Sentenza nº 95 da Constitutional Court (Italy), 18 Aprile 2019

RelatoreFranco Modugno
Data di Resoluzione18 Aprile 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 95

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promosso dal Tribunale ordinario di Palermo, nel procedimento penale a carico di A. C., con ordinanza del 13 luglio 2017, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 2017 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione di A. C., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 febbraio 2019 il Giudice relatore Franco Modugno;

uditi l’avvocato Antonio Gargano per A. C. e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 13 luglio 2017, il Tribunale ordinario di Palermo ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), «nella parte in cui non prevede che la condotta delittuosa ivi descritta sia punibile quando, congiuntamente: a) l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad euro trentamila; b) l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, superiore ad euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila».

    Il giudice a quo premette di essere investito del processo nei confronti di una persona imputata del reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, per aver utilizzato, in qualità di legale rappresentante di una società in accomandita semplice, due fatture per operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti: la prima riportata nella dichiarazione annuale relativa all’anno d’imposta 2007 (presentata il 25 settembre 2008), indicando elementi passivi fittizi per euro 12.176, con evasione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) per euro 2.436; la seconda riportata nella dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2011 (dichiarazione presentata il 10 settembre 2012), indicando elementi passivi fittizi per euro 18.000, con evasione di IVA per euro 2.436.

    La questione sarebbe, dunque, rilevante. L’imputato è chiamato, infatti, a rispondere di operazioni fraudolente che per ciascun anno d’imposta si collocano ben di sotto alla soglia dei trentamila euro di imposta evasa, con la conseguenza che l’accoglimento della questione renderebbe le condotte contestate penalmente irrilevanti.

    Quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo rileva che la norma censurata non prevede alcuna soglia di punibilità in relazione al delitto, da essa delineato, di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Ciò a differenza di quanto avviene per il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, relativamente al quale l’art. 3 del d.lgs. n. 74 del 2000 prevede invece due distinte soglie: una riferita all’ammontare dell’imposta evasa, l’altra all’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, ovvero dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta.

    Secondo il rimettente, tale disparità di trattamento sarebbe arbitraria, essendosi al cospetto di fattispecie sostanzialmente identiche, ormai accomunate dalla «struttura bifasica» e riconducibili all’unico genus della «frode fiscale». Le condotte previste dall’art. 3 esporrebbero, d’altro canto, il bene protetto – costituito dall’interesse dell’erario alla piena e rapida percezione dei tributi – a un pericolo concreto «sicuramente eguale», se non addirittura più elevato, rispetto a quello indotto dalle operazioni punite dall’art. 2.

    In base all’interpretazione più diffusa, le due ipotesi criminose si porrebbero in rapporto di specialità reciproca. Al nucleo comune di offensività, costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, si aggiungono, in chiave specializzante, da un lato, l’utilizzazione di fatture o di documenti aventi un rilievo probatorio analogo, relativi a operazioni inesistenti (art. 2); dall’altro, il compimento di operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente, ovvero l’utilizzazione di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento tributario (art. 3).

    Un ulteriore indice della sostanziale omogeneità tra le due disposizioni poste a raffronto si ricaverebbe dalla sovrapposizione tra il concetto di «operazioni inesistenti», che compare nell’art. 2, e quello di «operazioni simulate», che figura nell’art. 3, la cui distinzione dipenderebbe «esclusivamente dalla sussistenza o meno del documento contabile nonché della eventuale copertura cartolare offerta dalla fattura».

    Una differenza di trattamento così vistosa, quale quella denunciata, non potrebbe essere, d’altronde, giustificata facendo leva sulla particolare efficacia probatoria attribuita dalla legislazione tributaria alla fattura o al documento ad essa analogo. Alla luce della comune esperienza, non si potrebbe, infatti, escludere che il compimento di operazioni simulate e l’impiego di mezzi fraudolenti siano idonei a indurre in errore l’amministrazione finanziaria con il medesimo – se non maggiore – «grado di insidiosità» dell’uso di fatture per operazioni inesistenti.

    Al fine di rimuovere il riscontrato vulnus costituzionale, senza invadere la discrezionalità legislativa, occorrerebbe dunque estendere alla fattispecie descritta dalla norma censurata entrambe le soglie di punibilità contemplate dall’art. 3.

  2. – Si è costituito A.C., imputato nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione.

    La parte privata rileva preliminarmente come il sistema sanzionatorio penale tributario sia stato, di recente, oggetto di revisione ad opera del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23). Nell’occasione, l’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 ha subito «una riforma in peius», in quanto la sanzione penale è stata estesa a tutte le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all’IVA, anche non annuali. Di contro, l’art. 3 sarebbe stato modificato «in melius», con l’innalzamento di una delle due soglie di punibilità (quella relativa all’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, portata da un milione di euro a un milione e cinquecentomila euro).

    Ciò premesso, la parte privata osserva come la sostanziale identità tra le fattispecie poste in comparazione sia testimoniata dal fatto che, anteriormente al d.lgs. n. 74 del 2000, esse erano punite in modo eguale e indistinto a titolo di «frode fiscale» dall’art. 4 del decreto-legge 10 luglio 1982, n. 429 (Norme per la repressione della evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto e per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1982, n. 516.

    L’omogeneità delle due fattispecie incriminatrici...

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