Sentenza nº 78 da Constitutional Court (Italy), 09 Aprile 2019

RelatoreGiuliano Amato
Data di Resoluzione09 Aprile 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 78

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera b), ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), promosso dal Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, nel procedimento vertente tra l’Università degli studi di Catania e Lucia Lo Bello e altra, con ordinanza dell’8 febbraio 2018, iscritta al n. 63 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti gli atti di costituzione di Lucia Lo Bello e dell’Università degli studi di Catania, l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e l’atto di intervento di Dario Francia;

udito nella udienza pubblica del 5 marzo 2019 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi gli avvocati Carmelo Elio Guarnaccia e Rosario Panebianco per Lucia Lo Bello, Felice Giuffrè per l’Università degli studi di Catania e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza depositata l’8 febbraio 2018, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera b), ultimo periodo, della legge 30 dicembre 2010, n. 240 (Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), nella parte in cui non prevede – tra le condizioni che impediscono la partecipazione ai procedimenti di chiamata dei professori universitari – il rapporto di coniugio con un docente appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata, ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo.

    Ad avviso del giudice a quo, la disposizione censurata violerebbe, in primo luogo, l’art. 3 Cost. per l’irragionevolezza insita nella mancata previsione del rapporto di coniugio tra le situazioni ostative alla partecipazione alle procedure selettive, a fronte della espressa previsione del rapporto di affinità, il quale presuppone il rapporto coniugale.

    Sarebbe violato anche l’art. 97 Cost., per contrasto con il principio di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa.

  2. – Il giudizio a quo ha per oggetto l’impugnazione della sentenza con cui il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, ha annullato la nomina della vincitrice della procedura selettiva indetta dall’Università degli studi di Catania per la chiamata di un professore di prima fascia, sul rilievo del rapporto di coniugio tra la vincitrice ed altro professore, appartenente allo stesso dipartimento che aveva richiesto l’attivazione della procedura.

    Alla pronuncia di annullamento il TAR è pervenuto applicando, in via di interpretazione estensiva, l’art. 18, primo comma, lettera b), ultimo periodo, della legge n. 240 del 2010, il quale vieta la partecipazione ai procedimenti di chiamata di coloro che abbiano un grado di parentela o di affinità, fino al quarto grado compreso, con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la stessa chiamata, ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo, ma non prevede espressamente il rapporto di coniugio. La successiva lettera c) del medesimo art. 18 estende il divieto in esame al conferimento di assegni di ricerca, alla stipulazione dei contratti di cui al successivo art. 24 e, più in generale, ai «contratti a qualsiasi titolo erogati dall’ateneo». Esso è stato, altresì, ritenuto applicabile dal Consiglio di Stato e dallo stesso Consiglio di giustizia amministrativa anche ai procedimenti per chiamata diretta.

    Il giudice a quo osserva che alcune pronunce della giurisprudenza amministrativa, anche di secondo grado, hanno interpretato estensivamente il divieto, includendovi anche il rapporto di coniugio. In questo caso, infatti, la familiarità tra giudicante e giudicato sarebbe della massima intensità. Secondo questa giurisprudenza, sarebbe quindi irragionevole la mancata previsione, quale causa di incompatibilità, del rapporto di coniugio, a fronte della espressa previsione dell’affinità, che lo presuppone.

    Tuttavia, ad avviso del giudice a quo, si tratterebbe di un indirizzo non consolidato, tale da non assurgere a diritto vivente, rispetto al quale sarebbe viceversa preminente la differenza tra coniugio e parentela, nonché tra coniugio e affinità.

    Pur essendo il rapporto di coniugio presupposto di quello di affinità, il rimettente ritiene che alla manifesta irragionevolezza della lacuna normativa non si possa ovviare in via interpretativa. A ciò osterebbe, da un lato, la natura tassativa della disposizione che limita la libertà di accesso ai concorsi pubblici e, dall’altro lato, il complessivo ordinamento delle procedure concorsuali, secondo il quale le cause di esclusione fondate su un presumibile conflitto di interessi devono costituire l’extrema ratio, ossia laddove non siano possibili altri strumenti per evitarlo.

    L’unica via per rimediare a questa irragionevole lacuna sarebbe, dunque, rappresentata dall’incidente di legittimità costituzionale dell’art. 18, primo comma, lettera b), ultima parte, nella parte in cui non vieta la partecipazione ai procedimenti di chiamata a coloro che sono in rapporto di coniugio con un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata, ovvero con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione dell’ateneo.

  3. – Con memoria depositata il 16 maggio 2018, si è costituita Lucia Lo Bello, parte appellata nel giudizio a quo, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale. In via subordinata, ha chiesto che la...

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