N. 16 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 29 gennaio 2010

Ricorso per la Regione Piemonte, in persona della sua Presidente, prof.ssa Mercedes Bresso, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dal Prof. Roberto Cavallo Perin del Foro di Torino e dal Prof. Alberto Romano del Foro di Roma, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Lungotevere Sanzio n. 1, in forza di procura speciale a margine del presente ricorso per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 15, d.l. 25 settembre 2009, n. 135, convertito in legge con modificazioni dalla l. 20 novembre 2009, n. 166 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 24 novembre 2009, n.

274, S.O.

Fatto 1. La l. 20 novembre 2009, n. 166 ha convertito in legge il d.l.

25 settembre 2009, n. 135 il cui art. 15 modifica ed integra la precedente disciplina di legge statale in materia di servizi pubblici locali (art. 23 bis, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. con l. 6 agosto 2008, n. 133) che l'odierna esponente Regione Piemonte aveva impugnato innanzi alla Corte costituzionale con il ricorso in via principale n. 77/08.

In particolare con la nuova legge statale (art. 15, co. 1°, lett.

b, d.l. n. 135 del 2009, cit.) si e' voluto rafforzare l'ipotesi limite di una disciplina nazionale di 'integrale concorrenzialita'' imponendo comunque di rivolgersi al mercato per l'affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali, anche nella forma della societa' a capitale misto pubblico-privato per la quale s'impone una gara per la scelta del socio privato che abbia ad oggetto 'al tempo stesso' la qualita' di socio di capitale in misura minima predefinita (almeno 'il 40%' del capitale sociale) ma anche 'specifici compiti operativi', chiarendo anche letteralmente 'l'eccezionalita'' di ogni diversa forma di affidamento e gestione, in particolare quella cd. in house providing di derivazione europea.

Per il servizio idrico integrato l'art. 15, co. 1° ter, d.l. n.

135 del 2009, cit. afferma la necessita' di affidamenti con 'autonomia gestionale del soggetto gestore', ferma restando la 'piena ed esclusiva proprieta' pubblica delle risorse idriche' e con 'governo' delle stesse in capo 'alle istituzioni pubbliche', chiamate a garantire - non da oggi - il 'diritto alla universalita' ed accessibilita' del servizio' pubblico stesso.

L'indicata legge statale giunge addirittura a stabilire un'anticipata cessazione di tutti gli affidamenti in essere di servizi pubblici locali in house providing legittimi perche' conformi alla stessa disciplina europea, assieme agli illegittimi affidamenti in house o ad impresa terza (art. 15, co. 1°, lett. d), d.l. n. 135 del 2009, cit.).

La Regione Piemonte ritiene che tali disposizioni di legge statale ledano la propria sfera di competenza legislativa stabilita in Costituzione e pertanto propone ricorso ex art. 127, Cost., per le seguenti ragioni in Diritto 1. Violazione dell'art. 5, art. 114, art. 117, co. 1°, 2°, 4°, 6°, art. 118, art. 97 ed art. 3, Cost.; difetto di tutela della concorrenza; violazione della residua competenza legislativa regionale da parte del d.l. 25 settembre 2009, n. 135, art. 15, co.

  1. , lett. b, cosi' come conv. dalla l. 20 novembre 2009, n. 166, che sostituisce l'art. 23 bis, 2°, 3° e 4°, d.l. 25 giugno 2008, n. 112, conv. dalla l. 6 agosto 2008, n. 133, nonche' dell'art. 15, co. 1° ter, d.l. n. 135 del 2009, cit.

    A) 'Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di societa' in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunita' europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicita', efficacia, imparzialita', trasparenza, adeguata pubblicita', non discriminazione, parita' di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalita'; b) a societa' a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualita' di socio e l'attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento' (art. 15, co. l°, lett. b, d.l. n. 135 del 2009, cit. che cosi' sostituisce l'art. 23 bis, co. 2°, d.l. n. 112 del 2008, cit.).

    La legge statale qui impugnata soggiunge che l'affidamento diverso da quello 'ordinario' - tra cui spicca la forma di gestione denominata in house providing - puo' essere adottato solo 'in deroga alle modalita' di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato', precisando che si deve trattare di affidamento in 'favore di societa' a capitale interamente pubblico, partecipata dall'ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta 'in house' e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla societa' e di prevalenza dell'attivita' svolta dalla stessa con l'ente o gli enti pubblici che la controllano' (art. 15, co. 1°, lett. b), d.l. n. 135 del 2009, cit.

    che cosi' sostituisce l'art. 23 bis, co. 3°, d.l. n. 112 del 2008, cit.).

    Il legislatore statale dunque riconosce che le indicate forme di gestione ed affidamento dei servizi pubblici (soggetto scelto con gara, organizzazione in house providing) sono conformi all'ordinamento europeo ed in particolare alla disciplina sulla concorrenza, ma con la norma nazionale giunge sino ad individuare come forma preferenziale 'ordinaria' l'affidamento del servizio ad imprese terze con gara o a societa' mista il cui socio privato sia scelto con gara che abbia ad oggetto 'al tempo stesso' la qualita' di socio di capitale in misura minima predefinita (almeno 'il 40%' del capitale sociale) ma anche 'specifici compiti operativi', mentre relega la possibilita' dell'affidamento in house ai soli casi ivi espressi in via d'eccezione, superando con cio' la stessa disciplina comunitaria in materia di concorrenza, nonostante che la stessa abbia creato l'istituto giuridico dell'in house providing come senz'altro compatibile con l'ordinamento comunitario ed i suoi principi.

    In tal senso non vale ricordare che in un caso si e' ritenuto che taluna legislazione nazionale in materia di tutela dell'ambiente abbia potuto individuare misure piu' rigorose di quelle previste dal diritto comunitario, poiche' cio' e' stato possibile nei soli limiti di un rispetto del principio di proporzionalita' con altre disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia Ce, 14 aprile 2005, in causa C-6/03, Deponiezweckverband Eiterköpfe c. Land Rheinland-Pfalz) tra le quali assume particolare importanza la disciplina a tutela della concorrenza.

    B) La potesta' legislativa in Italia si esercita 'nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario' (art. 117, co.

  2. , Cost.), in particolare il vincolo si afferma anche nell'esercizio della potesta' statale esclusiva in materia di 'tutela della concorrenza' (art. 117, co. 2°, lett. e), Cost.), anzi e' proprio con riferimento alla regolamentazione del mercato unico europeo che la legislazione statale italiana non puo' che configurarsi in attuazione della disciplina europea.

    Il mercato unico europeo infatti e' concettualmente possibile e concretamente si e' affermato solo riconoscendo un'unitaria disciplina da parte dell'Unione europea, che deve trovare attuazione negli Stati membri attraverso norme di principio o di dettaglio, siano esse del Trattato o piu' di frequente in norme di regolamento o di direttive comunitarie, con conseguente impossibilita' per gli Stati membri d'introdurre legislazioni ispirate da un indirizzo politico nazionale e percio' differenziate tra gli Stati membri, neppure configurando l'ipotesi limite di una disciplina nazionale di 'integrale o totale concorrenzialita''.

    Non appare infatti possibile confondere il principio di concorrenza posto dal Trattato dell'Unione europea, che disciplina i comportamenti delle amministrazioni pubbliche una volta che abbiano deciso di rivolgersi al mercato delle imprese, con l'idea di prevalenza o preferenza per il mercato nell'organizzazione dei servizi pubblici indicata dalla disciplina statale in esame, nella quale l'in house providing e' configurata come un residuo negletto o un cattivo surrogato.

    Questa configurazione offusca, sovvertendolo, il principio di liberta' degli individui o di autonomia - del pari costituzionale degli enti territoriali (artt. 5, 117, 118, Cost.) di mantenere la capacita' di operare ogni qualvolta la scelta che ritengono piu' opportuna: cioe' se fruire dei vantaggi economici offerti dal mercato dei produttori oppure se procedere a modellare una propria struttura capace di diversamente configurare l'offerta delle prestazioni di servizio pubblico.

    Autonomia e relativa capacita' di scelta discrezionale che implicano anche la possibilita' di non voler correre l'avventura ed il conseguente rischio di un affidamento a terzi in un tempo di cattivo mercato economico e finanziario.

    In tal senso si e' peraltro espresso da tempo l'ordinamento comunitario che ha ritenuto in contrasto con la disciplina europea sulla concorrenza la legge nazionale sui lavori pubblici (allora l.

    11 febbraio 1994, n. 109, art. 21) che aveva limitato la scelta tra i due criteri europei d'aggiudicazione degli appalti - offerta economicamente piu' vantaggiosa e prezzo piu' basso - imponendo il vincolo legislativo 'alle amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere unicamente al criterio del prezzo piu' basso' (Corte di Giustizia Ce, 7 ottobre 2004, in causa C-247/02, Sintesi s.p.a. c...

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