Sentenza nº 56 da Constitutional Court (Italy), 20 Marzo 2019

RelatoreDaria de Pretis
Data di Resoluzione20 Marzo 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 56

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1072, 1079 e 1080, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), promosso dalla Regione Veneto, con ricorso notificato il 27 febbraio 2018, depositato in cancelleria il 6 marzo 2018, iscritto al n. 21 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 19 febbraio 2019 il Giudice relatore Daria de Pretis;

uditi gli avvocati Ezio Zanon e Andrea Manzi per la Regione Veneto e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – La Regione Veneto ha impugnato diverse disposizioni della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), fra le quali l’art. 1, commi 1072, 1079 e 1080, oggetto del settimo e ottavo motivo di ricorso.

    Il comma 1072 rifinanzia il cosiddetto fondo investimenti, istituito dall’art. 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019). In particolare, il comma 1072, nel testo vigente al momento della proposizione del ricorso, stabiliva quanto segue: «Il fondo da ripartire di cui all’articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, è rifinanziato per 800 milioni di euro per l’anno 2018, per 1.615 milioni di euro per l’anno 2019, per 2.180 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023, per 2.480 milioni di euro per l’anno 2024 e per 2.500 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2025 al 2033. Le predette risorse sono ripartite nei settori di spesa relativi a: a) trasporti e viabilità; b) mobilità sostenibile e sicurezza stradale; c) infrastrutture, anche relative alla rete idrica e alle opere di collettamento, fognatura e depurazione; d) ricerca; e) difesa del suolo, dissesto idrogeologico, risanamento ambientale e bonifiche; f) edilizia pubblica, compresa quella scolastica e sanitaria; g) attività industriali ad alta tecnologia e sostegno alle esportazioni; h) digitalizzazione delle amministrazioni statali; i) prevenzione del rischio sismico; l) investimenti in riqualificazione urbana e sicurezza delle periferie; m) potenziamento infrastrutture e mezzi per l’ordine pubblico, la sicurezza e il soccorso; n) eliminazione delle barriere architettoniche. Restano fermi i criteri di utilizzo del fondo di cui al secondo, terzo e quarto periodo del citato comma 140. I decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di riparto del fondo di cui al primo periodo sono da adottare, ai sensi dell’articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge».

    La norma impugnata, dunque, rinviava al citato art. 1, comma 140, della legge n. 232 del 2016 per quel che riguarda i criteri di utilizzo del fondo. Al momento del ricorso, il comma 140, dopo il primo periodo, stabiliva quanto segue: «L’utilizzo del fondo di cui al primo periodo è disposto con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con i Ministri interessati, in relazione ai programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato. Gli schemi dei decreti sono trasmessi alle Commissioni parlamentari competenti per materia, le quali esprimono il proprio parere entro trenta giorni dalla data dell’assegnazione; decorso tale termine, i decreti possono essere adottati anche in mancanza del predetto parere. Con i medesimi decreti sono individuati gli interventi da finanziare e i relativi importi, indicando, ove necessario, le modalità di utilizzo dei contributi […]».

    Secondo la Regione Veneto, «il Fondo è destinato a finanziare programmi presentati dalle amministrazioni centrali dello Stato, ma che intervengono anche in settori che investono direttamente le competenze concorrenti delle Regioni, senza però che sia previsto alcun coinvolgimento delle Regioni nell’adozione dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri relativi all’utilizzo del suddetto fondo […]». In particolare, gli interventi finanziabili interferirebbero, salvo quelli di cui alle lettere h) ed m), «su materie sicuramente di competenza concorrente come la “ricerca scientifica e tecnologica”, “grandi reti di trasporto e di navigazione”, “governo del territorio”, “protezione civile”, “edilizia scolastica”, se non addirittura di competenza residuale regionale come il trasporto pubblico locale».

    La ricorrente indica specificamente gli oggetti del fondo afferenti a materie regionali, osservando che in tali ambiti «è quindi ravvisabile perlomeno un intreccio e una concorrenza di competenze statali e regionali»; sarebbe dunque «evidente […] che l’intervento normativo statale struttura, abilitando le amministrazioni centrali a presentare i relativi progetti, un’avocazione in sussidiarietà di attribuzioni spettanti alle Regioni, in quanto connesse a materie rimesse alla competenza concorrente e addirittura residuale delle Regioni».

    La Regione ritiene che la norma impugnata «disattend[a] completamente i presupposti che soli, secondo la consolidata giurisprudenza […] costituzionale, rendono legittima la suddetta chiamata in sussidiarietà» (si cita la sentenza n. 92 del 2011): infatti, «dal momento che in relazione ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con cui sono individuati gli interventi da finanziare, i relativi importi e, se necessario, le modalità di utilizzo dei contributi, non è previsto alcun coinvolgimento delle Regioni», si determinerebbe «la violazione degli articoli 117, III e IV comma e 118 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.».

    Inoltre, la mancata previsione di un’intesa implicherebbe la violazione dell’art. 119 Cost., «dal momento che le disposizioni impugnate strutturano [in materie regionali] forme di finanziamento non riconducibili ad alcuna delle modalità costituzionalmente consentite dal suddetto art. 119 Cost.». Nel caso di specie, si tratterebbe di «risorse “aggiuntive” rispetto “alla ordinaria capacità finanziaria regionale”, peraltro che vengono investite su progetti delle amministrazioni statali ma inerenti a ambiti di competenza regionale».

    La ricorrente conclude osservando che la mancata previsione di un’intesa con le regioni potrebbe ingenerare «la prassi di assegnazioni di risorse, non solo i) sganciate dalla puntuale rilevazione delle esigenze dei territori in cui le infrastrutture vengono realizzate […] ma anche ii) in difetto della necessaria trasparenza che deve accompagnare le scelte statali di investimento in tali ambiti: una determinata realtà territoriale può infatti risultare favorita e un’altra penalizzata in forza di una discrezionalità politica destinata a rimanere oscura per l’insieme delle Regioni».

  2. – La Regione Veneto ha impugnato anche i commi 1079 e...

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