideologico' circa la migliore capacita' delle Imprese private di gestire non l'impresa in se', ma gli interessi pubblici.

    Questa opzione e' meramente ideologica, in quanto essa e' estranea sia alla costituzione comunitaria - nella quale e' indiscusso il diritto delle amministrazioni di gestire direttamente i propri servizi pubblici, sia alla Costituzione italiana, nella quale - fermo il diritto di iniziativa economica privata - e' pienamente ammessa l'impresa pubblica, in particolare finalizzata alla gestione dei servizi pubblici: al punto che non solo la Costituzione non contiene alcuna limitazione, ma addirittura prevede (art. 43) che per ragioni di utilita' generale (cioe' di interesse pubblico) possano addirittura essere trasferiti alla gestione pubblica imprese gia' in regime di iniziativa privata.

    E', peraltro, evidente l'interesse della Regione ad impugnare tali disposizioni:

  4. su un piano generale onde opporre ad una visione ideologica, priva di qualsiasi riscontro oggettivo, una diversa interpretazione degli interessi della propria comunita';

  5. sul piano piu' direttamente giuridico, al fine di poter esplicare la propria competenza legislativa in materia di servizi pubblici, che e' lo strumento con cui la Costituzione garantisce la sua autonomia politica.

    I precedenti giurisprudenziali costituzionali sui Servizi pubblici locali.

    La riforma contiene numerose disposizioni, la cui compatibilita' con la Carta costituzionale deve essere messa in discussione, soprattutto a proposito dei canoni che regolano il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni. Al riguardo, si deve ricordare che gia' la Corte costituzionale si e' pronunciata sul punto, con la sentenza n. 272/2004. In quell'occasione, la Regione Toscana aveva impugnato le disposizioni di riforma dell'art. 113 del TUEL, contenute nell'art. 14 d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24...

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