Sentenza nº 24 da Constitutional Court (Italy), 27 Febbraio 2019

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione27 Febbraio 2019
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 24

ANNO 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giorgio LATTANZI;

Giudici: Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 5 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), dell’art. 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico), e degli artt. 1, 4, comma 1, lettera c), 6, 8, 16, 20 e 24 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), promossi dal Tribunale ordinario di Udine, dal Tribunale ordinario di Padova e dalla Corte di appello di Napoli, con ordinanze del 10 aprile, del 30 maggio e del 15 marzo 2017, iscritte rispettivamente ai nn. 115, 146 e 154 del registro ordinanze 2017 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 37, 43 e 45, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti l’atto di costituzione di F. S., nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e di M. S., quest’ultimo fuori termine;

udito nella udienza pubblica del 20 novembre e nella camera di consiglio del 21 novembre 2018 il Giudice relatore Francesco Viganò;

Uditi gli avvocati Massimo Malipiero e Giuseppe Pavan per F. S. e l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 15 marzo 2017 (r. o. n. 154 del 2017), la Corte d’appello di Napoli ha sollevato: a) questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 5 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), dell’art. 19 della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico), e degli artt. 1, 4, comma 1, lettera c), 6 e 8 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136), tutti con riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmato a Strasburgo il 16 settembre 1963 e reso esecutivo in Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 217 del 14 aprile 1982; b) questioni di legittimità costituzionale del solo art. 19 della legge n. 152 del 1975 in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848, nonché all’art. 42 Cost.

    1.1.– Il giudice a quo premette di conoscere dell’impugnazione avverso un decreto del Tribunale di Napoli con il quale è stata applicata, nei confronti di una persona ritenuta portatrice di cosiddetta “pericolosità generica” ai sensi dell’art. 1, numeri 1) e 2), della legge n. 1423 del 1956, la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza di cui agli artt. 3 e 5 della medesima legge, per la durata di quattro anni, con obbligo di soggiorno nel territorio del Comune di residenza, nonché la misura di prevenzione patrimoniale della confisca, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 152 del 1975, di numerosi beni mobili e immobili.

    Il giudice rimettente rileva che con la sentenza pubblicata il 23 febbraio 2017, pronunciata nel procedimento n. 43395/09, de Tommaso contro Italia, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che le previsioni degli artt. 1, 3 e 5 della legge n. 1423 del 1956 si pongono in contrasto con l’art. 2 del Prot. n. 4 CEDU. Tali norme di legge non presenterebbero, in particolare, i requisiti di «chiarezza, precisione e completezza precettiva» richiesti dalla CEDU, e precluderebbero pertanto al cittadino di comprendere «quali condotte debba tenere e quali condotte debba evitare per non incorrere nella misura di prevenzione», e quali condotte integrino la «violazione delle prescrizioni connesse all’imposizione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza».

    Inoltre, poiché alle medesime fattispecie di cui all’art. 1 della legge n. 1423 del 1956, in forza dell’art. 19 della legge n. 152 del 1975, sono altresì applicabili, tra le altre, le misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca di cui all’art. 2-ter della legge 31 maggio 1965, n. 757 (Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere), la Corte d’appello di Napoli estende le censure attinenti all’assenza di precisione e prevedibilità della legge anche al già citato art. 19 della legge n. 152 del 1975, assumendone il contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 1 del Prot. addiz. CEDU («Protezione della proprietà»), e con l’art. 42 Cost.

    Osserva in proposito il rimettente che, al pari dell’art. 2 del Prot. n. 4 CEDU, l’art. 1 del Prot. addiz. CEDU, al secondo comma, afferma che nessuna privazione della proprietà può avvenire se non alle condizioni «previste dalla legge». Pertanto, una volta accertato il contrasto dell’art. 1 della legge n. 1423 del 1956 con il requisito della “base legale” richiesto dal diritto convenzionale, anche l’art. 19 della legge n. 152 del 1975 risulterebbe, per i medesimi motivi, illegittimo, «pervenendosi altrimenti all’illogica conseguenza per cui le misure di prevenzione patrimoniali potrebbero essere imposte nei confronti di persone che non possono definirsi pericolose a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale della norma che definisce tale pericolosità».

    L’incompatibilità delle norme censurate con i parametri convenzionali evocati determinerebbe l’illegittimità costituzionale delle stesse per contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., non sussistendo a parere del giudice a quo «alcuna via interpretativa per adeguare le disposizioni delle norme citate alla norma convenzionale, dovendo a tal fine il giudice comune procedere a una riformulazione complessiva delle disposizioni di legge in contestazione, riservata esclusivamente al Legislatore».

    In punto di rilevanza delle questioni, l’ordinanza di rimessione precisa che l’appellante censura proprio la sussistenza dei presupposti previsti dall’art. 1 della legge n. 1423 del 1956, tanto ai fini dell’applicazione della misura personale della sorveglianza speciale, quanto ai fini della misura patrimoniale della confisca.

    Infine, il giudice a quo sostiene che le questioni di legittimità costituzionale andrebbero estese all’art. 1, all’art. 4, comma 1, lett. c), all’art. 6 e all’art. 8 del d.lgs. n. 159 del 2011, i quali riproducono oggi, con un tenore sostanzialmente identico, il contenuto degli artt. 1, 3 e 5 della legge n. 1423 del 1956, «abrogati per effetto dello stesso d.lgs. 159/2011 con riferimento alle proposte di prevenzione depositate dal 13.10.2011».

    1.2.– È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate.

    In primo luogo, viene censurata la carenza di motivazione circa la rilevanza delle questioni di legittimità sollevate, stante l’asserito difetto di un’adeguata descrizione della vicenda processuale e, quindi, delle ragioni per le quali risulterebbero applicabili le norme della legge n. 1423 del 1956.

    In secondo luogo, l’Avvocatura sostiene che la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, ancorché pronunciata dalla Grande Camera, non sarebbe espressione di una giurisprudenza consolidata nei termini delineati da questa Corte nella sentenza n. 49 del 2015. Pertanto, l’interpretazione ivi offerta non sarebbe immediatamente vincolante per il giudice nazionale, che avrebbe dovuto tentare un’interpretazione convenzionalmente conforme delle disposizioni censurate, in virtù della funzione assegnatagli dall’art. 101, secondo comma, Cost.

    1.3.– Con atto depositato in data 24 maggio 2018, è intervenuta ad adiuvandum M. S., destinataria di un decreto di sequestro di prevenzione disposto dal Tribunale ordinario di Roma in data 15 marzo 2016, sostenendo la propria legittimazione a intervenire in quanto la «eventuale declaratoria di incostituzionalità della norma indicata – auspicata dalla giurisprudenza europea – porterebbe alla immediata cessazione degli effetti del provvedimento nei propri confronti», e insistendo perché la Corte accolga tutte le questioni sollevate dai rimettenti.

  2. – Con ordinanza del 4 aprile 2017 (r. o. n. 115 del 2017), il Tribunale ordinario di Udine ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 5 della legge n. 1423 del 1956, e degli artt. 1, 4, comma 1, lettera c), 6 e 8 del d.lgs. n. 159 del 2011, tutti con riferimento all’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 2 del Prot. n. 4 CEDU, nell’ambito di un giudizio originato da un’istanza di revoca di una misura di prevenzione personale presentata a seguito della citata sentenza de Tommaso contro Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo.

    2.1.– Le questioni sono identiche a quelle sollevate con l’ordinanza della Corte d’appello di Napoli, già riferite al punto 1, con l’unica differenza che il Tribunale di Udine limita le proprie censure alla disciplina relativa alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, e non...

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