Sentenza nº 90 da Constitutional Court (Italy), 17 Aprile 2019

RelatoreSilvana Sciarra
Data di Resoluzione17 Aprile 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 90

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 161, terzo comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, come aggiunto dall’art. 14, comma 1, lettera a-ter), del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132, promosso dal Tribunale ordinario di Vicenza, in funzione di giudice dell’esecuzione immobiliare, sull’istanza proposta da Valentino Scomazzon, con ordinanza del 18 febbraio 2016, iscritta al n. 111 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché quelli, fuori termine, dell’Associazione dei periti e degli esperti - Istituto per la tutela e la qualità della consulenza di tipo giudiziario (APE Nazionale), dell’Associazione dei periti e degli esperti della Toscana - Istituto per la tutela e la qualità della consulenza di tipo giudiziario (APE Toscana), della Rete nazionale delle professioni dell’area tecnica e scientifica (RPT) e dell’Associazione «E-Valuations: Estimo e Valutazioni - Associazione valutatori immobiliari indipendenti»;

udito nella camera di consiglio del 6 marzo 2019 il Giudice relatore Silvana Sciarra.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 18 febbraio 2016, iscritta al n. 111 del registro ordinanze 2018, il Tribunale ordinario di Vicenza, in funzione di giudice dell’esecuzione immobiliare, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 161, terzo comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile «nella parte in cui prevede che il compenso dell’esperto venga calcolato in base al ricavato realizzato dalla vendita del bene, nonché nella parte in cui prevede che, prima della vendita, non possano essere liquidati acconti in misura superiore al 50% del valore di stima, in relazione agli artt. 3, 36, 41, 97 e 117 [recte: primo comma] Costituzione, quest’ultimo in relazione al principio di proporzionalità, quale principio generale del diritto comunitario primario».

    1.1.– Il giudice a quo premette di dover decidere sull’istanza di liquidazione presentata da un geometra, nominato come esperto per la stima degli immobili pignorati, e di dover applicare l’art. 161, terzo comma, disp. att. cod. proc. civ., aggiunto dall’art. 14, comma 1, lettera a-ter), del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83 (Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 6 agosto 2015, n. 132.

    Il rimettente censura l’art. 161, terzo comma, disp. att. cod. proc. civ., «sia nella parte in cui prevede che il compenso dell’esperto stimatore nominato ex art. 569 c.p.c. venga liquidato sulla scorta del ricavato della vendita, anzich[é] in base al valore di stima (come previsto dall’art. 13 D.M. 182/2002), sia nella parte in cui dispone che, prima della vendita, non possano essere liquidati acconti in misura superiore al 50% del compenso calcolato sul valore di stima».

    1.2.– Ad avviso del rimettente, la liquidazione del compenso in base al valore di vendita dell’immobile sarebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), sotto molteplici profili.

    L’art. 568 del codice di procedura civile imporrebbe all’esperto di elaborare la stima in base al valore di mercato, e «non già al presumibile valore di realizzo del bene». Non vi sarebbero ragioni apprezzabili, pertanto, per ancorare la liquidazione al «valore di vendita finale», che si discosta, secondo i criteri recepiti dalla «dottrina dell’estimo», dal valore di mercato scelto dalla legge come criterio di stima.

    Il criterio di liquidazione del compenso sancito dal legislatore sarebbe irragionevole anche perché correlato a un elemento, il valore di vendita, che non è «pronosticabile a priori» ed è condizionato da «fattori imponderabili da parte dell’esperto». Si farebbe così gravare sull’esperto «l’alea degli eventi che possono incidere sul valore finale di aggiudicazione e che non dipendono dalla sua condotta o dalle sue capacità di previsione» e si tramuterebbe l’obbligazione del professionista, che si atteggia come «obbligazione di mezzi», in una obbligazione di risultato.

    La disposizione sarebbe irragionevole, anche «perché figlia di un infondato, quanto diffuso pregiudizio nei confronti della categoria degli esperti stimatori, tacciati di effettuare stime troppo alte, al fine di lucrare compensi più elevati».

    Nella prospettiva del rimettente, un ulteriore profilo di irragionevolezza risiede nel fatto che all’estensione dei compiti dell’esperto non faccia riscontro un adeguato compenso per i più impegnativi compiti che la legge gli assegna.

    Il rimettente denuncia, inoltre, il contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.). Gli esperti, senza una plausibile giustificazione, sarebbero assoggettati a un trattamento deteriore rispetto ai consulenti tecnici d’ufficio che prestano la loro opera in un giudizio di divisione o nelle vendite disposte in àmbito fallimentare e sono remunerati in rapporto al valore di stima degli immobili.

    La disposizione sarebbe irragionevole «anche nella parte in cui non specifica come dovrebbe avvenire la liquidazione in caso di estinzione del processo, sia tipica, che atipica». Se, nella prima ipotesi, legata a una scelta o all’inerzia del creditore procedente, si può ritenere «con un notevole sforzo di fantasia» che la liquidazione sia proporzionata al valore di stima, nella seconda ipotesi si deve giungere alla conclusione che l’esperto non possa rivendicare alcun compenso e debba restituire gli acconti eventualmente già incassati.

    La disposizione censurata si porrebbe anche in contrasto con l’art. 36 Cost., nella parte in cui commisura la liquidazione al valore di vendita del bene, anziché al valore di stima, e rinvia la liquidazione al momento della vendita, «consentendo prima di tale momento solamente la liquidazione di acconti non superiori al 50%». La disciplina in esame, pur ampliando i compiti dell’esperto, di fatto ne diminuirebbe il compenso, senza neppure distinguere tra voci connesse al valore di stima e voci che da tale valore prescindono, e sarebbe pertanto lesiva del «diritto ad una retribuzione adeguata e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto», riconosciuto anche ai lavoratori autonomi (si menziona la sentenza n. 75 del 1964).

    Il rimettente prospetta la violazione degli artt. 41 e 117 Cost., sul presupposto che l’entità del compenso e la tempestività del pagamento del compenso rappresentino «elementi fondamentali della libertà di impresa e di iniziativa economica».

    In particolare, i criteri di liquidazione, commisurati al valore di vendita, e i tempi della liquidazione, differiti al momento della vendita, limiterebbero la libertà economica del professionista, tutelata dall’art. 41 Cost. In contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione al «principio di diritto comunitario primario di proporzionalità», la disposizione censurata frapporrebbe «un ostacolo non necessario, inadeguato e sproporzionato» alla libertà di iniziativa economica del professionista, in difetto di «un imperativo interesse pubblico da tutelare».

    La disposizione censurata contravverrebbe anche agli artt. 3 e 97 Cost., «nella parte in cui, frustrando le aspettative al compenso degli esperti, finisce con il far lavorare gli stessi sottocosto e, quindi, con l’allontanare dal circuito le professionalità migliori, con grave danno per la funzionalità e l’efficienza dell’amministrazione della giustizia» (si cita la sentenza n. 192 del 2015).

    L’esperto, in virtù di un rapporto eminentemente fiduciario con il giudice, svolgerebbe un incarico che presuppone «una sempre maggiore competenza e professionalizzazione». La disposizione censurata, nel ridurre l’entità del compenso degli esperti e nel ritardare il momento della liquidazione, allontanerebbe le migliori professionalità, con un danno evidente per «l’immagine dell’intero settore delle vendite pubbliche».

  2. – Con atto depositato il 25 settembre 2018, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto di dichiarare le questioni di legittimità costituzionale manifestamente inammissibili o infondate.

    La «tendenziale omogeneità» tra il valore di mercato dell’immobile, determinato ai sensi dell’art. 568 cod. proc. civ., e «il prezzo ricavato dalla vendita dell’immobile stimato» escluderebbe il rischio di «un...

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