Sentenza nº 231 da Constitutional Court (Italy), 07 Dicembre 2018

RelatoreFrancesco Viganò
Data di Resoluzione07 Dicembre 2018
EmittenteConstitutional Court (Italy)

SENTENZA N. 231

ANNO 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Giorgio LATTANZI Presidente

- Aldo CAROSI Giudice

- Marta CARTABIA ”

- Mario Rosario MORELLI ”

- Giancarlo CORAGGIO ”

- Giuliano AMATO ”

- Silvana SCIARRA ”

- Daria de PRETIS ”

- Nicolò ZANON ”

- Franco MODUGNO ”

- Augusto Antonio BARBERA ”

- Giulio PROSPERETTI ”

- Giovanni AMOROSO ”

- Francesco VIGANÒ ”

- Luca ANTONINI ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 5, comma 2, 24 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (Testo A)», promossi dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Firenze con ordinanza del 18 novembre 2016, dal Tribunale ordinario di Palermo con ordinanza del 19 marzo 2018 e dal Tribunale ordinario di Genova con due ordinanze del 20 e 27 marzo 2018, iscritte rispettivamente al n. 47 del registro ordinanze 2017 e ai nn. 91, 117 e 118 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2017 e nn. 25 e 37, prima serie speciale, dell’anno 2018.

Visti l’atto di costituzione di F. C. e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica del 6 novembre e nella camera di consiglio del 7 novembre 2018 il Giudice relatore Francesco Viganò;

udito l’avvocato Barbara Baroni per F. C.

Ritenuto in fatto

  1. – Con ordinanza del 18 novembre 2016 (r.o. n. 47 del 2017), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Firenze ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 24 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 14 novembre 2002, n. 313, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti (Testo A)» (d’ora in poi, anche: t.u. casellario giudiziale), nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate dal decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 122 (Disposizioni per la revisione della disciplina del casellario giudiziale, in attuazione della delega di cui all'articolo 1, commi 18 e 19, della legge 23 giugno 2017, n. 103), in riferimento al «principio di eguaglianza e conseguentemente di ragionevolezza» di cui all’art. 3 della Costituzione, nella parte in cui «non prevedono che nel certificato generale del casellario giudiziale e nel certificato penale chiesto dall’interessato non siano riportate le ordinanze di sospensione del processo emesse ai sensi dell’art. 464-quater c.p.p.».

    Il giudice a quo, dopo aver premesso di essere chiamato a pronunciarsi, ai sensi dell’art. 464-septies del codice di procedura penale, sull’esito della messa alla prova dell’imputato, ritiene che la questione sia rilevante, dal momento che la disciplina sopra richiamata si applicherebbe nel caso di specie nei confronti dell’imputato.

    Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo evidenzia come la mancata inclusione, da parte delle disposizioni censurate, delle ordinanze di sospensione del processo con messa alla prova tra quelle la cui menzione deve essere omessa nei certificati richiesti dai privati determini una irragionevole disparità di trattamento rispetto a «quanto stabilito dal legislatore per percorsi processuali che pure addivengono a provvedimenti definitori non radicalmente diversi», come la sentenza pronunciata su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 445 cod. proc. pen. o il decreto penale di condanna (art. 460 cod. proc. pen.). Con particolare riferimento a quest’ultimo provvedimento, il giudice a quo sottolinea la maggiore meritevolezza del beneficio della non menzione nel certificato del casellario giudiziale per chi, anziché prestare mera acquiescenza a un decreto penale, si sia «attivato in un comportamento di utilità sociale che gli vale una sentenza di estinzione del reato ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen.».

    Il giudice a quo è consapevole che i due tertia comparationis individuati hanno ad oggetto «procedimenti definitori […] ritenuti meritevoli dal legislatore che ha previsto delle premialità, tra le quali la non iscrizione del provvedimento definitorio sul certificato del casellario giudiziale richiesto dall’interessato». Tuttavia, egli ritiene incompatibile con il principio di eguaglianza che il beneficio della non menzione sia negato proprio rispetto al provvedimento di messa alla prova, il quale, tra i tre considerati, è quello che, perseguendo uno scopo parimenti deflattivo, «prevede una condotta attiva dell’imputato in lavori socialmente utili, in un percorso di sensibilità e di recupero sociale tutt’altro che indispensabile negli altri due procedimenti considerati».

    1.1.– Con atto depositato il 26 aprile 2017, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.

    L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce anzitutto che il giudizio a quo è destinato a concludersi con una pronuncia di estinzione del reato, stante l’esito favorevole della messa alla prova, senza che le disposizioni censurate possano trovare in alcun modo applicazione in quella sede, tali disposizioni concernendo piuttosto una fase procedimentale successiva; dal che l’irrilevanza delle questioni proposte.

    Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che «la scelta delle decisioni giurisdizionali da riportare nei certificati a richiesta dell’interessato rientra nella piena discrezionalità del Legislatore», come già affermato in passato da questa Corte con sentenza n. 223 del 1994, e che tale discrezionalità incontri l’unico limite della manifesta irragionevolezza, nel caso di specie non ravvisabile.

  2. – Con ordinanza del 19 marzo 2018 (r.o. n. 91 del 2018), il Tribunale ordinario di Palermo, in composizione monocratica, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale degli artt. 24 e 25 del d.P.R. n. 313 del 2002, nel testo anteriore alle modifiche, non ancora efficaci, recate dal d.lgs. n. 122 del 2018, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui non prevedono che nel certificato generale del casellario giudiziale e nel certificato penale chiesto dall’interessato non siano riportate l’ordinanza di sospensione del processo emessa ai sensi dell’art. 464-quater cod. proc. pen. e la sentenza che dichiara l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 464-septies cod. proc. pen.

    Il giudice a quo è chiamato a pronunciarsi nell’ambito di un procedimento di esecuzione instaurato da un soggetto nei cui confronti era...

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